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Cloud Education

Pubblicato il: 02/10/2012 18:25:25 -


Lo strumento tecnologico diventa parte integrante di una vera “intelligenza digitale”. Servono, quindi, nuove metodologie d’insegnamento e di condivisione.
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Siamo in un momento di grandi cambiamenti e trasformazioni sociali, indotte da gravi criticità di sistema sia sociali sia economico-finanziarie. La politica finisce col dover arrancare dietro questi cataclismi quando dovrebbe anticiparli e prevenirli. Ogni componente di questo sistema debole, pur nell’inevitabile congiuntura, si evolve a velocità diverse creando divergenze ed incomprensioni.
L’avvento dei nativi digitali che si accompagna a un contesto di alfabetizzazione adulta molto critica, l’incapacità di creare lavoro con una disoccupazione che cresce esponenzialmente e un potere d’acquisto in caduta libera, la frammentazione politica dinanzi alle urgenze che impongono una soluzione “tecnica”. Tutto ciò mostra a chiunque abbia un occhio accorto alle dinamiche dell’evoluzione di sistema che si impone una “azione inversa” rispetto a quelle “standard”: ricominciare da basso; guardando ai nativi digitali piuttosto che ai problemi della scuola, guardando alla “natura precaria” del lavoro piuttosto che all’azienda in crisi, guardando alle esigenze popolari piuttosto che agli accordi di programma. Occorre, insomma, un nuovo paradigma culturale.

Questo nuovo paradigma culturale si è andato, però, “silenziosamente” costruendo nel tessuto sociale e ora minaccia di volersi imporre perché esso è intrinsecamente connesso alla “rivoluzione digitale” (o del bit), alla capillare diffusione delle tecnologie digitali nelle case e nel lavoro, al punto che “non se ne può fare più a meno”. Questo filo rosso, questo filo conduttore governa il cambiamento e ne condiziona la natura.
Ma uno strumento di per sé non è né cattivo né buono! Il punto è però che le indagini più recenti mostrano che lo strumento, nella sua proliferazione e nella sua evoluzione temporale, ha generato un’ “intelligenza digitale”, una nuova forma mentis, e questa nuova intelligenza, diversa da tutte le altre, genera “differenza”, genera “barriere”, genera “esclusioni” che non sono più sanabili con l’acquisizione mera dello strumento, del “pezzo di ferro” (vedi P. Ferri, Nativi Digitali, Mondadori per l’applicazione del protocollo di Gardner nella definizione della “nuova intelligenza digitale”). E, in questo senso, lo strumento aiuta a fare delle correlazioni prima impensabili. Correlazioni che legano in uno stesso contesto elementi prima fortemente scorrelati (come, ad esempio, l’istruzione di base e l’istruzione per adulti – vedi appresso). Occorre affrontare alla radice le sacche di analfabetismo funzionale e di ritorno, prevenire le nuove forme di esclusione sociale. Lo strumento/contenuto consente un’intensa e naturale interazione olistica o di sistema per la quale tutti i protagonisti della vita civile sono protagonisti attivi delle “connessioni”.
Pertanto, ora, è tempo di costruire nuove metodologie d’insegnamento (più in generale, di comunicazione) che “ribaltino” quel sistema tradizionale di considerare uno strumento di lavoro come semplice prolungamento dell’intelligenza o delle capacità intellettive. Lo strumento è parte integrante dell’intelligenza digitale la quale in esso s’incarna, cresce e vive!

Molte scuole si stanno muovono in tale senso. “Experimenta” è stata ed è una dimostrazione tangibile di queste nuove direzioni. L’ITIS Giovanni XXIII di Roma è una di quelle scuole che ha istituito da tempo una line di R&S lungo la quale si avventura in ambiti della ricerca sperimentale, alla scoperta di nuove soluzioni. Una delle aree di suo interesse, da sempre, è quella che oggi è rappresentata dall’Agenda Digitale UE.
La prima sperimentazione di didattica laboratoriale digitale è stata sviluppata sulle LIM, poi una classe sperimentale che sostituisce l’iPad, o un tablet qualunque, al libro di testo (integralmente, “carta, no more”), infine, la realizzazione di un laboratorio digitale dinamico esclusivamente nel cyberspazio, oggi noto come “iCloud”, che trasforma la classe virtuale in “classe digitale” (progetto “Free Fall into Digital” o “FFaDin”). Quest’ultimo è costituito da una congiunta collaborazione tra scuola, ragazzi e famiglie. La famiglia diventa parte attiva dell’istruzione (istruzione digitale in cloud) e la laboratorialità è partecipata da tutte quelle componenti della società civile essenziali a una crescita interattiva del “nativo digitale” con le persone e il contesto che lo circonda. D’un colpo, ci si propone un “ambiente di ricerca e di apprendimento” che affronti contestualmente e simultaneamente il problema dell’istruzione informale e della sua compatibilità con quella formale, l’istruzione degli adulti, la dealfabetizzazione sociale, i problemi di integrazione “civile” e interculturali che gravano sulle famiglie abbandonate a se stesse.
Queste problematiche diventano elementi di uno stesso mosaico con i nuovi sistemi di apprendimento digitali, i quali, in modo estremamente “naturale”, li cesellano in una stessa possibile soluzione. Siamo agli albori di una nuova possibile e radicale ricostruzione dell’alfabetizzazione sociale.

