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La spirale virtuosa dell’apprendimento

Pubblicato il: 06/03/2009 12:23:09 -


L’Homo sapiens è il solo primate capace di pedagogia, cioè di prestare attenzione alle conoscenze e agli stati mentali altrui ai fini dell’insegnamento, ma questa capacità non è indifferenziata e ha bisogno di essere sostenuta da una spiccata sensibilità e da conoscenze specifiche.
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In Pygmalion, del 1913, George Bernard Shaw ci racconta che la fioraia del Covent Garden Eliza Doolittle ebbe la fortuna di incrociare sulla propria strada il professore di fonetica Henry Higgins, il quale la guidò nei meandri della lingua inglese fina a renderla padrona di essa.

Non tutti hanno questa buona sorte. Al di fuori della funzione scenica, nel teatro della vita quotidiana, non è infrequente il caso di “pigmalioni alla rovescia” che anziché aiutare gli altri a crescere ne bloccano i processi evolutivi. Il guaio è che questo avviene anche nella scuola, cioè in quell’ambiente che, per missione, dovrebbe stimolare e favorire lo sviluppo delle persone.

Perché e come questo accada ce lo spiega Stanislas Dehaene, un matematico, diventato una delle massime autorità nel campo della psicologia cognitiva sperimentale, materia che insegna al Collège de France. Sulla base di rigorosi studi sul funzionamento del cervello Dehaene ci fa presente che quest’ultimo non è né una tavoletta di cera sulla quale si può imprimere a piacimento ciò che si vuole, né una spugna in grado di assorbire qualunque cosa, ma un organo già strutturato che impara soltanto ciò che è in risonanza con le sue conoscenze anteriori. Non è pertanto fortuito insegnare la lettura (o la matematica, come lo stesso Dehaene ha evidenziato nel suo libro Il pallino della matematica) in un’età in cui il cervello è ancora molto plastico. Nel corso dell’infanzia meccanismi genetici rigidi aprono, brevemente, una stretta finestra di plasticità che deve essere immediatamente coltivata prima che si richiuda. Questo periodo, che dura solo qualche anno, è l’effetto di quello che Dehaene chiama il “riciclaggio neuronale”, grazie al quale diventiamo capaci di riutilizzare un meccanismo biologico già disponibile per una funzione diversa da quella a cui esso era destinato inizialmente.

Come sottolinea il primatologo David Premack, l’Homo sapiens è il solo primate capace di pedagogia, cioè di prestare attenzione alle conoscenze e agli stati mentali altrui ai fini dell’insegnamento. Questa capacità non è indifferenziata, in quanto richiede una spiccata sensibilità per gli specifici processi cerebrali e una buona conoscenza dei loro meccanismi, tali da fare dell’insegnante una sorta di alchimista, capace di trasformare un cervello fondamentalmente composto di moduli rigidi in un sistema nuovo, caratterizzato da una configurazione di rete interattiva. Questo sistema, prima che la plasticità cominci a scemare, deve acquisire una struttura solida, fatta della padronanza delle procedure per pensare e per argomentare, alla quale vanno riferite le conoscenze via via apprese per potere essere assimilate e “incorporate” e diventare, oltre che oggetto del nostro sapere, anche strumenti attivi per una migliore comprensione dell’apparato cognitivo, della rete di concetti e dei linguaggi di cui ci serviamo per porci in una relazione efficace con la realtà in cui siamo immersi. Così le procedure (analisi, astrazione, analogia, deduzione, induzione, abduzione) aiutano a impadronirsi di nuovi contenuti, e questi ultimi rafforzano la consapevolezza delle procedure disponibili, in una spirale virtuosa in cui è racchiuso il segreto dell’apprendimento.

Per approfondire:
• Stanislas Dehaene, Les neurones de la lecture, Odile Jacob, Parigi 2008, introduzione di Jean-Pierre Changeux.
• Stanislas Dehaene, Il pallino della matematica. Scoprire il genio dei numeri che è in noi, Mondadori, Milano 2000.

Silvano Tagliagambe

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