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Recensione di Vietato studiare, vietato insegnare.  L’attuazione delle leggi razziste nella scuola (1938 – 1943)

Pubblicato il: 14/10/2020 05:13:55 -


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Il volume, curato da Vincenza Iossa e Manuele Gianfrancesco, raccoglie circa settecento disposizioni attraverso le quali nella scuola italiana si diede piena attuazione alla legislazione razzista del 1938. La sua pubblicazione, come dichiara nella Premessa il dott. Giuseppe Pierro, dirigente dell’Ufficio II della Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, si inserisce tra le iniziative promosse dal MIUR per gli Ottanta anni dalla promulgazione di tali leggi.

Il lavoro, che è frutto di una paziente ricerca, si presta a divenire un utile strumento per l’indagine storiografica e per la didattica della Shoah nelle scuole. Esso nasce, come scrive nella Presentazione la dottoressa Vincenza Iossa, bibliotecaria presso la biblioteca del MIUR – intitolata nel 2017 a Luigi De Gregori, che ne fu direttore dal 1913 al 1921 –,  dall’esigenza di portare un contributo significativo a questo settore di studi. Ma cosa può aggiungere di peculiare una biblioteca? Questa la domanda da cui sono partiti gli autori:  « Furono i libri a venirci in soccorso, suggerendoci quasi immediatamente la risposta»[1]. In particolare l’attenzione si rivolse ai Bollettini Ufficiali, lettura complessa ma importante che può offrire allo studioso molte notizie e spunti di riflessione. E infatti l’analisi accurata e sistematica del periodico e uno spoglio delle disposizioni, sia di fonte primaria che secondaria, dei Bollettini Ufficiali degli anni 1938-1943 ci restituisce un quadro dell’applicazione minuziosa delle norme del Regio Decreto del 5 settembre del 1938 e ci aiuta a comprendere quali ripercussioni drammatiche esse  ebbero sulla vita di moltissime persone; ci mostra bene anche come la Shoah non sia ?capitata? imprevedibilmente ma come essa sia stata preparata sistematicamente negli anni da molteplici azioni[2]. L. De Gregori – come viene ricordato nell’Introduzione – credeva fermamente che le biblioteche dovessero essere «fontane, non serbatoi», luoghi e momenti in cui «la conoscenza non solo si conserva ma viene resa accessibile a chi la ricerca, dove il processo di confronto tra chi studia e il testo produce avanzamento della ricerca stessa»[3]: ed è proprio ciò che accade grazie al contributo di questo testo.

Nella preziosa e limpida Introduzione al volume, Manuele Gianfrancesco illustra i provvedimenti oggetto di questa ricerca e inquadra il lavoro nel panorama della storiografia attuale e della didattica della Shoah. Quest’ultima ha coinvolto negli ultimi anni un numero crescente di studenti, con un approccio che ha unito lo studio a momenti di forte coinvolgimento emotivo grazie all’impegno dei testimoni diretti. Ora che l’ ?era del testimone? sta volgendo al termine è necessario formare una generazione di ?testimoni di testimoni? che mantenga viva la riflessione e la memoria della Shoah: questo sarà possibile rinnovando le forme della didattica e avvicinando gli studenti all’analisi ragionata di fonti documentali quali quelle inserite in questo volume.

In secondo luogo questo lavoro si colloca in quel filone di ricerca storiografica che, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha corretto il mito degli ?italiani brava gente?, tali in quanto sarebbero stati in gran parte immuni dalla deriva razzista del regime. Fu veramente così? Non è forse giunto il momento di avviare una ricerca storica sistematica anche sul ruolo svolto dalla scuola e dalle istituzioni educative? I provvedimenti adottati rimasero in superficie? O furono applicati in maniera sistematica e pervasiva? «È esistita una scuola intimamente fascista?»[4] Anche solo scorrendo rapidamente questo volume  si deve rispondere di sì. Ricordiamo innanzitutto che la scuola è il primo settore in cui si intervenne con le leggi razziste. Preceduto dalla pubblicazione il 14 luglio 1938 del Manifesto della razza, già il 5 settembre venne emanato il regio decreto-legge Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista[5], con il quale si escludevano completamente dalla scuola italiana tutti gli studenti ebrei e tutti gli adulti, qualunque fosso il loro ruolo: docenti, dirigenti, personale amministrativo e così via. Bottai, in una conversazione alla radio per l’inizio della scuola, affermava: «all’inizio del suo nuovo anno, essa ha già predisposti i suoi quadri, sceverandone e separandone gli elementi razzialmente estranei»[6]. Ricordiamo che in quella data invece in Germania erano ancora presenti alunni ebrei nelle aule.

