“Il libro della Shoah”
Abbiamo letto “Il libro della Shoah. Ogni bambino ha un nome...” a cura di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, Edizioni Sonda 2009, pp. 192. Pubblichiamo oggi la recensione in occasione del Giorno della Memoria.
Sei milioni è un numero. Difficile persino da immaginare, forse impossibile da sentire. Eppure davanti alle domande dei ragazzi, quelle che dobbiamo loro insegnare a fare, quel numero deve diventare qualcos’altro. Deve diventare facce, storie, vite, memoria. Ma avventurarsi nella comprensione (se è lecito usare questa parola) dell’Olocausto mette in gioco la nostra capacità di genitori, educatori, adulti, di raccontare e far partecipare in modo significativo le nuove generazioni alla presa in carico della memoria come forma di responsabilità, non verso il passato, ma verso il presente e nel presente.
Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, curatrici del “Libro della Shoah”, partono da questa consapevolezza, dallo studio dell’Olocausto, con una sensibilità particolare ai temi dell’infanzia, per confezionare uno strumento capace di venire in aiuto di coloro che vogliano confrontarsi coi bambini e coi ragazzi su questi argomenti. Scrive Anna Foa nell’introduzione: “La mia esperienza di docente mi ha mostrato che non occorre mostrare cataste di morti per comunicare l’orrore. A volte, basta un particolare. Dobbiamo riuscire a ritrovare il pudore delle emozioni. Senza cercare di cambiare il nostro interlocutore con la violenza dell’orrore, usando delicatezza nel gettare i semi della conoscenza e della coscienza”.
Per far sì che il 27 gennaio (e qualsivoglia giorno scelto per affrontare con i giovani i temi della Shoah) sia pratica educativa capace di diventare forma di resistenza all’annullamento dell’individuo è necessario che questo sia “il giorno dei vivi: della memoria per i vivi e non della commemorazione dei morti”, il Giorno della memoria non deve subire una “trasformazione in icona” e congelarsi “in un ricordo senza relazione con il presente”, ma bisogna uscire “dalla metafisica per entrare in una dimensione storica, concreta, viva, e proiettata al futuro”. “Una narrazione autentica, pericolosa, e capace di effetti critici, inizia quando la persona diventa capace di assumere il ruolo degli altri e contemporaneamente guarda se stesso dal loro punto di vista”. Le parole di Brunetto Salvarani, docente, giornalista, teologo ed esperto di dialogo interreligioso che ha curato le considerazioni pedagogiche introduttive all’opera, ci riportano all’urgenza e alla complessità di confrontarci con la memoria di fatti tanto dolorosi nella necessità di costruire “il coraggio e non il culto della memoria” (Barbara Spinelli, citata).
“Il libro della Shoah. Ogni bambino ha un nome…” raccoglie queste suggestioni e le propone in una forma che è stata organizzata in tre parti, nel modo che segue:
• “Narrazioni” raccoglie un racconto inedito di Lia Levi; una pièce teatrale di Uri Orlev; “Ragazzi come voi”, la simulazione di un blog in cui ragazzi e professori postano una raccolta di materiali e testimonianze degli anni Trenta e Quaranta; l’intervista a Marian ed Elizabet, bambini ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
• “Vissuti” mette insieme materiali eterogenei nati dalle esperienze didattiche costruite negli ultimi anni dalle autrici: importanti letture storiografiche, foto, documenti, tra cui canzoni e riproduzioni dei manifesti che ricostruiscono con vivida partecipazione le condizioni che hanno permesso la realizzazione dell’Olocausto;
• “Laboratorio” è la sezione conclusiva che presenta materiale di immediata spendibilità didattica, nel senso più tradizionale del termine: letture, proposte operative, cronologie e mappe, un glossario e una bibliografia multimediale.
Il 27 gennaio 1945 sono stati abbattuti i cancelli del lager di Auschwitz. Il 20 luglio 2000, con la legge 211, il Parlamento italiano ha aderito alla proposta internazionale di indire per questa data il Giorno della Memoria “al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Non ci separa un solo istante dallo sterminio dei campi di concentramento, perché le responsabilità che ci legano alla discriminazione, allo sfruttamento, alla disumanizzazione sono nel presente, “si può, anzi si deve, anche con i più giovani, rielaborare quanto è successo ‘laggiù’, quel ‘laggiù’ che non è solo in Germania, ma anche nell’ambito del comportamento delle persone” (David Grossman dal risvolto di copertina), perché quel ‘laggiù’ e quell’‘allora’ diventino il ‘qui’ e l’‘ora’.
Redazione