Il riordino del secondo ciclo ai nastri di partenza (prima parte)
Il riordino che oggi viene inaugurato toglie tutte le aggiunte che in passato avevano contraddistinto le proposte innovative, con finanziamento statale, e apre spazi di flessibilità senza la certezza che questo rimanga, soprattutto sotto forma di personale.
Nel 2007 una ricerca realizzata dal Ministero sui percorsi formativi nella scuola secondaria di secondo grado metteva in evidenza come le tante sperimentazioni rischiavano di generare confusione nella possibilità di identificazione degli indirizzi da parte dell’opinione pubblica. Già si era posto il problema della semplificazione da realizzare o razionalizzando i corsi oppure facendo uscire lo Stato dalla gestione di rigidi ordinamenti, lasciando alle scuole di organizzare l’offerta formativa.
Il riordino che oggi viene inaugurato toglie tutte le aggiunte che in passato avevano contraddistinto le proposte innovative, con finanziamento statale, e apre spazi di flessibilità senza la certezza che questo rimanga, soprattutto sotto forma di personale.
È aumentata da un lato l’autonomia didattica e organizzativa delle scuole, “senza aggravio per la finanza pubblica”, ma dall’altro resta una flessibilità vincolata sia per quanto riguarda la tipologia delle articolazioni degli indirizzi e degli insegnamenti aggiuntivi.
I “comitati scientifici” che dovrebbero sovrintendere all’adeguatezza dei curricoli non sanno bene quali saranno i loro reali poteri di innovazione, ma è quasi certo che dovranno contare sulle loro forze, cioè sulla capacità di reperire risorse locali, in quanto soprattutto il predetto personale, anche se disponibile in prima battuta per effetto della diminuzione degli orari, andrà gradualmente esaurendosi, perché magari impiegato in altri compiti, e alla possibilità di stipulare contratti per far fronte a pur legittime richieste da parte delle scuole di specialisti non fanno riscontro modalità di retribuzione se non attraverso provviste del territorio.
La predetta ricerca metteva già in evidenza come andava superato un ordinamento centrato sulle discipline e le classi di concorso per posizionarsi su assi culturali e organici di istituto flessibili. Il presente riordino non sceglie una nuova organizzazione del suddetto personale, ne mantiene la rigida distribuzione, di ancora incerta corrispondenza tra le competenze dei docenti e le nuove esigenze degli indirizzi. Alle scuole saranno dunque assegnati insegnanti in base soprattutto ai profili ministeriali, alla diversificazione dell’offerta formativa, tanto declamata, per andare incontro alle esigenze delle famiglie e del mondo del lavoro, si dovrà provvedere senz’altro con interventi esterni o con un per ora ipotetico organico di rete, o che più semplicemente ricalca la dotazione provinciale inventata già da parecchi anni per la gestione di chi rimane in soprannumero.
I nuovi indirizzi e quadri orari sono un messaggio forte contro una sperimentazione ritenuta ideologica, senza pensare che quelle attività avevano perlopiù corrisposto, specialmente nelle realtà socialmente ed economicamente più evolute, a domande precise dell’utenza e del territorio e che senza di esse, a giudicare dal potenziale innovativo dell’attuale riforma, oggi avremmo un ordinamento ancora più povero e inadeguato. Non si può negare inoltre che gli anni della sperimentazione avevano contribuito a sostenere la motivazione degli operatori della scuola, al contrario di quello che accade per la rassegnazione e il disorientamento che si coglie nelle varie realtà scolastiche.
L’obiettivo della sperimentazione era la vera autonomia degli istituti, un nuovo livello di sintesi tra flessibilità e innovazione, mentre è stata la gestione burocratica e centralistica ad averne fatto una serie di appendici aggiuntive difficili a volte da interpretare.
La sperimentazione andava valutata rispetto alla qualità dei progetti e non burocratizzata per quanto riguarda la corrispondenza formale dei titoli di studio e la gestione amministrativa; oggi viene normalizzata e sebbene vi sia la flessibilità (senza risorse) si fa comunque registrare un passo indietro. Un esempio per tutti: l’indirizzo scientifico-tecnologico aperto sia nei licei che negli istituti tecnici. Si trattava di un’ipotesi che voleva cambiare il paradigma culturale dell’area liceale, verso una maggiore applicazione e di quella tecnica con una maggiore considerazione delle competenze generali. Grazie all’iperspecialismo dei nostri insegnamenti non si è potuto realizzare il mix indicato e oggi la sua riorganizzazione soltanto entro l’area liceale viene di nuovo a separare le così dette due o tre culture, cosa che non solo riporta a formule obsolete, ma in controtendenza al confronto internazionale dei sistemi.
Anche l’autonomia deve sottostare a un compromesso tra burocrazia e tutela del personale, e mentre si rilevano interessanti aperture sul piano della progettazione didattica e dell’articolazione dell’offerta formativa si scontano notevoli rigidità su quello delle classi di concorso/cattedre, con materie opzionali definite a livello nazionale; un organico sicuramente stretto per dar corso alle necessarie flessibilità; contratti a termine, con soldi di provenienza esterna, che non danno nessuna garanzia di continuità.
È positivo mantenere il timone sui profili terminali, in attesa di arrivare a standard condivisi per l’intero sistema, sugli assi culturali, più aperti rispetto alle materie, anche al fine dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione in diversi indirizzi e canali, alla didattica per competenze, anche se va reimpostato in tale direzione tutto il lavoro scolastico. Soprattutto nel momento valutativo la loro certificazione è un elemento equilibratore che mette in relazione ciò che ha fatto la scuola a ciò che l’alunno ha acquisito, che dà ragione della qualità degli apprendimenti di fronte a misure quantitative dei risultati e valorizza anche nelle prove terminali non solo il sapere (con il carattere di verbalizzazione formale), ma anche il saper fare e il ruolo dei contesti formativi, compresi quelli extrascolastici. La predetta certificazione avrà poi una sua autonoma capacità di comunicazione, in modo da costituire crediti sia per quanto riguarda gli aspetti verticali del percorso formativo, sia quelli orizzontali con particolare riferimento al mondo del lavoro.
Nell’ambito degli istituti professionali poi possono essere redatte specifiche intese tra organi ministeriali e regionali, anche in relazione a nuovi modelli organizzativi per l’erogazione dell’offerta formativa.
Gian Carlo Sacchi