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Rapporto Commissione De Rita: il futuro della formazione è diverso dall’ideologia di Sacconi

Pubblicato il: 02/02/2010 17:42:38 -


L’assunto secondo il quale siccome il lavoro è intrinsecamente formativo ogni impresa deve essere automaticamente considerata dotata di capacità formativa è del tutto ideologico. Se è vero che si apprende anche lavorando, non tutte le imprese sono in grado di progettare, gestire e valutare percorsi intenzionalmente formativi.
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La Commissione De Rita è stata attivata nella primavera 2009 dal Ministro del Lavoro Sacconi con l’obiettivo di realizzare un’indagine sulla formazione in Italia che rappresentasse lo sfondo e il supporto delle politiche formative del governo. L’ampio lavoro di analisi e proposta messo a punto dalla Commissione – composta da esperti della materia, ricercatori ISFOL e Censis, dirigenti e consulenti del Ministero del Lavoro – rappresenta senza dubbio uno strumento utile per un intervento di profonda riforma del sistema formativo ed evidenzia, per diversi aspetti, orientamenti non consonanti con le scelte ideologiche e semplificate annunciate dal Ministro.

Un approccio parziale

Il Rapporto, in coerenza con l’impostazione del Libro bianco sul Welfare, assume una visione parziale della formazione, considerandola esclusivamente nella sua connessione con il lavoro. L’indagine prende in considerazione l’insieme delle tipologie e delle risorse della formazione lavoristica, ma la parzialità dell’approccio impedisce di prospettare la costruzione di un sistema dell’apprendimento permanente coerente con la strategia europea del lifelong e lifewide learning. Il Rapporto De Rita di conseguenza delinea esclusivamente un sistema della formazione professionale continua, tracciando un concetto di apprendimento permanente che non abbraccia tutti gli aspetti della vita delle persone, mentre una visione complessiva dell’apprendimento permanente, coerente con la strategia europea, deve superare la tradizionale separazione tra formazione per il lavoro, formazione per la cittadinanza e la qualità della vita. I saperi utili per il lavoro e i saperi necessari per la cittadinanza sono infatti sempre più intrecciati: tutte le indagini a livello europeo confermano la crescente richiesta da parte delle imprese, ancora debole in Italia, di competenze non solo tecniche e professionali, ma trasversali e di base quali autonomia decisionale, capacità di risolvere problemi, di relazione e comunicazione oltre alla conoscenza dell’inglese e dell’informatica. Tutte capacità e competenze parimenti essenziali per il lavoro e per l’esercizio della cittadinanza (si veda l’articolo di Vittoria Gallina sulla proposta di legge per il diritto all’apprendimento permanente).

Il Rapporto evidenzia le criticità del caso italiano

La prima parte del Rapporto analizza le criticità della situazione della formazione in Italia, segnata da un pesante gap quantitativo e qualitativo rispetto ai paesi europei, in particolare a quelli più sviluppati. Nella fase di analisi il documento individua correttamente le cause di questa situazione deficitaria in limiti presenti sia nel mondo della formazione che nel mondo del lavoro, oltre che nella insufficiente comunicazione tra i due sistemi. La principale carenza del sistema formativo, secondo la Commissione, è rappresentata dall’autoreferenzialità dell’offerta incapace di rispondere ai bisogni delle persone, in particolare le fasce più deboli del mondo del lavoro, e alle esigenze delle imprese. In particolare sono evidenziati i limiti della formazione professionale diffusa in maniera fortemente disomogenea sul territorio nazionale e priva di una chiara divisione dei compiti rispetto all’istruzione professionale, la debolezza della formazione tecnica superiore non universitaria, la scarsissima sinergia tra interventi dello Stato, delle Regioni e delle parti sociali, pur in presenza dell’accordo del 2007 sulla formazione continua – sottoscritto dal Ministero del Lavoro, dal Coordinamento Regioni e dalle parti sociali – ma quasi del tutto inattuato. Altrettanto pesanti le conseguenze descritte: carenza di profili professionali adatti a rispondere alla domanda delle imprese, abbandoni e disadattamento scolastico, un’attenzione prioritaria alle procedure – anche a causa degli input burocratici della Commissione Europea – a scapito della valutazione dei risultati. Il Rapporto, a fronte di questa situazione pesantemente deficitaria, suona il campanello d’allarme rispetto alle proiezioni al 2020 sulla domanda e offerta di lavoro europee che vedono il nostro Paese impreparato a fronteggiare la prevista crescita di lavoratori sempre più qualificati.

