Quale sarà lo stato di salute dei “nuovi” istituti tecnici e professionali?
Un saggio in pdf del professor Gian Carlo Sacchi sulle necessità della formazione tecnica e professionale. Di seguito l'abstract dell'articolo completo.
Dopo tanti anni di insuccessi nella riforma della scuola superiore, ora non se ne parla più. Si è tornati ai diversi ordini, come erano un tempo definiti: licei, istituti tecnici e professionali. Mentre i primi sembrano aver preso veramente le distanze, sugli altri ci sono punti in comune, ma restano quelle contraddizioni che da un lato fanno riferimento al valore della cultura del lavoro, e, dall’altro, al governo di questo sistema, tra livello nazionale e regionale.
A questi interrogativi le bozze di regolamenti in circolazione danno scarse risposte, rinviano; quello che conta è che dal 2010/2011 tutti gli istituti tecnici e professionali scenderanno a 32 ore settimanali, quando invece nella tradizione del nostro ordinamento la qualificazione dei percorsi era centrata sull’incremento di ore e di discipline: eventuali altre iniziative di integrazione dell’offerta formativa andrà finanziata al di fuori.
Molto si dice sull’inasprimento dei controlli rispetto agli standard,europei (EQF), ma poco sugli investimenti, sia sul recupero degli apprendimenti che sullo sviluppo dell’intero sistema, anche attraverso la collaborazione di diversi soggetti, pubblici e privati.
Un passo importante è stato compiuto d’intesa tra Stato e Regioni, con la collaborazione delle associazioni degli imprenditori dei diversi settori, nella definizione dei profili professionali nazionali; si spera che oltre a facilitare il riconoscimento delle competenze, un modo un po’ più preciso per sostenere il “valore legale” delle qualifiche e dei diplomi, avvicini i sistemi migliorandone l’integrazione sui territori.
L’impianto curricolare è ancora sostanzialmente bloccato dal centro: materie, orari, graduatorie, anche se c’è stato un apprezzabile sforzo per svecchiare gli insegnamenti, cui segue un costante riferimento alla flessibilità.
Il rischio però rimane sull’altro versante, quello degli investimenti, il che mette la scuola sempre più in dipendenza dei livelli dello sviluppo locale: siamo molto lontani dal modello tedesco anche per quello che riguarda l’intervento delle imprese.
Per far conseguire a un alunno di istituto professionale “solide basi di istruzione generale e tecnico-professionale, che consenta(no) … di sviluppare in una dimensione operativa i saperi e le competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, considerato nella sua dimensione sistemica…” occorre intervenire decisamente sulla didattica.
Anche se non sempre secondo un’apprezzabile gerarchia, tecnici e professionali insistono su metodologie improntate “alla valorizzazione del metodo scientifico e del pensiero operativo, l’analisi e la soluzione dei problemi; il lavoro cooperativo per progetti, l’orientamento a gestire processi in contesti organizzativi; l’uso di modelli di simulazione e di linguaggi specifici; (essi) costituiscono strumenti essenziali per far acquisire agli studenti risultati di apprendimento attesi a conclusione del quinquennio”. Se non si tratta soltanto di una visione idealistica, bisognerebbe capire meglio come mettere in pratica tutto ciò, anche dal punto di vista delle attrezzature, del personale e dell’organizzazione, ma aspettiamo le annunciate indicazioni nazionali, che per il passato hanno costituito soltanto il dover essere e che speriamo ora possano delineare il poter essere di un effettivo rilancio.
Un ulteriore salto di qualità va compiuto nella direzione dell’alternanza scuola/azienda, proprio per quel che si dice nel regolamento di consentire “una pluralità di soluzioni didattiche, favorendo il collegamento con il territorio”, sia per la funzione formativa che può compiere la stessa impresa, sia per la comune elaborazione del rapporto tra teoria e pratica
La formazione di base deve intrecciarsi dunque con l’elevazione dell’obbligo di istruzione e l’acquisizione delle competenze di cittadinanza attiva, e quella di indirizzo, presente fin dal primo anno del secondo ciclo, non va vista come separazione dei percorsi, ma orientamento dei processi.
Nell’alternanza sono poi gli ambienti di apprendimento non formali ed informali a rinfrancare la personalizzazione delle attività formative.
Il saggio I “nuovi” istituti tecnici e professionali di Gian Carlo Sacchi
Gian Carlo Sacchi