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L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione

Pubblicato il: 21/11/2014 13:15:28 - e


Non è possibile ignorare alcune sollecitazioni, quindi torna il nostro amato Ramon che continuerà a dialogare e a riflettere insieme ai grandi pensatori del passato. Un’occasione unica per affrontare con un taglio giocoso alcune questioni fondamentali per la nostra esistenza.
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Un grande maître à penser diceva che conosce bene un grande pensatore non chi sa che cosa ha detto di un qualche argomento, ma che cosa direbbe di qualcosa su cui non si è mai pronunciato. Chi sa la prima cosa, per dirla nei termini di Nietzsche, “riconosce” qualcosa, ma solo il secondo “conosce”.

Da questa considerazione nasce la finzione letteraria che da oggi riproponiamo al lettore di “Education 2.0”: il gioco intellettuale di dialogare con i grandi del passato in un eterno presente; meglio, data la difficoltà della cosa, e a sventare una non infondata obiezione di immodestia, non tanto di dialogare, ma di fare dialogare uno studente, curioso sì e intelligente, ma pur sempre un neofita, a cui dunque più volentieri si perdoneranno talune inevitabili ingenuità.

Un esercizio di questo genere è stato da noi svolto, per un periodo abbastanza significativo, nella prima stagione. La nostra storia cominciava quando un ragazzo spagnolo, Ramon Vazques, decise di lasciare la natia Siviglia per completare i suoi studi a Bologna. Qui trova un alloggio piuttosto particolare, una vecchia casa del 700, e, soprattutto, in un vecchio solaio, un barattolo che ben presto scopre contenere la famosa arcivernice. Con la quale può così dialogare con i massimi pensatori di tutti i tempi. Oltre al prezioso barattolo, Ramon trova anche una gradevole e pensosa fidanzata, Giulia, che spesso lo spinge ai limiti, o fuori dai limiti, dei suoi interessi filosofici, aprendolo ad altri mondi e ad altri modi di pensare; cosa che, pur con tutto il suo fascino, non contribuisce certo a semplificare le cose.

Ora la storia riprende, dopo una pausa, con il ritorno di Ramon da laureato.

Ramon torna a Bologna

Dopo la laurea, Ramon era ritornato a Siviglia. Aveva cominciato a scrivere, abbastanza episodicamente, per qualche giornale. Ed era riuscito a pubblicare, su una rivista di filosofia, un saggio che era praticamente un sunto della sua tesi. Certo, rimanere nell’ambiente della ricerca gli sarebbe piaciuto, ma era tutt’altro che facile. Per di più, non aveva un gran che coltivato le relazioni nella sua città, avendo prevalentemente studiato all’estero. E dunque anche i temi portanti della ricerca non gli erano così consueti. Fu forse per nostalgia, o forse per caso, che, navigando in modo un po’ errabondo sul web, si ritrovò sul sito dell’Università di Bologna. E cominciò a seguire i link dei percorsi post lauream. Fu così che trovò un bando per un dottorato di ricerca dichiarato come “internazionale”, in tema di “storia e filosofia della scienza”. La decisione di candidarsi fu presa all’istante; valeva la pena, anche solo per respirare di nuovo le atmosfere che avevano caratterizzato gli anni di studio, per rivedere le vecchie conoscenze, tra cui, non poteva negarselo, una in particolare gli prendeva la mente e non solo. Chissà cosa stava facendo Giulia…

L’aereo non era ancora completamente fermo, ma Ramon era già in piedi, già armeggiava con la chiusura del bagaglio a mano. Le sensazioni, gli odori, persino lo smog avevano qualcosa, se non di amichevole, di antico, di precedente, ma, anche, di consueto. Come se quella interruzione temporale, quella immersione nel folklore andaluso fosse stata una parentesi, una specie di lunga vacanza.

La prova di dottorato consisteva nella presentazione e nella discussione di un progetto di ricerca. Durante il volo, Ramon non era riuscito a pensare ad altro. E così aveva riepilogato dentro di sé i pensieri dei giorni precedenti. Aveva scelto, certo. Ma quanto era buona, quanto era adatta quella scelta? E, soprattutto, quanto sarebbe stato in grado di sostenerla, di argomentarla? Ripensava ai suoi esami, a quelli brillanti e a quelli più faticosi; ai suoi vecchi professori. Chi si sarebbe trovato davanti, in commissione. Il dado, comunque, era tratta, non poteva più cambiare niente: ‘Il problema mente/corpo tra medicina e filosofia; un’analisi storico/critica’. Pensò che almeno, certamente, il suo interesse era sincero. Sia da un punto di vista storico, dal ripercorrere le idee, le teorie, da Ippocrate a venire ad oggi, sia, e forse ancora di più, dal punto di vista delle scoperte della ricerca contemporanea, nelle neuroscienze, le scienze cognitive, l’intelligenza artificiale. E, da un’altra parte, quale grande impatto sulle questioni filosofiche sui massimi sistemi, su che cos’è l’uomo, che cos’è la conoscenza, che cos’è davvero il mondo… Ma l’altro dubbio, ancora più incalzante, lo assillava: sarebbe stato in grado di esprimere adeguatamente tutto ciò che in fondo nella testa gli brillava chiaramente? E su tutto ciò l’incombere di una letteratura sconfinata, che non avrebbe interamente dominato se pure avesse avuto due vite…

L’esame
Quando si ritrovò in dipartimento, l’impellenza della situazione e l’emozione gli inibirono le sensazioni proustiane tipiche di questi “ritorni al tempo perduto”. Ma ebbe subito un’informazione importante: conosceva bene i tre membri della commissione; e, in particolare, il presidente, che altri non era che il suo vecchio professore di riferimento, il relatore della sua tesi. Considerò la cosa un piacevole incoraggiamento del destino. Ora doveva fare un’altra scelta: in che lingua affrontare il colloquio? In più, era prevista anche una prova di lingua, a sua scelta. Essendo un dottorato internazionale, poteva svolgerlo in inglese o in italiano. Per quanto la cosa fosse per lui quasi indifferente, si risolse per l’italiano, e scelse ovviamente lo spagnolo per la prova di lingua. Era il terzo in lista, e si sedette con gli altri candidati, ad attendere, nelle panche del corridoio. Ogni prova durava all’incirca quaranta minuti, e così trascorse gli ottanta minuti più lunghi della sua vita. Ripensava agli incontri avuti grazie all’Arcivernice, a tutti quei volti ieratici, ai discorsi sospesi più che a quelli compiuti. Che peccato che l’Arcivernice fosse finita…

Quando finalmente toccò a lui, mentre si sedeva proprio di fronte al suo vecchio prof, Ramon avvertì chiaramente che gli tremavano un poco le gambe. Ma era di quei soggetti che, in queste situazioni, possono contare su una forte scarica di adrenalina a supporto. Come quando si deve parlare in pubblico: c’è chi, dopo due parole, rimuove il mondo e si sente a suo agio, e tutto ciò che non c’entra si proietta lontano, nei punti all’infinito di un orizzonte lontanissimo.

Ramon fu molto brillante. Con senso dell’umorismo, terminò con la famosa battuta di Russell: “What is mind no matter. What is matter never mind” (1).

Il posto era suo.

1) Letteralmente: cos’è la mente? Non la materia. Cos’è la materia? Non la mente”. Ma in realtà è un gioco di parole intraducibile, perché “no matter” e “never mind” vogliono dire anche più o meno “non importa”.

Per approfondire:
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità [I Stagione], di Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi

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Immagine in testata di Bertrand Russell

Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi

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