Quando la valutazione deraglia: analisi di un caso
Il caso che qui propongo è realmente accaduto. Mi è stato proposto telefonicamente da un collega. Mi ha colpito perché rappresenta bene la non comunicazione sui cui si fonda spesso la relazione formativo/didattica e la difficoltà di alunni e insegnanti di trovare i modi e i tempi giusti per realizzarla. Naturalmente ho fatto in modo che nulla permetta di dare un nome ai luoghi e un volto alle persone.
Il fatto. Siamo in una terza media. L’insegnante di inglese sta discutendo gli errori più significativi commessi da alcuni alunni in un compito. È convinto che la situazione sia assolutamente regolare, tesa al punto giusto, ed è sicuro di avere tutto sotto controllo. Come al solito, quando c’è lui in classe. A un certo punto, però, un alunno, con percorso scolastico nei limiti della norma, si alza, si mette davanti alla cattedra e, a viso contratto, senza alcuna baldanza, abbassa i pantaloni e gli slip fino alle ginocchia, mostrando i genitali ai compagni. Sentiti l’alunno e i genitori, il consiglio di classe decide di sospenderlo per un giorno. La giustificazione dell’alunno: “Io e i miei compagni di squadra di calcio, negli spogliatoi facciamo spesso così questo gioco”.
Ipotesi di interpretazione. Propongo quattro elementi di analisi critica.
1) È infondata la pretesa di questo, come di molti altri insegnanti, di saper e poter “controllare” tutto quanto capita in aula con metodi di governo centrati sull’insegnante stesso. In questo modo, al massimo, è possibile controllare alcuni comportamenti di alcuni alunni. Non tutti i comportamenti di tutti gli alunni e, ancor meno, le loro emozioni. Più che al governo insegnante-centrato forse bisognerebbe puntare a una più articolata e diffusa governance del gruppo, comunque attenta ai propri limiti. Ma ha ragione Michel Fabre in Epistemologia della formazione (CLUEB, Bologna 1999): la volontà di potenza è un problema per gli insegnanti.
2) L’insegnante, probabilmente, discutendo gli errori anche del suo elaborato, ha dato a quell’alunno la sensazione di valutare non il suo compito ma lui stesso, nella qualità della sua identità. L’alunno ha avuto l’impressione che l’insegnante – come spesso succede secondo Fiorino Tessaro in Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario (Armando, Roma 2002) – facesse questo passaggio: hai sbagliato il compito perché tu sei sbagliato. E, con un sentimento di indicibile fragilità e sofferenza, ha reagito esibendo ciò che le abitudini dello spogliatoio gli hanno confermato essere, come minimo, “giusto” e, almeno per lui, certamente più importante per la sua identità che non un compito di inglese: gli organi genitali.
3) Il comportamento dell’alunno rivela, comunque, confusione nei “costrutti nucleari di ruolo” (George Kelly, Psicologia dei costrutti personali, R. Cortina, Milano 2004), nei suoi modi profondi di interpretare se stesso in relazione ai contesti e alle reti di relazioni. Non può pensare che ciò che è consentito in uno spogliatoio possa essere consentito anche a scuola.
4) In conclusione, la sospensione decisa dal consiglio di classe appare corretta. Può servire a “contenere” il sintomo. Deve, però, essere nello stesso tempo l’occasione: a) per un più ampio dialogo formativo con quell’alunno e la sua famiglia, con cui esplorare anche la possibilità di un intervento psicoterapeutico; b) per una revisione delle pratiche professionali dei docenti della classe.
Altre ipotesi interpretative sono certamente possibili. Spero si apra un dibattito capace di farle emergere e di individuare strumenti adatti per una misurata e sapiente analisi del contesto scolastico quotidiano.
Eugenio Bastianon