Ma furono realmente importanti la scuola e l’educazione per il fascismo? O rappresentarono un elemento marginale nella costruzione del regime? Lo ?Stato Educatore?, come Gabriele Turi[7] definisce quello mussoliniano, investì moltissimo sulla scuola, fin da quella dell’infanzia, e sull’educazione di cui voleva avere il monopolio[8]. Qui solo si sarebbe potuto formare quell’ ?uomo nuovo?, espressione di una rivoluzione antropologica, fascista in ogni espressione della vita, anche la più intima e personale, che Mussolini – come del resto gli altri totalitarismi – intendevano plasmare. Per questo si intervenne in numerosi ambiti della cultura, dell’educazione e della scuola: dalle organizzazioni studentesche alla didattica, al libro di testo unico, alla riscrittura della storia e alla modifica dei piani di studio in chiave razzista.

Vediamo dunque ora cosa contiene questo volume. Raccoglie e cataloga i provvedimenti di carattere razzista pubblicati dal 1938 al 1943 nei numeri del Bollettino ufficiale del Ministero della educazione nazionale, contiene le copie anastatiche della normativa primaria e un indice ragionato e completo dei provvedimenti applicativi delle leggi razziste, diviso utilmente per anni e integrato dalla riproduzione di alcuni atti esemplificativi. Gli autori hanno scelto di non riprodurre integralmente tutti i settecento atti rinvenuti, cosa che sarebbe stata ridondante e avrebbe reso ostica la consultazione del volume. Quanto è qui presentato è comunque sufficiente a far emergere chiaramente la minuziosità e la pervasività dell’attuazione delle leggi razziste, nonché l’impatto che esse ebbero sulla vita della scuola e su quelle delle numerosissime persone colpite.

La norma generale (il Regio Decreto del 5 settembre del 1938 in primis), come accennato,  escludeva infatti tutte le persone di razza ebraica da qualsiasi istituzione scolastica o educativa; gli altri provvedimenti mostrano dettagliatamente come questo principio venne applicato, realizzando una persecuzione che si concluderà con la Shoah.  Scorrendo gli indici si trovano le decadenze dagli uffici svolti, le sospensioni dal servizio, il divieto di fare supplenze e ricoprire incarichi, il divieto a partecipare a selezioni  per l’assegnazione di borse di studio e a concorsi di qualsiasi tipo. Per applicare quest’ultima norma nei mesi finali del 1938 si chiese ai partecipanti una dichiarazione di non appartenenza alla ‘razza ebraica’; a partire dal 1939 la domanda assunse un carattere più generale (ricordiamo che dopo la guerra di Etiopia le ?preoccupazioni? per il mantenimento della purezza della razza aumentarono) e si richiese una dichiarazione di appartenenza alla ‘razza ariana’ o, in altri casi, alla ‘razza italiana’; solo in due casi si abbinarono i fattori razziali a quelli religiosi. Importante poi è notare come questi provvedimenti fossero diffusi in maniera omogenea in tutto il territorio nazionale[9] e come non diminuissero col tempo, neanche dopo l’entrata in guerra dell’Italia (si potrebbe immaginare che, dopo un primo periodo di attuazione, fossero meno ?necessari?); anzi «all’interno del Bollettino ufficiale n.37 del 16 settembre 1943 si trovano ancora pubblicati tre provvedimenti con un’impostazione di carattere razziale»[10].

Scorrere l’indice di queste misure, leggere l’elenco di coloro che furono in varia forma ?dispensati? dal servizio e cacciati dalle istituzioni scolastiche, da una parte promuove lo studio ragionato di questo periodo, dall’altra tocca le corde dell’emotività; soffermarsi sui nomi e sulle mansioni dei docenti «decaduti dall’abilitazione alla libera docenza perché di razza ebraica»[11] o su quelli degli autori di libri scolastici ?epurati?[12] rende vivo e tangibile il clima traumatico in cui tali misure furono applicate.

