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Quale cultura per la società contemporanea? parte 2

Pubblicato il: 14/12/2022 06:17:39 - e


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La replica

di Giuseppe Cappello

Utile/Inutile

La filosofia non stigmatizza l’utile in quanto tale. Tutt’altro! È chiaro che nella Heller, filosofa di formazione marxista, l’utile viene stigmatizzato nell’accezione egemonica che esso ha finito per assumere nel mondo contemporaneo. Accezione che salinizza ogni dimensione dell’utile che non sia quella dal risvolto, diremo così, tecnoeconomico. La stessa tecnica, insieme all’utile, viene concepita ormai dentro l’orizzonte economicistico. Non è un caso che schiere di studenti dagli alti e qualificati  studi liceali non riescano più a concepire la frequentazione del liceo scientifico se non in funzione degli studi ingegneristici. La matematica pura, così come pure la fisica pura, tralasciata a mio avviso dalla Heller o perché ricondotta nello stesso alveo delle matematiche o per una pura omissione discorsiva, si configurano oggi di fronte agli individui alla stessa stregua del latino e del greco. Cosa ci faccio? Cosa ci guadagno? Cosa ci guadagno, s’intende, anche  qui, economicamente. Con il che, sia ben detto, non c’è alcuna nuance pauperistica nell’inchiostro della penna di chi scrive. Il problema è quello per cui, come avrebbe detto Aristotele, l’essere non si riesce più a dire pollachòs. Tutta la sfera dell’utile, del guadagno e dello stesso merito hanno finito oggi per dirsi monachòs. La matematica e la fisica si risolvono nell’ingegneria e, ahinoi, ogni elemento della stessa ingegneria si risolve a sua volta, con buona pace della Torre Eiffel, nella ragioneria. E questo è il punto in cui la stessa divulgazione di Angela trova la condizione del suo successo. Lascia infatti credere che in una consumazione al fast food delle anime si possa acquistare, è il caso dire, quel sapere che tacita i nostri scrupoli di esseri razionali ormai sempre più votati a esseri ragionieri. Con buona pace della filosofia, della matematica, della fisica, dell’ingegneria ma soprattutto della felicità individuale e collettiva. Vennero una volta in una scuola in cui insegnavo diversi annio fa, a proposito, taluni psico-sociologi che oggi non è poi così improbabile incontrare nelle frequentazioni degli istituti scolastici, che promettevano al corpo docente di riuscire a indicare la strada «per misurare – parole loro – il PIF dell’Istituto». Il Prodotto Interno della Felicità dell’istituto. Questi i timori fra inutile e utile dunque. La risoluzione delle matematiche stesse nella ragioneria in luogo della ragione. 

Uomini/Robot

Il tema della misura ci conduce dentro lo stesso tema della caleidoscopicità con cui ormai si leggono in un indistinto controluce uomini e robot. Scrive, in uno dei suoi frammenti pervenutici, Eraclito: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos».  L’idea invece che tutto sia misurabile e fra l’uomo e il robot ci sia una sorta di possibile osmosi logica, gnoseologica e persino ontologica è tutt’altro che peregrina. Tutto il discorso corrente sul ‘post-umano’ ne è prova. Un discorso che oltre a cedere di fronte all’irriducibile coppia di concetti (e di concepiti) ‘misura’/’dismisura’ si costituisce su un’indebita riducibilità fra la techne e la physis.  Il teologo, naturalmente, ha un gioco facile a dimostrare questa irriducibilità. Anche se in verità nella concezione teologica dominante proprio l’uomo è il frutto di una techne. Una techne divina ma pur sempre una techne. Il filosofo (e il filosofo che procede non contro la scienza ma in simbiosi con i suoi risultati più avanzati), sembrerebbe avere un compito più arduo, ma è lui  ad avere le categorie più appropriate per spiegare questa irriducibilità. L’irriducibilità che si costituisce fra ciò che è il frutto di una tecnica e ciò che è il frutto della natura. Fra ciò che è disegno di un progetto intelligente e ciò che, insieme alla causalità della selezione naturale,  presuppone un elemento irriducibile di casualità per il venire alla luce (phyein) degli esseri. 

