Perché accanirsi contro l’Esame di Stato?
Puntuale analisi sui motivi che non convincono i cambiamenti nelle commissioni dell’Esame di Stato e considerazioni propositive.
Cambiare idea è segno positivo, significa saper stare con attenzione dentro processi complessi di cambiamento, quindi non deve essere considerato sintomo d’incertezza o, peggio, di confusione; quando però contemporaneamente si mandano messaggi contrastanti, senza chiarire se, come e per quale ragione si cambia prospettiva e s’ipotizzano soluzioni che configgono le une con le altre, il problema diviene serio, specie se da tutto questo dipendono comportamenti di cittadini, spesa pubblica e intelligente e doverosa fermezza nel rapportasi a masse di giovani che concludono percorsi di studio per orientarsi verso l’univerità o per entrare nel mercato del lavoro.
Metto in fila quattro delle posizioni ultimamente assunte dal Ministro dell’istruzione:
1) aboliamo i Test di Medicina (penso si voglia dire qualsiasi strumento di regolazione dell’accesso all’istruzione terziaria);
2) rafforziamo il Sistema di valutazione degli apprendimenti conseguiti dagli studenti (con corollari vari sui percorsi premiali per i docenti, che però restano ancora molto vaghi);
3) aboliamo le Commissioni esterne negli Esami di Stato e deleghiamo a un solo Presidente esterno, uno per ogni scuola, la funzione di certificazione dei risultati delle prove;
4) cerchiamo tutte le possibili occasioni di ridurre le spese per stare nei parametri di un “mirato” contenimento di costi.
Una prima osservazione: com’è possibile pensare di risparmiare i soldi per le commissioni esterne degli esami di Stato (costi abbastanza contenuti, perché le presenze esterne si muovono entro territori limitati, salvo abusi, che tuttavia il ministero dovrebbe evitare, senza smontare tutta la procedura) quando poi non ci si preoccupa di quantificare lo sperpero di denaro, di professionalità di tempo di docenti e studenti che potranno/dovranno frequentare uno o due anni di università per essere selezionati dopo un certo numero di esami?
Il riferimento al sistema francese su questo punto è del tutto fuori luogo perché i giovani francesi che si iscrivono, senza Test, a Medicina, così come a molte altre istituzioni del terziario, si iscrivono sulla base di un curricolo costruito nella secondaria, secondo un orientamento specifico del baccalaureato e sulla base di documentati risultati di studio (ogni studente francese dell’ultimo anno è impegnato a prepara il suo dossier d’inserimento).
Se di risparmi si tratta, cerchiamo di non proporre cose che ancora non esistono, ma che certamente costano molto, e non racimoliamo briciole, che francamente appaiono poco rilevanti.
Seconda osservazione: il sistema di valutazione va rafforzato e sviluppato a tutti i livelli al fine di dare trasparenza, equità e omogeneità nella preparazione degli studenti.
Questo è il modo corretto di spendere risorse per la scuola per migliorarla e per cercare, nei limiti del possibile, di offrire opportunità a tutti. La funzione della commissione esterna nell’esame di stato non è qualcosa d’inutile in questa prospettiva, ma il necessario corollario di un sistema di valutazione efficace in un Paese che vuole usare la valutazione per capire, anche misurare, e soprattutto migliorare. È una modalità di peer–review, se vogliamo gestita e sostenuta un po’ burocraticamente, che tuttavia acconsente a chi opera sul campo di vedere in concreto cosa produce il lavoro della singola scuola, di valutare il lavoro dei colleghi, per ripensare il proprio e per abituare i ragazzi a interagire in situazioni in cui devono assumersi la responsabilità di dimostrare a che punto sono arrivati e dove si vogliono orientare.
Mica poco come viatico per i giovani e come occasione di riflessione per i docenti!
