L’Analogia: Cuore della cognizione – II parte
La tesi che difendo qui sostiene che ogni scelta di parola viene fatta grazie ad analogie – dunque, molte analogie ogni secondo! Posso illustrare questa tesi in un altro modo tramite un altro tipo di errore del discorso – gli amalgami lessicali. La scelta delle nostre parole ci sembra automatica; non ci accorgiamo delle intense lotte invisibili sottostanti a ogni singola scelta di parola nel nostro cervello. Ma il fatto è che le situazioni non hanno nomi intrinseci; anzi, le etichette che ripeschiamo così rapidamente dai nostri lessici mentali sono il prodotto di ricerche inconsce di situazioni analoghe nel passato.
A volte, però, ci imbattiamo simultaneamente in due o più possibilità, e allora ci troviamo in imbarazzo. Una decisione dev’essere presa, e (oppure ma) a volte non riusciamo a prenderla in tempo. Il risultato? Un amalgama curioso di due o più etichette.
Per esempio, un padre impaziente ha detto un giorno a sua figlia, “Puoi dire a tuo fratello di vendere subito?” Eppure il padre non voleva che suo figlio vendesse checchessia. Non era per niente una situazione del tipo vendita. Nella sua mente, la situazione si trovava a metà strada tra due tipi di situazione a lui molto familiari: situazioni di venuta e situazioni di discesa. Il processo di scelta delle parole, che normalmente si svolge in modo invisibile e senza traccia, si è svolto in questo caso con più difficoltà del solito, e pertanto ha lasciato una traccia udibile.
La situazione nuova ha attivato due concetti preesistenti e li ha attivati pressappoco allo stesso livello, lanciando una lotta tra di loro, la cui traccia udibile era la parola “vendere”, un amalgama fluido delle parole “scendere” e “venire”.
Questo tipo di errore, che con un orecchio attento uno può sentire tante volte ogni giorno, rivela con grande chiarezza la ricerca inconscia del concetto più adatto, di fronte a una nuova situazione che reclama di essere etichettata rapidamente. Se la maggior parte del tempo non percepiamo, nelle parole pronunciate, alcuna traccia di un conflitto sotterraneo, questo è solo perché di solito la lotta tra rivali non è tanto serrata.
Fra tutti i concetti rivali che sono attivati simultaneamente, in genere uno di questi domina tanto che la lotta si risolve tranquillamente senza lasciare la benché minima traccia udibile. Ciononostante, una lotta dietro le quinte c’è sempre, sottostante ad ogni scelta di parola, perfino nel caso di parole iperfrequenti come “casa” o “bene” o “essere”, perché c’è sempre una gara tra diversi concetti che si credono rilevanti per la situazione, che reclamano di essere usati, e che fanno del loro meglio per sconfiggere i loro rivali e emergere vincenti.
Parlo non solo di sostantivi come “tartaruga” e “ponte”, ma anche di verbi (“sbucciare”, “sciogliersi”, “venire”, “scendere”), nonché di aggettivi (“brutto”, “delizioso”), di avverbi (“magari”, “assai”, “quasi”), di preposizioni (“da”, “con”, “malgrado”), e addirittura di congiunzioni (“e”, “ma”, “oppure”, ecc.).
Prendiamo le congiunzioni, e in particolare il caso delle situazioni ma. Qual è la natura delle situazioni in cui ci viene in mente di dire “ma”? Sono situazioni retoriche – situazioni di comunicazione, situazioni in cui pensiamo di anticipare le aspettative dei nostri ascoltatori, situazioni in cui vogliamo avvertire gli ascoltatori che nonostante le parole che abbiamo appena pronunciate, c’è un’idea in arrivo che contraddirà le aspettative evocate. Per esempio, “Adoro Marte ma non i marziani.” L’aspettativa naturale è che uno che adora Marte adorerà ovviamente anche i suoi abitanti, e siccome in questo caso l’aspettativa è falsa, il locutore perspicace inserisce la parola “ma”.
Per farla breve, si tratta di una situazione “ma”, o se preferite, di una situazione con molta “ma-ità”. In altre parole, l’uso di un “ma” è un’avvertenza agli ascoltatori, che li avvisa di non cadere in una trappola di stereotipi evocati da quello che il locutore ha appena detto. “Il cioccolato può farci del bene – ma non è bene mangiarne troppo.” “I cani sono in genere dolci – ma alcuni sono pericolosi.” “Il film era molto breve – ma molto bello.” Tutte queste situazioni con parecchia “ma-ità” condividono un cuore comune, e il locutore, mentre parla, riconosce istintivamente questa essenza comune proprio come un alpinista allenato riconosce istintivamente un appiglio non affidabile in mezzo alla rupe che sta scalando. Proprio come l’alpinista che si dice “Anche se quell’appiglio mi tenta, lo devo evitare!”, il locutore, pronunciando “ma”, dichiara ai suoi ascoltatori “Anche se pensate di sapere perfettamente quel che consegue, dovete trattenervi dal saltare a conclusioni troppo semplicistiche!”
Le situazioni “ma” spuntano nel mondo del discorso anziché nel mondo fisico – ma non è che questa differenza rende le situazioni “ma” meno reali di quelle fisiche, come per esempio le situazioni tartaruga o le situazioni sciogliersi. Noi esseri umani ci orientiamo nel mondo delle idee astratte e della comunicazione interpersonale proprio come ci orientiamo nel mondo fisico. Provo ad essere più concreto. Il mio amico Frank mi ha detto una volta, “Mia figlia Sara è una sciatrice eccellente e un giorno si è – uhh, voglio dire, ma un giorno – si è ferita facendo una discesa molto veloce.” In mezzo alla sua frase, Frank si è accorto di aver categorizzato male la situazione retorica in cui si trovava con me. Non si trattava di una situazione e (una situazione con “e-ità”, per così dire), ma di una situazione “ma”. L’aspettativa ovvia evocata dalle parole “sciatrice eccellente” era che Sara non sarebbe caduta e che, anche se fosse caduta, non si sarebbe ferita. Ma siccome Frank sapeva che questa probabile aspettativa del suo ascoltatore era sbagliata, è tornato indietro per correggersi e poi riprendere il discorso.
Riassumendo, dunque, la scelta della congiunzione ma si fa sempre per analogia – cioè, il riconoscimento di situazioni “ma” nel discorso si fa per analogia con migliaia di altre situazioni “ma” che si sono già vissute.
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Douglas Hofstadter