Il burnout degli insegnanti
La delega dei genitori per l’educazione dei figli, la crescente intransigenza dell’utenza, la valutazione, la managerizzazione della scuola sono solo alcuni degli stimoli a cui sono stati sottoposti negli ultimi anni gli insegnanti nella scuola italiana. Non senza conseguenze.
Gli operatori impegnati nelle professioni d’aiuto si trovano spesso ad affrontare profonde crisi psicologiche di demotivazione e stanchezza intimamente legate al loro lavoro. Questo fenomeno, che prende il nome di burnout, colpisce gli insegnanti come gli operatori impegnati nelle cure terminali e meriterebbe un’adeguata attenzione da parte della società italiana.
La ASL Città di Milano ha promosso recentemente lo studio Getsemani, che ha analizzato le domande di inabilità presentate all’INPDAP nel decennio 1992-2001, prendendo in esame 3049 casi clinici e mettendo a confronto quattro macrocategorie: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori. Da questo studio emerge anche un articolato elenco delle cause scatenanti il burnout negli insegnanti:
• i fattori usuranti tipici dell’insegnamento;
• la delega dei genitori-lavoratori per l’educazione dei figli;
• l’inserimento dei portatori di handicap nelle classi;
• la maggior intransigenza dell’utenza e il misbehaviour di alcuni studenti;
• l’introduzione della valutazione dei docenti da parte di genitori e studenti;
• la diminuzione delle risorse istituzionali, la svalutazione sociale del lavoro in se stesso a favore del successo e del guadagno economico (notoriamente bassi per gli insegnanti);
• l’abolizione delle cosiddette baby-pensioni;
• l’avvento di una società culturale multietnica;
• l’avvento dell’era informatica, la gestione manageriale del lavoro;
• il passaggio dall’insegnamento individuale a quello di équipe;
• la protratta situazione di precariato, la competitività tra colleghi;
• la mobilità;
• le continue riforme scolastiche (annunciate o realizzate).
Lo studio è arrivato alla conclusione che gli insegnanti, pur costituendo solo il 18% degli iscritti alle casse INPDAP:
• rappresentano il 36,6% delle richieste di inabilità;
• lamentano, nelle loro domande, patologie prevalentemente di tipo psichiatrico: disturbi dell’umore, dell’adattamento, della personalità, ansia e schizofrenia;
• trovano accolte le loro richieste nel 75,1% dei casi.
La malattia psichiatrica rappresenta, insomma, per gli insegnanti ciò che per altre professioni viene rappresentato dalle patologie muscoloscheletriche, dalle neoplasie, dalle patologie cardiovascolari e via dicendo.
Eppure potremmo arginare il fenomeno agendo già dalla formazione degli insegnanti. All’interno delle scuole di specializzazione per insegnanti (SSIS) esiste la figura del supervisore di tirocinio, un insegnante esperto che assicura la formazione di buone pratiche professionali di specializzandi e specializzande. Si tratta di una figura centrale ma non sufficientemente valorizzata, almeno sul piano della discussione pubblica.
Potremmo dunque ripensare le SSIS come luoghi non solo della formazione iniziale ma anche di quella in servizio, in cui un’équipe di supervisione potrebbe avere adeguati strumenti di intervento e divenire un punto di riferimento anche per gli insegnanti già in servizio. In questo modo si potrebbe finalmente arginare il dilagante fenomeno del burnout. Del resto sono già in funzione efficienti meccanismi di supervisione per altri lavoratori impegnati nelle professioni d’aiuto. E quella dell’insegnante è decisamente una professione d’aiuto.
Eugenio Bastianon