Veniamo allora al punto, eliminiamo la questione risparmi, e, se di questo si tratta, eliminiamo anche il presidente che non serve a niente, un controllore factotum, che non potrà controllare nulla, proprio perché il problema non è controllare, ma darsi strumenti per capire e per crescere. Apriamo una discussione su quello che non funziona nel nostro esame di Stato, così come si è consolidato nelle scuole dopo il ripristino, almeno parziale, della commissione esterna, dopo la controriforma Moratti.
Le tesine sono ormai un’esercitazione retorica, spesso raffazzonata e scopiazzata negli ultimi giorni di scuola: è vero, pare di sì almeno nella maggioranza dei casi. Si deve abolire? Si può fare, ma andiamo a vedere per esempio in Grecia, dove la tesina viene scelta dallo studente all’inizio dell’ultimo anno e seguita dall’insieme dei docenti della classe, è costruita come proprio bilancio e proprio orientamento culturale.
Le prove proposte dal ministero, corrette dalle singole commissioni danno risultati inattendibili perché i criteri di valutazione sono troppo diversi? Anche qui andiamo a vedere cosa fanno altri,che devono affrontare i nostri stessi problemi, in Francia le correzioni sono fatte a livello di Académies, in Germania in commissioni per le correzioni a livello dei Laender (il tempo e i costi per fare questi lavori sono molto contenuti e offrono una certo grado di omogeneità), intanto il ministero potrebbe fornire oltre ai compiti di esame, anche le griglie di correzione e, soprattutto per ogni singolo elemento della prova, una spiegazione delle competenze che si vogliono far emergere e il risultato che si intende conseguire.
Questa prassi aprirebbe una fase di dibattito sui contenuti dei vari insegnamenti, sul rapporto tra discipline e competenze ecc. dibatti di cui la nostra scuola ha molto bisogno e che non può esaurirsi col pur meritorio invito a pronunciarsi sul documento per la “buona Scuola”. La buona scuola è fatta di processi lunghi, abbiamo cominciato solo adesso, non trasformiamo tutto in plebisciti ultimativi, ma prendiamoci il tempo per ragionare, provare, cambiare, ecc..
Se poi il ministro vuole un consenso, questo sì a basso prezzo, tra gli studenti, mi chiedo : ne vale la pena?
“La vita non è degna di essere vissuta se al rendimento dei conti non presenta un attivo di lavoro, compiuto ad arricchimento, elevamento e splendore della società cui apparteniamo” queste le parole, con cui Benedetto Croce negli anni immediatamente precedenti e seguenti la prima guerra mondiale si opponeva a richieste di facilitazione dei programmi scolastici e degli esami. In quegli anni era vivo un dibattito pedagogico anti positivista che, soprattutto, gli hegeliani di scuola napoletana combattevano apertamente, ma anche il protagonismo della pedagogia cattolica che difendeva libertà di scelta e pluralità d’indirizzi in nome e difesa della scuola privata d’ispirazione religiosa. Croce si rivolgeva ai giovani che dovevano diventare il ceto dirigente di uno Stato unitario culturalmente forte e, beato lui, si illudeva di non sostenere una posizione anti-democratica perché le scuole buone e serie, seriamente selettive, non avrebbero dovuto precludere accesso a chi non vi fosse indirizzato per ceto e appartenenza familiare. Si parlava molto in quegli anni delle validità di poche scuole, molto buone che avrebbero in qualche modo influenzato positivamente la qualità delle stesse scuole private. L’esame di Stato in questo senso avrebbe dovuto operare una forma di rigido controllo di queste ultime.
Le cose, per fortuna sono molto cambiate e le parole di Benedetto Croce non vanno prese acriticamente come oro colato, ma una scuola veramente democratica deve assumersi la responsabilità di essere seria, deve percorrere strade difficili e non cercare consensi, che, in fondo, gli studenti neanche richiedono.
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Immagine in testata di Christopher Sessums/Flickr (licenza free to share)
Vittoria Gallina