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Gli ultimi di ieri e quelli di oggi nella storia della scuola 725

Pubblicato il: 10/03/2021 06:23:32 -


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Alla periferia di Roma sono ancora visibili i resti monumentali dell’Acquedotto Felice, costruito tra il 1585 e il 1587. Alla fine degli anni Sessanta, l’area è sede di un insediamento spontaneo di famiglie provenienti dalle zone più povere del centro sud dell’Italia. Nella baraccopoli appena sorta, don Roberto Sardelli, un giovane sacerdote della parrocchia del quartiere Appio Latino, avvia una tra le più significative esperienze didattiche del secolo scorso ispirata alla scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani. Don Sardelli si trasferisce nella baraccopoli e si rende subito conto che bambini e ragazzi vivono in uno stato di grave disagio e di deprivazione sociale e culturale.

Nel 1968 nasce la Scuola 725, dal numero della baracca che la ospitava, che diventa il luogo della coscientizzazione, di un processo lungo cinque anni che porterà alla consapevolezza dei propri diritti da parte dei baraccati e che si concretizzerà soprattutto nella lotta per la casa.

Sardelli viene osteggiato e isolato dalle gerarchie ecclesiastiche e da molti intellettuali per il suo netto rifiuto di ogni logica assistenzialistica. Egli ha una visione tutt’altro che sentimentale e caritatevole: lotta perché ai baraccati sia riconosciuto il diritto di parola. 

Nella Scuola 725 i ragazzi si aiutano reciprocamente. Sardelli legge con loro i quotidiani e i libri che riesce a procurarsi. Al posto del libro di testo, i bambini e i ragazzi scrivono il loro libro che si intitola, non a caso, Non tacere, pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina, la stessa casa editrice della Lettera a una professoressa del 1967. 

Nel 1973, la baraccopoli viene smantellata. Le famiglie sono trasferite nel quartiere di Nuova Ostia con la conseguente disgregazione delle relazioni nate tra le baracche e il disfacimento del tessuto culturale e comunitario che si era creato.

La storia della Scuola 725 è stata raccontata nel docufilm Non tacere di Fabio Grimaldi, giunto finalista come miglior documentario per il premio David di Donatello nel 2007. Abbiamo rivolto alcune domande a Massimiliano Fiorucci, direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre e presidente della Società italiana di Pedagogia, autore del libro Dalla parte degli ultimi. Una scuola popolare tra le baracche di Roma (2020 Donzelli), scritto con don Sardelli, del quale ha raccolto la testimonianza qualche anno prima della sua morte avvenuta nel 2019. 

Qual è l’eredità della Scuola 725?

Ora come allora, il povero, l’emarginato, lo straniero corrono il rischio di non essere consapevoli dei propri diritti e che altri ne rappresentino i bisogni in modo strumentale, senza davvero volere un cambiamento. Oltre cinquanta anni fa Roberto Sardelli intuì che dare voce ai poveri e agli emarginati fosse la via prioritaria per la conquista di diritti inalienabili e per il pieno esercizio della cittadinanza. «Gli emigranti sono quelli che noi fummo: in questa frase si ritrova la straordinaria attualità del pensiero di don Sardelli. Egli ci ha mostrato con estrema lucidità che la vita delle persone può migliorare e può cambiare attraverso un processo di coscientizzazione che soltanto la cultura permette e garantisce. 

Quali sono gli aspetti didattici più significativi dell’esperienza della Scuola 725?

Don Sardelli, ogni giorno, portava nella baraccopoli l’attualità e la conoscenza dei fatti che avvenivano nel mondo. I bambini e i ragazzi ascoltavano il telegiornale, leggevano i quotidiani, discutevano di temi quali la guerra del Vietnam, i movimenti americani per i diritti. Conobbero, tra gli altri, il pensiero di Malcom X e di Gandhi. Egli anticipò la peer education e la scuola capovolta. La sua fu anche la risposta al sistema delle classi differenziali dove erano relegati molti tra i bambini e i ragazzi delle baracche. Così scrive «Cercai di far capire ai ragazzi che quella del pomeriggio dove venivano tutti non era il doposcuola, il doposcuola era quello del mattino: Rovesciamo la situazione! – dissi – Il doposcuola è quello del mattino. Questa è la scuola! E spiegavo: Scuola significa la formazione, l’impegno – e dicevo – Fate questo la mattina? No! E allora quello è il doposcuola, dove imparate meglio che qui a dire che 2 + 2 fa 4! Stop!»

Qual era il rapporto tra scuola e politica in quegli anni?

Il legame tra scuola e politica era un caposaldo del pensiero di don Roberto. Era fermamente convinto che dalla scuola dovessero partire le azioni di lotta per la conquista dei diritti, la voce dei figli dei baraccati doveva incidere sulla politica locale. Ricordo la memorabile Lettera al sindaco, scritta in dieci mesi da tutti i ragazzi delle baracche, che innescò un processo di cambiamento della classe politica locale. Soprattutto, è la testimonianza dello sviluppo del pensiero e della coscienza per tutti i ragazzi della Scuola 725. 

 

Ada Maurizio Dirigente  Scolastico del Cpia 3 e Ambasciatrice Epale (Electronic Platform for Adult Learning in Europe) 

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