Vediamo come si articola, intanto, la struttura tecnologica che sottende il progetto “Free Fall into Digital”.
Occorre che ogni studente, docente e genitore sia in possesso di uno smartphone (iPhone), o un tablet (iPad), o un PC (portatile come un Mac pro) e possibilmente un iTv (a casa e a scuola) o un iTv a casa e una LIM a scuola. La struttura si può arricchire di una Playstation o una Wii. Questa tecnologia consente, con una semplice configurazione “guidata”, la totale condivisione dei contenuti del cloud per tutti i protagonisti, ed inoltre, in questo modo, con questo tessuto tecnologico, tutti condividono il cloud con lo strumento che più si adatta alle proprie inclinazioni.
Il secondo passo è quello di costruire i contenuti del cloud.
Alla scuola spettano le indicazioni e la stesura dei riferimenti obbligati per le competenze e le certificazioni (dai contenuti minimi alle prestazioni essenziali) e, quindi, la costruzione dei riferimenti culturali per una banca dati costituita da ebook, video, simulazioni, per i contenuti disciplinari “essenziali”.
La scuola batte il via per la banca dati e tutti collaborano alla sua costruzione ovunque si trovino. La scuola è… senza mura, senza divisioni! L’interazione? Virtuale! Tutti aiutano tutti a raggiungere un obiettivo: una banca dati condivisa e strumento di lavoro per tutti. La famiglia… non solo come “mediatore” ma “protagonista” discente-docente-tutor.
La famiglia traduce i contenuti della banca dati al ragazzo che con il docente affronta le criticità e le risolve per tutti i protagonisti del cloud (quindi supporta il genitore negli apprendimenti del ragazzo attraverso la condivisione degli strumenti e dei contenuti).
Momenti di confronto… logico e relazionale, emozionale e d’integrazione, analogico e digitale.
Momenti di verifica sperimentale… fattibilità, realizzabilità! Il migrante traghetta il nativo nella cultura analogica dell’adulto e il nativo traghetta il migrante nella cultura digitale.
Il genitore può salire in cattedra… il ragazzo può salire in cattedra… il docente può salire in cattedra… nessuno è in cattedra, tutti sono protagonisti del risultato: discussione collegiale “implicita” delle risultanze e valutazione “intrinseca” delle criticità emerse nel percorso o nei percorsi seguiti. Insomma, criticità, discussioni, proposte, condivisione, alternative, sviluppo di percorsi diversi condivisi e diversi, sono tutti elementi che costruiscono il percorso nel cloud di tutti o di un sottogruppo. Quindi, nella fase finale, il risultato (o la competenza) è già condiviso perché costruito insieme, cioè noto e, soprattutto, appreso.

Innovazione. I contenuti non sono più epistemologicamente diversi dai metodi di lavoro ma entrambi si forgiano nello stesso spazio e influenzano la natura degli uni e degli altri, generando modificazioni genetiche degli uni e degli altri.

La libera espressione delle proprie inclinazioni si manifesta nella scelta di un percorso personalizzato e, quand’anche, di specializzazione, di approfondimento, di professionalizzazione che valorizza i limiti del cloud spingendo lo studente al bisogno di sperimentare. Lo studente, il cybernauta esce dalla sua dimensione “digitale” per un bisogno di azienda, un bisogno di lavoro, un bisogno di università, un bisogno di ricerca. Ovviamente, in questi nuovi contesti, lo studente troverà altre dimensioni digitali, ma ormai sarà in grado di “modificare, integrare, aggiornare anche rivoluzionare” le sue flessibili competenze digitali alle necessità e caratteristiche specifiche dell’ambiente e del suo cambiamento.

La valutazione non è più un’azione uno-a-uno, dell’uno verso i molti. La valutazione del percorso e del risultato è frutto di una collaborazione di tutti e a tutti visibile. La personalizzazione del percorso può essere oggetto di differenziazione. La diversità nasce dalla scelta che si evolve autonomamente e liberamente lungo coordinate che definiscono la “persona competente” con unicità intrinsecamente rappresentate nel (e dal) suo percorso. Quindi la valutazione può essere collegiale con una sorta di assegnazioni al merito di ognuno fatta da una valutazione di percorso e di risultato, in parte generata da un “indice di gradimento” e dall’altra da un “indice di apprendimento disciplinare”. La valutazione disciplinare del docente si potrà infine confrontare con la valutazione del cloud.

Arturo Marcello Allega

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