Un’ora in più o in meno, ma è questo che serve oggi alla formazione degli studenti?
«Ma questo come glielo faccio?». Questo è stato per anni l’automatismo che scattava nella mia testa, negli anni in cui ho insegnato, tutte le volte che mi trovavo di fronte a qualcosa che mi colpiva, che mi coinvolgeva, che mi piaceva, che mi pareva importante ….. e che mi impegnava nel ragionarci sopra alla ricerca delle chiavi che mi permettessero di condividerla con i miei studenti. Fin quando sono stata a scuola, ho coltivato curiosità e impegno nell’imparare sempre e nell’aiutare a imparare; del resto non dico niente di originale, mi limito a descrivere in cosa consiste il mestiere di chi insegna per apprendere e viceversa, insomma il mestiere del docente.
Perché richiamo proprio ora questo mio tic? Nell’ultimo periodo da viale Trastevere è venuta fuori la proposta di aggiungere alle discipline degli istituti tecnici la filosofia, le reazioni di ‘perplessità’ si sono giustamente concentrate sulla prassi, in uso nella politica scolastica, di mettere etichette ai tanti temi , che dovrebbero qualificare il percorso di formazione dei giovani nella scuola, e di aggiustare gli orari dentro curricoli sempre più rigidi, malgrado il continuo vociare sulle competenze, anche queste articolate, espresse e altrettanto rigidamente incasellate. Mentre mi è apparso esercizio poco utile quello di confrontarmi con queste reazioni, mi è venuto in mente che forse valesse la pena di porre il problema in modo un po’ diverso e aprire una riflessione su cosa proporre per aiutare i giovani a riflettere e dotarsi degli strumenti che dovrebbero accompagnarli in quel sotterraneo, ma fondamentale percorso, che li porti a situarsi con consapevolezza nel mondo che hanno davanti.
Sabino Cassese in soccorso di Hegel
La buon’anima di Hegel nella Fenomenologia dello Spirito scriveva «Questa coscienza infelice scissa entro se stessa è così costituita che, essendo tale contraddizione della sua essenza una coscienza, la sua prima coscienza deve sempre avere insieme anche l’altra. In tal modo, mentre essa ritiene di aver conseguito la vittoria e la quiete dell’unità, deve immediatamente venire cacciata da ciascuna delle due coscienze». Non credo che si tratti proprio di questo, ma di suscitare e sostenere nei giovani atteggiamenti mentali, modalità di pensiero, osservazione e riflessione sistematica sulla realtà in cui sono inseriti, nell’imparare a cercare e definire i modi di dirsi e di dire il senso di quello che appare loro nella costruzione della esperienza. Come? Mi è capitato tra le mani in questi giorni un denso libretto di Sabino Cassese Gli intellettuali , che fa parte di quelle Parole Controtempo, che il Mulino ha iniziato a raccogliere in una specie di lessico utile per parlare dell’oggi. Cassese non propone un sintetico manualetto di filosofia, ma un testo che guarda l’oggi dal punto di vista, esplicitamente espresso nel nome della collana, per «reinventarsi, senza tradirsi», ruoli e funzioni essenziali per una consapevole e razionale convivenza sociale, che gli usi e gli abusi, nel tempo, rischiano di vanificare e rendere inutili. È stato qui che mi si è riprodotto il vecchio automatismo, e allora ho riletto quel testo pensando che forse questa potrebbe essere una chiave per ripensare a come familiarizzare i giovani al pensiero filosofico, come atteggiamento di una disciplina mentale che, forse, potrebbe aiutarli ad abituarsi ad orientare sé stessi verso la vita adulta. L’approccio che il libretto presenta è quello della osservazione di un mestiere poco definito / definibile negli attuali ‘tempi bui’, in cui chi dovrebbe, forse vorrebbe, farsi ascoltare si trova messo a tacere, spesso si tappa la bocca da solo (ci sono tanti modi di tapparsi la bocca), sommerso e tirato da tutte le parti dalla persistente pervasività del possibile dialogo di tutti con tutti, che internet e gli strumenti della cultura della comunicazione di massa rendono possibile.
Gli otto capitoletti di cui il libro è formato disegnano profilo dell’intellettuale, formazione, compiti, e pubblico/ pubblici di riferimento; pongono poi la domanda cruciale circa il bisogno/non bisogno degli intellettuali per la democrazia e concludono individuando nella necessità di non abbandonare il mestiere di studioso, ma di allargarlo continuamente per «farvi partecipare un pubblico più vasto, se si ha qualcosa da dire che interessi tale pubblico». In sintetiche, ma illuminanti pagine, con rapidi tratti, cui si affiancano suggestive, importanti citazioni, viene illustrata la vicenda storica del ruolo sociale di chi è nato per posizionare in pubblico senso e pensiero e che oggi si trova a convivere con le diverse forme, in cui l’anti- intellettualismo rende vano, superfluo, proprio questo ruolo, perché tutto diventa ugualmente rilevante/ irrilevante nel diverso vociare e parlare l’uno sulla voce dell’altro. In una cultura scolastica che tradizionalmente ha affidato la sistematicità interpretativa a rigide sequenze, fondate su uno stanco storicismo, un testo agile, esplicitamente critico , ma non ripiegato su inutili nostalgie passatistiche, potrebbe essere preso come punto di partenza per condividere e far condividere ai giovani il senso dell’importanza di reiventarsi, oggi, un ruolo di chi deve pensare e «comunicare pensando», senza la pretesa di dare e dire la parola definitiva, ma assumendosi il peso e la responsabilità di una società che ancora, si spera, voglia essere democratica.
Pause per riflettere
Forse, allora, si potrebbe immaginare di proporre a tutti gli studenti momenti di “pausa” entro il tran tran scolastico in cui, a partire da brevi testi, collocati in filoni di ragionamento evidenti, che gli studenti avrebbero potuto agilmente pre- parare in vista dei momenti di incontro, si sviluppassero approfondimenti culturali in senso ampio, che familiarizzassero nei giovani il gusto per la coltivazione del ragionamento e del confronto con pensieri ‘alti’, che li aiutassero ad andare al di là di quello che rimbomba nelle loro orecchie. In questi percorsi, mi riferisco a questo libretto, ma se ne possono trovare sicuramente molti altri: l’incontro con gli illuministi, ma anche con Bobbio, Huizinga, Gramsci , Croce , Mann o Chomsky e i tanti libri che vengono evocati, potrebbe acquistare il senso e il valore di una scoperta per sé, che poi dovrebbe essere quello che la scuola dovrebbe dare ai giovani. Se l’idea ‘balzana’ dell’ora in più per filosofia ai tecnici ci impegnasse su ripensamenti di questo genere, non sarebbe male.
Vittoria Gallina