I limiti delle proposte

Rispetto a questa analisi le proposte contenute nel Rapporto risultano piuttosto generiche, anche se alcune meriterebbero di essere prese sul serio, soprattutto quelle che risentono meno dell’input del Libro Bianco. In particolare quelle riguardanti la costruzione di una nuova governance del sistema formativo (Governo, Regioni, parti sociali) capace di identificare i settori produttivi trainanti e i bisogni del territorio che dovrebbero costituire la premessa per definire i bisogni di formazione. Altrettanto rilevante la proposta di centrare la formazione non più sulla tipologia dei percorsi ma sulle competenze acquisite, modificando anche il ruolo dei formatori, che dovrebbero esercitare più un ruolo di facilitatori piuttosto che di “docenti tradizionali”. Così come la conseguente necessità di costruire un sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite sia nei percorsi di istruzione e formazione sia sul lavoro. Infine assolutamente condivisibile la generalizzazione di metodologie concordate tra Stato, Regioni e parti sociali per costruire un sistema informativo e una modalità di monitoraggio e di valutazione degli interventi che dia una visione d’insieme dell’impatto realizzato, evitando sprechi di risorse e inutili duplicazioni. I limiti più rilevanti delle proposte si riscontrano soprattutto rispetto al ruolo egemonico e irrealistico dell’impresa come sede assolutamente privilegiata (meglio se unica) di sviluppo delle professionalità e perfino della certificazione delle competenze, in sinergia con la bilateralità delle parti sociali.

Prevale l’ideologia aziendalista

Già sul piano dell’analisi il lavoro della Commissione De Rita si muove in modo asimmetrico, mentre approfondisce i limiti del sistema formativo, non mette sotto esame i limiti del sistema produttivo italiano, la cui domanda di conoscenze e competenze è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi sviluppati. Le imprese italiane, infatti, sono collocate agli ultimi posti tra i Paesi sviluppati per investimenti in formazione, ricerca e innovazione; anche quando la formazione è obbligatoria come nei casi dell’apprendistato e della sicurezza nella maggior parte dei casi non viene effettuata. L’indagine Censis 2009, in linea con i dati forniti dall’ISFOL e da Almalaurea, conferma le difficoltà del sistema produttivo italiano ad assorbire manodopera qualificata e a valorizzarla attraverso rapporti di lavoro non precari e ben remunerati. Anche per i laureati di economia e ingegneria, secondo i dati dell’ultimo rapporto Censis, lo stipendio medio annuo atteso dagli italiani è inferiore di più del 20% di quello medio europeo. Inoltre, secondo i dati Censis, solo il 3% delle piccole imprese ritiene utile collaborare con le università e i centri di ricerca. Il nodo da affrontare allora è sostanzialmente rappresentato dal circolo vizioso derivante da una domanda insufficiente di formazione e un’offerta spesso autoreferenziale: la domanda scarsa non stimola l’offerta a crescere e migliorare e l’offerta poco attenta ai bisogni non modifica l’orientamento della maggioranza delle imprese a non investire in formazione. In questa situazione l’idea chiave, presente nel Rapporto De Rita e ancor più enfatizzata nelle linee guida proposte dal Ministro Sacconi, di rilanciare la formazione in Italia affidandola sostanzialmente al sistema delle imprese non può che essere fallimentare e controproducente: la quantità di lavoratori in formazione e la qualità dell’offerta formativa sarebbero inevitabilmente destinate a diminuire ulteriormente.

Promuovere la capacità formativa delle imprese

L’assunto da cui muove Sacconi, secondo il quale siccome il lavoro è intrinsecamente formativo ogni impresa deve essere automaticamente considerata dotata di capacità formativa, è del tutto ideologico. La realtà è diversa. Se è vero che l’apprendimento avviene anche in modo informale e che si apprende anche lavorando, ogni impresa non è automaticamente formativa, cioè in grado di progettare, gestire e valutare percorsi intenzionalmente formativi. In particolare nel sistema produttivo italiano, in gran parte costituito da aziende di piccole dimensioni, la capacità formativa delle imprese è decisamente poco diffusa. È vero che il documento, rilevando che non tutte le imprese ce la farebbero, rileva l’opportunità di definire “a quali condizioni i contesti aziendali siano realmente formativi, quali tipologie di competenze possano essere efficacemente acquisite nell’impresa e a quali condizioni l’impresa possa svolgere un ruolo formativo utile alla collettività”. Ma a queste dichiarazioni sensate non viene dato seguito con proposte concrete (ad es. presenza di un tutor qualificato, sedi attrezzate per la formazione ecc.) perché soverchiate da un impianto ideologico che fa della sola impresa il nuovo motore della formazione e dall’esigenza politico-populistica del governo di creare un nuovo nemico – la formazione autoreferenziale – quale “grande colpevole” del deficit di innovazione del nostro sistema produttivo, per il quale invece non sono previste politiche per stimolarne e sostenerne il cambiamento, rafforzando la convinzione illusoria e perdente che “tutto va bene così”, basta ridurre i costi.

Questa impostazione aziendalistica della formazione rischia inoltre di far predominare una visione corta della formazione, solo strumentale ai fabbisogni formativi a breve termine, perdendo di vista una visione di medio e lungo periodo, ambiti temporali essenziali e determinanti per l’individuazione di fabbisogni formativi. Questa consapevolezza, per altro, è presente nel Rapporto De Rita quando sottolinea la necessità di “giocare d’anticipo sulla domanda e l’offerta di professionalità”, possibile solo in un quadro di programmazione settoriale e territoriale capace di confrontarsi con le sempre più rapide trasformazioni tecnologiche ed economiche.

Per saperne di più:
Rapporto Commissione De Rita

Rapporto ISFOL 2009: preoccupano i dati e ancor più Sacconi

Fabrizio Dacrema

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