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Rafforzare la scuola dell’infanzia e finire il ciclo a 18 anni

Pubblicato il: 17/12/2014 16:19:00 -


Intervista a Francesco Cappelli* (Assessore all’Educazione e Istruzione del Comune di Milano) sulla riforma dei cicli scolastici. La voce competente di chi quotidianamente, si confronta, con l'intero percorso della scuola.
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La scorsa settimana Luigi Berlinguer nella rivista Education 2.0 e sul Corriere della sera/Scuola ha posto con molta chiarezza la necessità di sollecitare una forte riflessione sul tema della revisione “dell’architettura scolastica” del nostro Paese, dichiarando che non si può “tenere a scuola i nostri ragazzi fino a 19 anni” e che per questo il percorso di studio va ridotto di un anno portando la terminalità degli studi a 18 anni come previsto in molti Paesi europei.
Il problema è, dove tagliare questo anno.
C’è una proposta che indica di accorciare il ciclo della secondaria superiore di un anno portandola da cinque a quattro anni. Mentre la riforma dei cicli, abrogata dal centro-destra aveva risolto questo problema puntando su un curricolo verticale, unitario di 7 anni con la conclusione dell’obbligo di istruzione ai 15 anni.
La necessità di un impianto fortemente unitario e verticale, del resto viene confermato anche dalle nuove indicazioni per il curricolo entrate ad ordinamento nel 2012 e dalle esperienze degli Istituti comprensivi che delineano un modello unitario del ciclo della scuola di base.

In base anche alla sua esperienza di Dirigente scolastico di un Istituto comprensivo e attualmente Assessore all’istruzione di una grande città come Milano, potrebbe delineare il suo punto di vista su una questione rilevante come questa?

Rispetto alla lunghezza complessiva del ciclo di studi del nostro sistema nazionale credo si debba partire dalla considerazione dell’attualità in relazione a dati concreti. Il disegno presente prevede, oltre l’asilo nido che è di competenza degli enti locali, un ciclo iniziale di 3 anni di scuola dell’infanzia non obbligatoria, preceduti da sezioni primavera considerate di saldatura tra nido e scuola dell’infanzia. La scuola dell’infanzia è di competenza dello Stato, tanto che le “Nuove Indicazioni” partono, nel dettare indirizzi didattico/educativi, proprio da tale segmento, riconoscendo pienamente a esso una dignità educativa fondamentale e spesso fondante rispetto all’impianto per competenze, che successivamente arriva alla secondaria di primo grado.
È noto a tutti che in realtà la scuola dell’infanzia viene garantita, molto spesso, dagli enti locali e da un universo di scuole paritarie spesso in funzione sussidiaria. Il Comune di Milano, ad esempio garantisce il servizio Scuola dell’infanzia a 22.000 bambini, a fronte di 2000 che sono accolti da sezioni statali. La situazione si ripete, in misura di poco inferiore, per altre realtà quali Bologna e altre città.
L’esigenza di un’integrazione di sistema tra scuole dell’infanzia paritarie (lo sono anche quelle del Comune) e quelle statali con attenzione soprattutto al ruolo dei docenti, tutti con titolo, ma con contratti molto diversi, costituisce un tema fondamentale, soprattutto nella prospettiva di revisione complessiva dei cicli.
Diventa, infatti, importante, nel ridisegno complessivo, decidere quale rilievo dare a questo ciclo iniziale, pensando di conciliare la grande significatività educativa con tempi adeguati di sviluppo psico-cognitivo da garantire ai bimbi.
In altre parole, quale attenzione va garantita nel ridisegnare i cicli dall’inizio, al giusto percorso, anche sulla scorta delle preziose esperienze che ci hanno proposto all’attenzione internazionale, e ai tempi necessari da rispettare nella maturazione degli alunni?
La realtà di oggi, soprattutto relativa alla possibilità di anticipo alla frequenza della prima classe di scuola primaria, vede differenze tra bimbi spesso superiori a 1 anno, con punte che arrivano a 20 mesi… ciò vale come spunto di riflessione per considerare, in un’ipotesi di revisione, l’opportunità di introdurre l’obbligo relativamente ai 5 anni. Potrebbe, infatti, restare il periodo 3-4 anni, preceduto da consolidamento delle sezioni primavera, come scuola dell’infanzia dando ai bimbi di 5 anni l’opportunità di frequentare il primo anno; ovviamente da ridisegnare in termini didattici, di scuola primaria.

