La DaD-fobia della scuola italiana
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Nel corso di questi due anni si è giunti a un rigetto della Didattica a Distanza (DaD) a scuola in nome della Didattica in Presenza (DiP). La DaD è stata additata come non-scuola, sinonimo di scuole chiuse, tempo scolastico perso. Si può parlare di una vera e propria DaD-fobia. Alla DaD sono stati attribuiti mali di ogni sorta: da evitare a ogni costo, anche assumendo maggiori rischi rispetto alla situazione COVID.
La DaD-fobia riguarda tutti gli attori del mondo scolastico: dal Ministero e la classe politica, alle dirigenze scolastiche e personale amministrativo, dai docenti, agli studenti e alle loro famiglie. Per quanto, soprattutto tra docenti, studenti e famiglie, i primi esposti al rischio di contagio, si segnalino coloro che invochino la DaD come “male necessario” nei periodi di maggior diffusione del virus.
Non la vogliono le famiglie, in special modo quelle con figli più piccoli, che hanno un gran bisogno di un luogo dove lasciarli mentre si sforzano di organizzare le proprie giornate lavorative. Possono accettare e ammettere l’idea che la scuola sia un parcheggio? Possono accettare e ammettere che la scuola pubblica sia il ripiego per chi non si può permettere quella privata o l’educazione parentale?
Non la vuole il corpo docente, catapultato a gestire una situazione senza sapere da che parte iniziare. E se lo shock iniziale ha riguardato gli strumenti tecnologici, poi è emerso un gap ancor più grande e complesso sulle metodologie: dalla gestione della classe, agli aspetti valutativi.
Non la vogliono le dirigenze scolastiche e le strutture amministrative costrette a fronteggiare problemi organizzativi: computer rotti, cavi spariti, connessioni assenti, orari scolastici da impazzimento, assenze e malattie di personale, continui adeguamenti normativi e dei protocolli di sicurezza.
Non lo vogliono studenti e studentesse, che non possono sostenere questa DaD che li costringe a ore in solitudine davanti al computer. Che in DaD si debba sottostare a un concentrato del peggio della DiP appare loro inaccettabile.
All’origine della DaD-fobia vi sono senz’altro alcune ragioni di carattere psicologico, legate all’associazione automatica tra DaD e periodi peggiori della pandemia: lockdown, aumento dei contagi e dei morti.
Ma, soprattutto, vi è una ragione esperienziale riferita a questi due anni: la DaD a scuola è stata un disastro e quindi la si deve evitare il più possibile. Tuttavia, dovrebbe essere evidente il fatto che la DaD non sia ontologicamente negativa e il fatto che la si sia realizzata in forme così deprecabili non significa necessariamente che la si possa fare solo in questo modo. Banalmente, esiste DaD fatta male (e lo si è visto), ma anche DaD fatta bene (anche questo lo si può constatare, non solo nei rari casi scolastici in cui ciò sia avvenuto, ma soprattutto nel settore dell’e-learning, realtà formativa ed educativa ormai consolidata negli ultimi decenni, tanto da rendere possibile l’individuazione di metodologie efficaci, buone prassi, esperienze di eccellenza).
Per certi versi è proprio grazie all’esistenza di limiti intrinseci alla DaD, cioè l’assenza della compresenza, che nel campo dell’e-learning si è sviluppata una seria riflessione sulle metodologie da sviluppare e si sono raggiunti risultati di qualità. Questo tipo di riflessione è mancato alla DaD nella scuola italiana: ci si è concentrati esclusivamente sul fattore distanza, cercando velleitariamente di neutralizzarlo, e non si è riflettuto affatto sulla componente più importante, quella didattica.
Apprendimento collaborativo e cooperativo, simulazioni, lezioni frontali possono essere realizzati in modalità a distanza o blended con ottimi risultati se adeguatamente progettati, monitorati e valutati. La qualità non si improvvisa – ciò vale per la DaD e per la DiP – né tantomeno si ottiene automaticamente con la stanca ripetizione ne anno dopo anno.
Il peccato originale della DaD nella scuola italiana è stato concepirla come riproduzione a distanza della DiP. Un focus esclusivamente centrato sulla sincronicità, sull’individualità, sulla formalità, tipiche della DiP, laddove la DaD valorizza la fruizione asincrona, la collaborazione, l’apprendimento informale. L’altro buco nero si è rivelato quello della valutazione, svelando un’inadeguatezza del sistema scolastico che è crollato come un castello di carte con l’andata a distanza. Il passaggio alla DaD ha scoperchiato il pentolone in cui galleggiavano e ribollivano i problemi della scuola italiana e anche per questo lo si è voluto prontamente richiudere per mai più riaprirlo.
Il disastroso passaggio alla DaD della scuola italiana è stato uno specchio dei problemi del sistema scolastico, un punto di vista che ha ingigantito e distorto, ma in questo ha reso particolarmente visibili i segni di crisi dell’istituzione scuola nel nostro Paese: problemi di strutture, di organizzazione, di metodologie e di personale. Concentrarsi sull’eliminazione della distanza, può forse mitigare i danni, nasconderli, ma certo non eliminarli.
L’attuale DaD-fobia frena qualsiasi intervento volto a migliorare la DaD, tanto più necessario in quanto non si scorgono tempi brevi per l’uscita dalla pandemia. Un’altra DaD è possibile, ma soprattutto è necessaria. Continuare da un lato a dire e fare pessima DaD a scuola e dovervi però allo stesso tempo ricorrere è un ‘doppio legame’, una situazione ai limiti della schizofrenia.
In questi due anni nulla è stato fatto: sul piano didattico, organizzativo e metodologico siamo all’anno zero. La scuola a distanza è rimasta quella delle Linee guida ministeriali del 2020 che sanciscono la riproduzione a distanza della scuola tradizionale. A livello di infrastrutture le scuole ricorrono a connessioni e piattaforme private, senza che si sia proceduto a programmi, progetti e offerte pubbliche.
Additare la DaD come unica responsabile è una soluzione di comodo, un capro espiatorio che funziona, ma non contribuisce a risolvere i problemi. Anzi, al contrario, innesca conservazione e mancata messa in discussione. Né quanto annunciato a proposito degli investimenti sulla scuola previsti dal PNRR sembra invertire il segno di questa tendenza, pur trattandosi di cifre significative.
Tolta di mezzo la DaD i problemi della scuola italiana restano, così come resta il rammarico di un’occasione persa per prenderli in considerazione. Forse era inevitabile. L’emergenza non è mai l’occasione giusta per affrontare le questioni e se le si affronta lo si fa nella maniera sbagliata. Peccato, perché la scuola italiana in questo modo continuerà a seguire il suo percorso di declino, DaD o non-DaD.
Alfredo Imbellone docente di Matematica presso IIS Giosuè Carducci