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Alternanza scuola lavoro, Innovazione sociale, competenze – L’esperienza del Terzo Settore

Pubblicato il: 13/04/2022 04:35:16 -


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Come l’esperienza delle 150 ore, anche quella dell’alternanza scuola lavoro – che fa i suoi primi passi alla fine degli anni Settanta, quindi assai prima del suo ingresso nell’ordinamento scolastico – nasce in una fase della storia italiana caratterizzata da potenti spinte al cambiamento. Sono gli anni in cui dalle lotte sindacali si sviluppa, come direbbe Bruno Trentin, una “straordinaria voglia di libertà e conoscenza” unita alla consapevolezza che nel lavoro, in ogni lavoro, c’è un sapere la cui valorizzazione è indispensabile per cambiare la fabbrica e la società. Per la prima volta i due mondi della scuola e del lavoro si incontravano: gli operai entravano a scuola per imparare le conoscenze di base e i saperi che ritenevano utili per essere protagonisti dei processi di trasformazione, mentre dalle scuole veniva la spinta ad aprirsi alla cultura del lavoro, ai suoi valori e alle competenze che attraverso il lavoro si sviluppano.

Quella spinta e quelle esperienze non sono bastate ad una riforma radicale del sistema scolastico italiano, i cui tentativi sono sempre naufragati a causa di una duplice resistenza: dei governi restii a investire coerentemente in un processo di trasformazione ordinamentale, organizzativo e professionale del sistema di istruzione, e di gran parte del mondo della scuola poco disponibile a innovare una cultura educativa e un’organizzazione del lavoro basate sulla superiorità del sapere teorico, la separatezza disciplinare, l’insegnamento come trasmissione di contenuti. Le idee chiave anticipate dalle 150 ore e dall’alternanza, mentre in Italia sono rimaste patrimonio di minoranze professionali innovative, sono invece diventate vere e proprie linee guida della cultura educativa europea. Oggi i processi di interazione tra istruzione, formazione e mondo del lavoro sono al centro della strategia europea delle competenze mentre nel nostro paese incontrano difficoltà a causa, da un lato, di un sistema produttivo poco innovativo la cui domanda di high skills è sotto la media Ocse. E dall’altro perché nel sistema educativo italiano, nonostante l’autonomia scolastica, non sono mai diventati pratica educativa diffusa principi fondativi dell’innovazione educativa quali la centralità della persona che apprende, la valorizzazione degli apprendimenti in contesti non formali e informali, l’apertura della scuola al territorio e al mondo del lavoro, le metodologie didattiche interattive.

I risultati sono evidenti: dispersione scolastica e NEET pesantemente al di sopra della media europea e un vero e proprio circolo vizioso, definito low skills equilibrium dal Rapporto Ocse ”Strategia per le competenze-Italia”, ad indicare la stasi di un paese che non valorizza e non stimola la crescita delle conoscenze e delle competenze  e che si trova poi con livelli di sapere insufficienti per riposizionarsi sulle filiere alte delle sviluppo. Non stupiscono quindi le difficoltà incontrate dai tentativi, a partire dalla legge 53/2003, di diffondere l’alternanza scuola lavoro: più di dieci anni dopo, gli studenti coinvolti non superavano il 10 per cento. Ancor più contrastata è stata l’introduzione nel 2015 dell’obbligo dell’alternanza per tutti gli studenti dell’ultimo triennio della secondaria superiore, con cui si è passati da circa 230 mila ragazzi coinvolti a 1,5 milioni. Un balzo in avanti enorme, ma non supportato  da  politiche all’altezza della sfida: mancanza di gradualità nella prima attuazione, gravi  limiti di coinvolgimento attivo delle parti sociali, insufficiente sostegno formativo per gli insegnanti, impreparazione del sistema produttivo. Di qui le ricorrenti richieste di abrogazione dell’obbligo, soprattutto nei licei, e l’intervento nel 2019 dell’allora governo gialloverde di ridimensionamento  dell’esperienza – ora denominata Progetti per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO) – con un taglio delle ore dedicate e dei finanziamenti e l’eliminazione, anche nel nome, di ogni riferimento  alla cultura del lavoro, considerata inferiore da gran parte del mondo della scuola.

Eppure i radicali e dirompenti processi di innovazione in corso – digitale, ecologica, sociale – potranno essere fronteggiati solo con una strategia di innalzamento delle competenze finalizzata non a proteggere le persone dai cambiamenti ma ad attivarle nel e al cambiamento.

Le intuizioni delle esperienze degli anni Settanta e la visione europea dell’education degli anni novanta sono oggi estremamente attuali ma esigono, a differenza di quanto accaduto finora da noi, politiche determinate e coerenti. I nuovi investimenti di Next Generation UE sono, a questo fine, un’occasione da non perdere per riformare i sistemi educativi al fine di garantire il diritto all’apprendimento permanente e per sviluppare l’interazione dei percorsi di istruzione e formazione con il territorio, il mondo del lavoro e del civismo attivo. Ma non è scontato che succederà.

Se una parte ancora troppo rilevante del sistema produttivo italiano tarda ad adottare le misure necessarie (formazione tutor aziendali, sviluppo capacità formativa) per rendere adatti all’apprendimento i contesti lavorativi, molti soggetti del Terzo Settore stanno, invece, sempre più diventando interlocutori validi per le istituzioni educative. La recente riforma del Terzo Settore e il conseguente rilancio del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale apre, anche per il sistema di istruzione, una nuova stagione di co-programmazione e co-progettazione con le istituzioni locali e i soggetti del Terzo Settore, un sistema di governance integrata che favorisca e metta a sistema la collaborazione tra i soggetti della comunità educante.

Sempre più diffusamente, infatti, le scuole trovano nelle organizzazioni di volontariato e nelle associazioni di promozione sociale delle strutture ospitanti disponibili e competenti con cui co-progettare percorsi di alternanza qualificati invece che assegnarli, pur di adempiere all’obbligo, a contesti lavorativi improbabili. D’altra parte le competenze che si acquisiscono  attraverso le esperienze di alternanza con il Terzo Settore sono utili per l’occupabilità dei giovani anche se non sono competenze tecnico-professionali coerenti con la futura attività lavorativa (pressoché imprevedibile, del resto, nell’era dell’innovazione continua). Sono, invece, le soft skills  a prevalere, oggi diffusamente considerate le hard skills of today perché le più adatte a rafforzare e attivare le persone negli incessanti processi di sviluppo e trasformazione delle professionalità.

I soggetti del Terzo Settore in questi anni hanno co-progettato con le scuole diverse esperienze di alternanza su educazione alla legalità e riutilizzo dei beni confiscati alla mafia, percorsi di formazione ecologica e ambientale, progetti di service learning in cui gli studenti sono protagonisti di progetti e azioni solidali nei confronti della comunità, esperienze di collaborazione e solidarietà intergenerazionale centrate soprattutto sull’alfabetizzazione digitale e il contrasto del digital divide, sulla formazione delle lingue straniere, il recupero della memoria storica dei territori, la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale.

Fabrizio Dacrema, responsabile nazionale di Auser Cultura

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