Ritengo questa possibilità quella meglio praticabile rispetto ad altre: iniziare con l’obbligo a 5 anni garantirebbe l’uscita a 18 anni, senza penalizzare il curricolo post-scuola secondaria di primo grado.
Una tale ipotesi dovrebbe prevedere un riadattamento del percorso didattico educativo, prevedendo un riallineamento dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, rendendo la nuova prima di scuola primaria un’esperienza che mantenga l’apertura educativa dell’attuale infanzia, pur approcciando a percorsi cognitivi significativamente connotati. Ricordo che i vecchi programmi della scuola elementare degli anni 70 prevedevano l’acquisizione della competenza della lettura e della scrittura al termine della seconda classe. Basterebbe tener fede a questa semplice indicazione, densa di implicazioni didattiche ed educative, per riequilibrare utilmente il sistema.

Su quali punti ritiene importanti intervenire per ridisegnare l’architettura del nostro sistema d’istruzione?

Dopo aver parlato diffusamente del primo ciclo e del suo ridisegno, fosse questa la strada scelta, si imporrebbero successivamente altri elementi di riequilibrio che vanno messi in rilievo. In particolare va pensato improcrastinabile l’eliminazione degli esami di licenza media, per una serie di ragioni:
1) l’obbligo è già attualmente di due anni oltre la terza media, che senso ha ormai prevedere una frattura con un esame in un momento non conclusivo dell’obbligo?
2) l’attuale esame ha caratteristiche sanzionatorie rispetto ai percorsi successivi: la barriera orientativa determina scelte che sono irreversibili: qui comincia o si consolida la dispersione.
Dopo la terza media, che non si nega, prima o poi, a nessuno, spesso c’è il deserto formativo e l’avvio di percorsi altri assai poco qualificanti, anche sul piano lavorativo. Eliminare l’esame significherebbe rendere l’obbligo attuale più funzionale al percorso e meglio capace di prevenire la dispersione. Va corretto senz’altro il curricolo del biennio, rendendolo più flessibile e permeabile, senza sacrificarne gli elementi di specificità formativa, ma garantendo a tutti gli alunni percorsi più ricchi e articolati, di quanto garantito dal curricolo.
L’impianto didattico seriamente fondato sulle competenze, qualora fosse introdotto nel nostro sistema, garantirebbe il percorso in termini di maturazione personale molto di più di quanto oggi non succeda.

Quali aspetti di sistema rafforzerebbe nell’eventuale uscita a 18 anni dalla secondaria superiore? Oggi dopo il diploma uno studente può iscriversi all’università, frequentare un corso ITS (Istruzione Tecnica Superiore) o IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) o inserirsi nel modo del lavoro. Su quest’aspetto del post diploma su cosa ritiene importante intervenire, anche rispetto all’alto tasso di disoccupazione giovanile presente nel nostro Paese.

Infine, ritengo che in un’ipotetica uscita dal sistema scolastico a 18 anni, pur mantenendo le opzioni attualmente presenti – semmai da rafforzare – dovrebbe essere introdotta un’esperienza obbligatoria di stage lavorativo, in settori ad ampia scelta degli alunni, a tutti indistintamente, con l’obiettivo di entrare in contatto con la realtà lavorativa e giocarsi le competenze acquisite nel confronto con la varietà straordinaria e trasversale del mondo del lavoro.
Tutto ciò sarebbe strumento autentico di orientamento, anche e soprattutto, per la scelta universitaria perché tal esperienza potrebbe distruggere miti, abbagli, false promesse e orientare su percorsi più coerenti con le proprie aspettative.

(*) Francesco Cappelli, Assessore all’Istruzione e all’Educazione del Comune di Milano, è stato per lungo tempo Dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Scuola del sole” di Milano.

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Immagine in testata di woodleywonderworks/Flickr (licenza free to share)

Walter Moro

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