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L’università è cambiata e continua a cambiare (For The Times they  are A-changin’) 

Pubblicato il: 22/07/2020 08:09:42 -


Di didattica a distanza nella scuola si è parlato e si continua a parlare ora, in vista della ripresa delle attività a settembre. Meno evidenti sono l’interesse e soprattutto la preoccupazione per l'Università, al di là del giusto rilievo che si attribuisce alla scarsità delle risorse per università e ricerca. Appare utile porre qualche domanda: l'università è già da tempo attrezzata per questa modalità di lavoro didattico, quindi si sente meno colpita? Quale l'effetto delle università telematiche, che da tempo operano nel nostro sistema? Siamo in presenza di un ulteriore disincentivo alla frequenza ‘in presenza’, dovuto alla mancanza di seri sostegni al diritto allo studio universitario, cui risponde di fatto il ‘non obbligo’ di frequenza? Il rischio è che si aggravino problemi endemici del nostro sistema terziario, per citarne solo alcuni: la scarsa connessione tra didattica e ricerca nei percorsi accademici; la progressiva diminuzione degli accessi e del completamento dei percorsi accademici; l’allontanarsi della prospettiva di percorsi post diploma non accademici di alto livello scientifico-professionalizzante. Vogliamo iniziare un dibattito a più voci su cosa accade a causa dell’emergenza nell’università. La redazione.
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1 – L’università sta mutando da tempo i propri modelli di funzionamento attraverso un processo che combina – in maniera diversa a seconda dei sistemi di appartenenza – procedure tradizionali e procedure nuove. Il processo si spiega con le trasformazioni dei compiti che vengono attribuiti ai sistemi d’istruzione superiore, e in particolare all’università, dall’evoluzione (sempre più ‘globalizzante’)  della società e dell’economia. È possibile che la crisi prodotta dalla pandemia acceleri alcuni aspetti del processo, anche se le previsioni di drastiche trasformazioni dopo periodi di crisi non sono quasi mai confermate.

Le funzioni dell’università sono cambiate in maniera significativa una prima volta negli anni ’60 dello scorso secolo in coincidenza con l’esplosione della domanda sociale e la quasi contemporanea entrata in crisi del patto non scritto che l’università aveva stipulato con lo Stato: patto che prevedeva l’autonomia dell’università in cambio della fornitura della conoscenza necessaria. Ne derivava che l’università forniva – quale unico produttore –  la cultura allo Stato e ne formava i cittadini e le figure professionali. Sempre negli anni ’60-’70 gli studenti-utilizzatori hanno chiesto di avere ruoli di rappresentanza e la politica è entrata negli atenei rompendo il patto di autonomia. Questi cambiamenti avevano inciso sul funzionamento dell’università, ma non (ancora) sul processo di produzione della conoscenza.

2 – A quest’ultimo riguardo, i cambiamenti si sono manifestati quando le richieste di utilizzo della conoscenza sono venute dal mondo economico e hanno portato alla costruzione del cosiddetto ‘Modo 2 di produzione di conoscenza’, comprendente l’intreccio tra università, industria e governo (la ‘triplice ellisse’). Questo modello peraltro non ha cancellato quello preesistente, dal momento che le finalità tradizionali di produzione della conoscenza non si sono esaurite. E tuttavia, finalità tradizionali e finalità nuove non hanno trovato facilmente forme di coesistenza essendo dirette a scopi distinti. Infatti, il nuovo Modo di produzione della conoscenza prevede, tra l’altro, la trans-disciplinarietà e l’eterogeneità dei curricoli, la sovra-specializzazione della ricerca, il legame al contesto e l’orientamento al problema (problem solving). Inoltre, la penetrazione dei valori di mercato nella strutturazione della conoscenza si somma al coinvolgimento degli utilizzatori nella produzione della conoscenza stessa. 

3 – In questo processo ininterrotto di evoluzione della società, come dei sistemi economici e di quelli di produzione del sapere, la diffusione generalizzata del Covid-19 sta sottolineando alcune tendenze e facendo emergere possibili ruoli del sistema formativo: in particolare dell’istruzione superiore.  

L’esempio più immediato è fornito dalla digitalizzazione delle attività universitarie (della didattica nello specifico) che suggerisce il ripensamento complessivo della trasmissione della conoscenza. Ne derivano almeno due conseguenze: da un lato la formazione degli insegnanti alla didattica con riferimento all’uso delle nuove modalità (tema riguardante la formazione della figura professionale del docente universitario, mai collegata formalmente all’insegnamento); dall’altro, la differenziazione tra gli utenti variamente forniti degli strumenti necessari e dei contesti privati adatti alle attività didattiche in remoto.

L’altro aspetto significativo è rappresentato dal cresciuto apprezzamento del ruolo svolto dalla scienza e dalla ricerca nella terapia antivirus e, di riflesso, dall’università come sede di riferimento per la soluzione dei problemi sociali. È pensabile che per questa via si venga accentuando il collegamento diretto, da qualche tempo in crescita, dell’università con il sistema economico/ sociale e con il territorio. Da qui la spinta a una formazione tesa alla soluzione dei problemi (i curricoli interdisciplinari) e alle attività collegate alla soluzione dei problemi del territorio: attività comprese nella Terza Missione (con quelle legate alla medicina oggi in particolare evidenza). 

4 – Più in generale si può osservare come l’evento della pandemia abbia fatto emergere aspetti di un processo di ripensamento delle funzioni e delle attività che l’università è chiamata a svolgere all’interno della trasformazione dei sistemi di produzione e trasmissione della conoscenza. 

Il maggior rapporto con il mondo del lavoro e delle figure professionali ripropone – oltre all’interdisciplinarietà e alle competenze trasversali (soft skills) – il tema della filiera universitaria professionalizzante, come anche quello della riqualificazione degli adulti (lifelong learning). Sempre nell’ambito della didattica – destinata a ricoprire un crescente rilievo nell’università – si evidenzia, nel nostro Paese, la necessità di una formazione di qualità per i quadri della pubblica amministrazione (a livello soprattutto regionale) e di una classe dirigente in grado di operare a livello europeo.

In prospettiva, sembra  che l’università italiana  non potrà non essere coinvolta da un accumularsi di compiti, tra loro non sempre coerenti, che l’evoluzione dei processi di globalizzazione attribuisce alla gran parte dei sistemi d’istruzione superiore.  I modelli proposti e in via di sperimentazione nei diversi contesti vanno dalla università imprenditrice alla università burocratica, dalla università aziendale alla università civica. Una prospettiva legata alla dimensione globale delle problematiche di fondo fa anche proporre la università ecologica. Di sicuro si deve riconoscere che sono fatalmente avviati al tramonto i modelli di università tradizionale così come l’intera cultura liberale. Occorre dunque immaginare nuovi tipi di università per le nuove e vecchie funzioni che viene chiamata a svolgere.

 

Roberto Moscati Professore a contratto presso l’Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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