Tecnica e scuola

Quell’elemento di casualità che la natura ha in sé (garantendo, come insegnano Epicuro e Lucrezio rispetto a Democrito, anche il relativo spazio morale della libertà) rispetto agli intelligent designs di un immaginato architetto celeste platonico-giudaico-cristiano lascia certamente un respiro maggiore all’organizzazione del cosmo rispetto a quanto oggi succeda nel mondo della scuola. Quel mondo in cui ci sembra che la direzione sia proprio quella della professionalizzazione di ogni tipo di studio. Ci pare, infatti, di contro al nominalismo con cui ogni indirizzo di studi corre a impossessarsi del termine di liceo, nei fatti sia in corso un’altrettanta sparizione della licealità. E qui si ritorna, in maniera circolare, al tema iniziale. Ogni materia di studio deve infatti oggi, soprattutto di fronte alle famiglie, dimostrare una sua spendibilità sul mercato delle professioni. I progetti che le scuole inseriscono nell’agenda dei loro curricula ormai sotto il terribile acronimo dei cosiddetti PTOF parlano chiaro. Lo stesso acronimo parla chiaro e, nell’aggiunta dell’aggettivo ‘Triennale’ al più innocente ma eloquente POF,  si interfaccia più con il prospetto di una bimestrale di cassa che rispetto all’idea che la formazione del giovane avvenga «d’improvviso nell’anima dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima» (Platone, Lettera VII). In realtà, «il lungo periodo di discussioni sull’argomento» che nella vita di un uomo in formazione o è in quel periodo o non è più, pure esso è sotto le attenzioni e le intenzioni dell’intelligent design che vorrebbe ridurlo da cinque a quattro anni. Bisogna che l’otium si levi di dosso al giovane nel più breve tempo possibile e lasci lo spazio al negotium. La scholè, puranche fattasi propedeutica alla professione, lasci il prima possibile spazio alla professione pura. Altro che matematica pura, fisica pura e filosofia! Il bignami televisivo di Angela ci potrà accompagnare per sentirci ancora vivi, razionali e colti … quella vita, razionalità e cultura che nella più frontale delle lezioni possibili ci coglierà, tornati esausti dalla professione, nello zapping dello sdraio su un divano. Per carità, sempre più in 3D … le «magnifiche sorti e progressive» della tecnica!

La risposta

di Mario Fierli

Utile/inutile/uomini/robot

E’ vero che l’ingegneria nasce, a metà dell’800, come strumento indispensabile per la rivoluzione industriale e che, proprio per questo, acquisisce due caratteristiche: l’enciclopedismo tecnico e la logica procedurale. Ma occorre anzitutto considerare che queste non riescono a sostituire dal tutto l’immaginazione, l’indagine, la dialettica della scelta, l’esperimento. E, soprattutto, che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione non riescono a stabilizzarsi in procedure standard, ma, ibridandosi con le vecchie, destabilizzano anche quelle. Il concetto di complessità è oramai entrato nella cultura degli ingegneri.

E comunque non tutta la tecnica è riconducibile all’ingegneria: ci sono infiniti contesti in cui essa fa appello alle doti dell’intuizione e della sperimentazione. E non si tratta solo di sistemi di produzione, ma anche del confronto quotidiano di tutte le persone con le tecnologie: una vera lotta  basata sulla scoperta per intuizione e tentativi/errori come succede con le tecnologie dell’informazione. Del resto già Platone (Eutidemo) parla di technè dell’utilizzatore e ne decreta la priorità su quella del produttore, perché è l’unica capace di dare significato agli oggetti tecnici.

Tecnica e scuola

Che i licei abbiano perso in gran parte la loro identità è vero. Ma credo che sia tempo di riprendere il vecchio discorso sul rapporto cultura e professione. E’ vero che la separazione fra le due ha caratterizzato quasi tutto il novecento e che è ancora lo schema costitutivo della scuola tedesca. Ma ci si debbono porre due domande. La prima è se questo schema sia culturalmente desiderabile. La seconda è se sia socialmente possibile. Lo schema novecentesco corrispondeva perfettamente a una società con confini di classe marcati e con l’idea di una società gerarchica. Ma domandiamoci: la proliferazione dei diversi tipi di licei è solo ricerca di uno status senza fatica e qualità o è il ritratto oggettivo di una società. Teniamo conto che gli Istituti Tecnici Economici hanno praticamente perso la loro ragione d’essere e gli Istituti Tecnici Tecnologici verranno sempre più spinti sul versante del lavoro.

Quale che sia la soluzione credo che alla separazione fra sistemi non debba corrispondere una totale divisione culturale.

Faccio concludere a Luciano Gallino, che è stato grande sociologo del lavoro e della società, e che in un suo saggio Critica della ragione tecnologica, scrisse:

“Per mettersi in condizione di guidare la tecnologia del XXI secolo verso fini umani, una ragione tecnologica rivisitata dovrebbe poter contare, a sua volta, su una scuola e su una università le quali, mentre fanno fronte alle crescenti esigenze di specializzazione disciplinare, sappiano coltivare il dialogo fra le discipline tecnologiche e discipline umanistiche come una proprietà intrinseca e fondativa dell’educazione del futuro”.  

 

Giuseppe Cappello Docente di filosofia e storia al Liceo Augusto Righi di Roma, Mario Fierli della redazione di Education2.0

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