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Il counseling come strumento pedagogico-didattico

Pubblicato il: 22/09/2021 05:08:19 -


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In principio è la relazione, M. Buber

Come docente della scuola secondaria di secondo grado ho frequentato il secondo anno di un “Master Esperienziale in Gestalt Counseling”:

« il percorso formativo è basato sull’acquisizione di metodi e tecniche finalizzati alla gestione della relazione e al potenziamento di strategie comunicative che (…) accomunano  tutti i professionisti che lavorano con l’essere umano[1]».

Cos’è il counseling? Riporto parte della definizione di questo termine, scelta da Claudia Montanari e racchiusa nel Dizionario internazionale di psicoterapia (G. Nardone, A. Salvini):

«l Counselor è un agevolatore della relazione di aiuto che sostiene il cliente nel processo di consapevolezza per una maggiore autonomia rispetto alle scelte di vita. È un professionista che lavora sulla salute e sul benessere psicofisico, orienta, sostiene e sviluppa le risorse della persona. Le competenze di base del Counselor sono relative al sapere essere una persona empatica, congruente, autentica, consapevole dei propri valori, sensazioni e pensieri, disponibile all’accettazione incondizionata».

Nel 1948 l’OMS stabilisce che la salute non è semplice assenza di malattia, ma riguarda uno stato di completo benessere, bio-psico-sociale, quindi relativo al corpo, alla psiche e alle relazioni; il modello ICF (International Coach Federation) utilizzato a scuola per l’osservazione degli studenti con disabilità, prende forma da questa medesima matrice, analizza i punti di forza piuttosto che le fragilità al fine di promuovere lo sviluppo bio-psico-sociale.

La scuola di specializzazione mi ha permesso di acquisire competenze pedagogiche e didattiche poiché il mio compito è quello di trasmettere conoscenza, ma anche di favorire lo sviluppo umano e relazionale dei ragazzi; ho anche potuto acquisire competenze di ambito psicologico, quelle relative alle modalità di apprendimento, specifiche e legate al mio lavoro. La formazione è stata fondamentale, ma ogni contesto è diverso dall’altro e il nostro approccio deve essere continuamente integrato per poter essere sempre più efficace; soprattutto sono necessari strumenti che consentano di promuovere il benessere emotivo e psicologico dello studente, e solo dopo è possibile lavorare su apprendimento e discipline. I numerosi studi, neanche troppo recenti, lo dimostrano: quando un ragazzo non ha fiducia in se stesso, ha scarso senso di autoefficacia, difficilmente potrà sentirsi motivato e ha spesso difficoltà a relazionarsi: tutto questo condiziona negativamente lo studio e la performance. Tra le numerose critiche che vengono mosse a noi insegnanti, spesso fatte senza avere la più pallida idea di come si svolga il nostro lavoro, vi è quella che non insegniamo più poiché le conoscenze dei ragazzi che oggi frequentano le nostre scuole sono meno profonde che in passato, ma noi dobbiamo essere messi nella condizione di educare. Le nostre classi sono numerose, le ore al contrario si sono accorciate[2], fagocitate da progetti e attività vari, la burocrazia sempre più pressante e opprimente, le nostre responsabilità in continuo aumento; mentre invece tutto il nostro tempo dovrebbe essere dedicato all’accoglienza e alla valorizzazione dei nostri studenti, ognuno presente con la sua individualità, il suo mondo fatto prima di tutto di emozioni, desideri, bisogni.

Quando facciamo orientamento gli elementi presi in considerazione sono quasi esclusivamente estrinsechi: quali sono le scuole/università che danno maggiori possibilità di collocarsi nel mondo del lavoro in breve tempo? Qual è o quali sono le materie in cui hai voti più alti? Invece è dal mondo interiore che si dovrebbe partire: quali sono le tue risorse? I tuoi talenti? Le tue passioni? In cosa ti senti bravo? In cosa vorresti migliorare? Quali sono i tuoi desideri e cosa ti rende felice? Quale pensi potrebbe essere il contributo che puoi dare alla società? Mi dispiace dirlo, ma spesso i nostri ragazzi escono dalle scuole senza aver potuto dare una risposta a queste domande…

Nel counseling, ma anche nei più recenti approcci pedagogico-didattici, si dà una sempre maggiore importanza all’ambiente, all’interazione tra individualità della persona e contesto sociale, Vigotsky scrive:

«Le funzioni prima si formano nel collettivo, nella forma di relazioni tra bambini e così diventano funzioni mentali per l’individuo» (Vigotsky, Pensiero e linguaggio, 1934)

Trovo che gli strumenti messe e a disposizione dal counseling  siano utilissimi: primadi tutto  si fonda sulla relazione fatta di accoglienza, accettazione e autenticità. L’approccio è di tipo ‘enomenologico’ quindi basato sull’esperienza e l’osservazione di ciò che accade nel qui e ora: quando si lavora su sensazioni, pensieri, emozioni, relazioni, quando si entra nel mondo interiore e intimo dei nostri ragazzi bisogna farlo nel loro pieno rispetto e garantendone sempre il sostegno. Lo studente deve sentirti parte di un gruppo, accolto, accettato, mai giudicato e protetto; solo così se ne può promuovere la crescita, il cambiamento, l’evoluzione, sviluppare capacità di coping, problem solving, pensiero creativo. Gli strumenti che il mondo del counseling mette a disposizione sono quelli della comunicazione e non sono mai direttivi, ma rappresentano e una guida, un facilitatore che accompagna il ragazzo nella scoperta di se stesso e delle proprie risorse,. Per fare qualche esempio: la narrazione, l’ascolto attivo, la comunicazione non violenta, l’empatia. Riporto le parole dalla definizione di Claudia Montanari nel dizionario di psicoterapia:

 

Il Counselor utilizza molte tecniche: ascolto attivo che evita giudizi e interpretazioni; esplorazione con domande aperte e chiuse; chiarificazione per incoraggiare l’elaborazione; (…) riformulazione per incoraggiare a consapevolizzare ed esprimere emozioni, sperimentarne l’intensità per poterle gestire; delucidazione per connettere elementi multipli, identificare un tema ricorrente e fare il punto per ulteriori obiettivi. La relazione costruita è fatta, così, di riconoscimento, rispetto e congruenza, e favorisce l’auto-comprensione e l’auto-esplorazione”.

Anche il nostro lavoro è relazione, comunicazione, accoglienza, accettazione, autenticità, empatia. Trasmettere competenza emotiva e relazionale significa trasmettere la capacità di imparare dai propri sentimenti, dalle proprie emozioni e da quelle altrui, sviluppando così una grande capacità di adattamento e di coerenza interiore che permette di raggiungere risultati rilevanti in ogni condizione.  Questo è uno dei più grandi doni che possiamo fare ai nostri ragazzi.

[1] https://www.counsellingscuolaeuropea.org/master.php (consultato il 25/08/2021)

[2]  Spesso da 60 a 50 minuti

Giuliana Renzella docente della scuola secondaria di secondo grado

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