La questione docente
Ancora riflessioni e commenti alla “buona Scuola”, questa volta con un’attenzione specifica verso i docenti.
Gran parte del documento governativo sulla “buona scuola” è dedicato al buon insegnante; un po’ come per la riforma della pubblica amministrazione in cui più che alla rifinalizzazione del servizio fornito al cittadino si parla dell’atteggiamento dello Stato nei confronti del pubblico dipendente. Anche nel nostro caso non si discute di filosofia dell’educazione, ma di un processo di riefficientamento della macchina scolastica e dei loro principali operatori.
I docenti e i dirigenti non sono visti come interpreti di una certa linea politico-culturale – questa, infatti “non è una riforma” – ma come professionisti dell’educazione, di cui vengono analizzate le caratteristiche funzionali, in una dimensione europea.
Il nostro sistema d’istruzione, si dice nel documento, non va assolutamente stravolto; al contrario si tratta di creare le condizioni per l’attuazione piena di quell’autonomia ordinamentale, e quindi professionale, già prevista.
È proprio alla parola autonomia che va dedicata la prima riflessione.
Si tratta di un’espressione più avanzata di quanto previsto dallo stato giuridico del 1974, ma che si ferma prima dell’autodeterminazione, tipica delle “libere professioni”. La politica non invade più tutto lo spazio, ma la pedagogia non è ancora padrona della scena: la pubblica amministrazione rimane saldamente al governo del sistema, così come l’ordinamento scolastico entra a far parte delle competenze esclusive dello Stato, nella formulazione del nuovo titolo quinto della Costituzione, che abolisce le competenze concorrenti con le Regioni. Una maggiore valorizzazione sociale e anche economica del personale della scuola, l’insegnante come modello di vita, ma un maggiore controllo di “produttività”, che accarezza la competitività all’interno e tra le scuole.
Due posizioni che il nostro premier ha sostenuto nei programmi di due diversi momenti delle elezioni primarie.
Un documento coraggioso, che ha il pregio di portare a sintesi praticamente tutti i problemi venuti alla luce in questi anni e le cui soluzioni sono ormai improcrastinabili, che però necessita di un atto di fede soprattutto sul versante degli impegni economici.
A tante nuove assunzioni fa da contraltare il blocco dei contratti, a risorse fresche per la carriera e la formazione si contrappone la spendig review e le anticipazioni per l’ormai famoso contributo degli 80 euro, che sicuramente anche la scuola ha pagato. Un barlume s’intravvede per l’edilizia scolastica.
Gran parte del percorso indicato è di carattere giuridico e organizzativo, mentre sugli obiettivi culturali e professionali, appena accennati, c’è ancora da scommettere per un reale rinnovamento, sia che si voglia spingere l’acceleratore verso una qualità del lavoro didattico giudicato dai “clienti” o dalle grandi centrali valutative, oppure che si voglia costruire un docente compagno di viaggio, di cui ci sarebbe non poca necessità data l’indole e le condizioni di vita dei nostri giovani. Di sicuro c’è che il 66% dei docenti avrà compensi aggiuntivi e di carriera, in una professione dove l’elemento collegiale rimane un riferimento imprescindibile.
Con queste proposte si ha l’ambizione di trasformare gli insegnanti in una forza propulsiva di cambiamento del nostro sistema educativo, a fronte di un presente in cui si trovano piuttosto depressi e disorientati, perché consci che i modelli del passato devono essere rivisitati, ma è prima di tutto la cultura professionale che deve cambiare, andando oltre una funzione impiegatizia, senza finire in una deriva assistenziale.
La più grande notizia riguarda le assunzioni: scomparsa del precariato e nuovi concorsi, stabilità dei docenti, copertura dei posti attraverso l’organico funzionale per dare maggiore autonomia e flessibilità al curricolo e azzerare le supplenze, ma appena entrati li aspetta una carriera “per merito” che “valorizzi l’impegno di ogni insegnante e il suo contributo al miglioramento della scuola”. Un doppio salto mortale: di piani triennali per eliminare il precariato abbiamo già sentito parlare ai tempi del dicastero Fioroni, ma, manco a dirlo, si tratta di risorse aggiuntive, in un anno…, così come per la progressione di carriera, anche se si assorbono in parte gli scatti esistenti. Un diverso e più favorevole avanzamento non può presentare inconvenienti, ma è la qualità da attribuire che non viene identificata, cosa che anima da parecchio tempo il dibattito.
