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Valutazione: una conversazione genitore-insegnante

Pubblicato il: 05/11/2012 16:39:00 -


Viene scardinata l’idea che il voto debba essere fine a se stesso per immetterlo, invece, nel processo educativo della persona: non è un mezzo ma il fine dell’educazione, occasione per un incontro.
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Il sottotitolo di questo curioso libretto esprime molto bene le ragioni che hanno condotto un genitore (che sarei io, Maria Grazia Colombo) e un’insegnante (Gregoria Cannarozzo) a incontrarsi più volte, per alcune serate, e confrontarsi sul tema della valutazione.
La valutazione dell’alunno è materia delicata e difficile da affrontare sia per il genitore che per l’insegnante stesso. Occorre attenzione, serietà e rigore nell’affrontarlo.
E così è stato: il genitore è diventato alunno dell’insegnante utilizzando un metodo particolare che è quello di porre delle domande. Leggendo il testo vi accorgerete che le domande non sono solo esito di una voluta impostazione grafica ma l’ossatura del libro stesso. Sono domande nette, infatti, che introducono i temi, pongono le questioni con determinazione quali introduzioni a risposte serie, complesse ma poste però con un linguaggio semplice e chiaro proprio per aiutare il genitore a capire.
Si parla di istruire, educare e valutare nel processo di apprendimento, la cornice è questa, ma con la prima domanda, dopo la premessa normativa, si entra subito nel cuore del problema mettendo in relazione valutazione e autonomia.
Poi, guardando allo scenario europeo, ci si interroga sulle conoscenze, competenze e certificazioni, termini abbastanza difficili per noi genitori, per arrivare poi a introdurre la valutazione come processo e non semplice registrazione di risultati buoni o cattivi.

Si scopre la dimensione relazionale della valutazione, il sapere e il saper fare e le emozioni di chi apprende e di chi insegna. Viene scardinata l’idea che il voto debba essere fine a se stesso per immetterlo, invece, nel processo educativo della persona.
Insieme, genitore e docente, abbiamo scoperto che la valutazione crea coesione fra la professionalità e domanda di educazione definendo così la “mission” della scuola. Ancora, che il voto o giudizio non è mezzo ma fine dell’educazione, occasione per un incontro e non semplice misura dell’apprendimento.
Il lavoro continua e il confronto diventa sempre più interessante e proficuo, si affrontano termini quali personalizzazione e responsabilità, valutazione quale fatto educativo e culturale, voti o giudizi frutto di un processo e di una narrazione piuttosto che di puro e semplice pragmatismo o formalismo.
Educazione quindi non più intesa come un fatto privato, ma piuttosto come un fatto pubblico: “La valutazione non appartiene a un mondo separato e imperscrutabile, ma fa sempre i conti anche con la famiglia di chi apprende, nella misura in cui è testimonianza e documentazione del lavoro svolto. Valutazione e rendicontazione del servizio svolto producono, inoltre, inscindibilità fra scuola, mondo sociale e politica”.
La Raccomandazione Ue del 1966 all’art.6 afferma: “L’insegnamento dovrebbe essere considerato una professione i cui membri assicurano un servizio pubblico”.

Riassumendo, la valutazione mette in moto processi relazionali importantissimi, docente-studenti, docenti-genitori ma anche docente-docente provocando un effetto di rispecchiamento. “Il docente che valuta il profitto dei suoi allievi si espone ad essere valutato nei risultati della sua professione e finisce anche per valutare se stesso e non sempre consapevolmente. Sottrarsi a questa specularità ha effetti didattici negativi perché impoverisce la figura del docente”.
Poche righe di conclusione che non vogliono senz’altro chiudere il discorso ma piuttosto in sintesi riaffermare la centralità del docente che si rapporta con i genitori; questi ultimi imparano così a constatare il valore rappresentato dal patrimonio di conoscenze e abilità acquisite e dalle competenze promosse e raggiunte a scuola dai loro ragazzi. Di conseguenza la valutazione è ancorata a parametri condivisi e prodotti dalla stessa cultura didattica, lasciando spazio alla personalità dell’insegnante per evitare l’assopimento del burocrate e, come naturale esito della perdita di presa sulla realtà, un risultato di inefficacia.
La scuola non nasce in una bolla separata dal contesto, bensì in una società fatta di interconnessioni, immersa nel mondo, soggetto e oggetto delle più disparate valutazioni.

Maria Grazia Colombo

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