La sicurezza del posto di lavoro è una delle più importanti condizioni a sostegno della motivazione e del rinnovamento; lo Stato, prima o poi, sarà chiamato a pagare i diritti ormai tutelati in sede europea e non verranno più tollerate leggine atte a rimuoverli; i nuovi concorsi dovranno selezionare i migliori, con “meno valutazione dei titoli e più punteggio alla capacità pratica di insegnare”.
E qui c’è da guardare indietro alla formazione iniziale dove manca un percorso orientativo e la discussione non è su quanti anni di Università, ma sul come si arriva a fare l’insegnante. Un giusto equilibrio va trovato tra una formazione accademica generale, che ha bisogno di momenti di approfondimento pedagogico-didattici e un percorso specialistico che rischia di finire in un binario morto rispetto agli sbocchi occupazionali. Non può trattarsi solo di corsi attivati sulla base dei fabbisogni specifici, ci vuole una specializzazione senza far venir meno la formazione generale, disciplinare.
L’insegnamento deve stare alla pari con le altre professioni, altrimenti rischia di isolarsi e di essere considerato inferiore; cosa che è rimasta nonostante le tante modalità sperimentate in questi anni per l’accesso. I tirocini nelle scuole potranno essere anche un sostegno alle supplenze. Ma poi c’è da guardare avanti ad una formazione in servizio, “obbligatoria”.
“Oggi i docenti devono gestire la multiculturalità, i BES, le TIC… non devono insegnare un sapere consolidato, ma modi di pensare, metodi di lavoro, abilità per la vita”. Cose note, ma è necessaria un’inversione radicale nella formazione, in primis in quella iniziale e combattere un vero e proprio analfabetismo di ritorno.
Ancora risorse, che in questi anni sono calate anche per effetto della scadenza del contratto, e una rete di saperi a dimensione ormai europea. Verifica delle competenze (attendiamo l’annunciato quadro sul quale si fonda, come detto dall’UE, una visione condivisa della qualità del docente), ricaduta sull’innovazione: “un sistema di crediti formativi da raggiungere ogni anno, da legare alla propria carriera ed alla possibilità di conferimento di incarichi aggiuntivi…..:portfolio”. Dietro a questo documento c’è il comitato di valutazione, presieduto dal dirigente scolastico e con un componente esterno. È detto comitato che sceglie tra l’altro il “docente mentor”, nuova figura strategica per la qualità del sistema. Davanti c’è un registro pubblico che viene utilizzato dai dirigenti scolastici per la chiamata diretta, da mettere in relazione anche con la mobilità dei docenti, favorita per migliorare l’offerta o indotta per chi non raggiunge la quota di incentivazione. Si passa dalla sovranità del consiglio dei docenti a quella del preside e del comitato di valutazione.
Ci sarà una graduatoria nazionale, senza limiti territoriali, che darà la possibilità di “esprimere preferenze locali”. Non si parla nemmeno di distanze come nella predetta riforma della pubblica amministrazione. Non è stata presa in considerazione la revisione delle classi di concorso, che soprattutto nella scuola media devono andare oltre la frantumazione delle materie per costituire aree di apprendimento ed intercettare i nuovi bisogni educativi. Gli organici devono essere flessibili, come si è detto, negoziati tra stato, regioni e autonomie scolastiche o reti di scuole, in modo da non soddisfare soltanto il “curricolo nazionale”, ma le effettive esigenze dei territori.
Mentre sul versante della formazione si fa leva sull’esperienza, sulla documentazione, sul ricorso alle associazioni e alle reti professionali, su quello dei risultati si torna al premio individuale, compresa l’innovazione. Questo potrebbe essere l’elemento dirimente del successo dell’intera operazione. Non sempre, infatti, collaborazione e competizione vanno d’accordo, anche se hanno la stessa origine.
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Gian Carlo Sacchi