Quest’opera rappresenta un importante passo in avanti per la ricerca storica ed apre ad altri possibili ambiti di approfondimento. Innanzitutto sulle circolari di Gabinetto, che non furono tutte pubblicate sui Bollettini Ufficiali, e che potrebbero illuminare ulteriormente la questione; in secondo luogo, come chiarito nell’Introduzione, poiché la scuola rappresenta un punto d’osservazione privilegiato per indagare la società e la mentalità in epoca fascista, la ricerca, limitata in questo volume al «campo delle norme strettamente riconducibili alla questione del razzismo antisemita nell’universo educativo»[13] potrebbe ulteriormente ampliarsi; per esempio per affrontare il discorso su tutti gli elementi fortemente nazionalisti, riconducibili a un razzismo di matrice biologica.

Non va dimenticato poi che gli archivi delle scuole sono una miniera che si comincia ad esplorare solo da poco tempo: in quest’ottica, per limitarmi a un unico esempio, si inserisce la ricerca Archivi in rete, progetto che coinvolge diverse scuole romane. Attraverso l’analisi dei registri scolastici e di altra documentazione, gli studenti dei diversi istituti hanno individuato i nomi degli alunni espulsi nel 1938. Le ricerche delle singole scuole dovrebbero confluire, anche con la collaborazione dell’Archivio della Comunità ebraica, in un comune database da cui partire per una ricerca sull’entità e incidenza delle leggi razziali nella scuola romana.

Progetti come questo sono esemplari in quanto uniscono due aspetti imprescindibili per la scuola: il lavoro sulle competenze trasversali e disciplinari  (della storia in questo caso) e il compito educativo e morale di «combattere ogni forma di discriminazione e far sì che non si ripetano gli orrori del secolo scorso»[14]. Come scrive bene Michele Sarfatti nella Prefazione al volume «la scuola odierna deve rimanere baluardo nella difesa dei diritti di tutte le minoranze e nel respingimento dell’antisemitismo e di qualsiasi razzismo. E per questo è opportuno ricostruire, come ottimamente fa questo libro, la nauseante ma vera vicenda del razzismo nel sistema dell’istruzione nell’epoca fascista».[15]

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[1] V. Iossa e M. Gianfrancesco (a cura di), Vietato studiare, vietato insegnare. Il Ministero dell’educazione nazionale e l’attuazione delle norme antiebraiche 1938-1943, Palombi Editori, Roma, pubblicato con il contributo del MIUR – Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la partecipazione, 2019, p.11

[2]  Nell’estate 1923, intervenendo nella discussione sulla riforma gentiliana, «il posato Benvenuto Terracini espresse il timore che “entro la nuova scuola elementare italiana non vi sarà più posto per scolari ebrei e tanto meno per maestri ebrei”, e il rabbino capo di Roma Angelo Sacerdoti scrisse: “È lecito ritenere che, fra non molti anni, agli Ebrei verrà ad essere precluso l’esercizio dell’insegnamento nelle pubbliche scuole”, per via della loro impossibilità di “coronarlo” e “fondarlo” secondo le nuove prescrizioni». Benvenuto Terracini, Il dibattito sulla questione della scuola ebraica, in «Israel», VIII, n. 26 (28 giugno 1923); Angelo Sacerdoti, Un grido d’allarme, ivi, n. 38 (17 settembre 1923) in cit., p. 14-15

[3]Ibid., p.12

[4] Ibid., p. 19

[5]Seguito tra il 23 settembre e il 15 novembre da altri due decreti relativi alla scuola; solo il 17 novembre venne pubblicato il regio decreto Provvedimenti per la difesa della razza italiana, che affrontava la questione in maniera generale.

[6] G. Bottai, Si riaprono le scuole, radio-conversazione del 16 ottobre 1938, in La carta della scuola, Milano, Mondadori, 1939, in op. cit. p. 17.

[7] G. Turi, Lo Stato educatore: politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2002

[8] Non va dimenticato a questo proposito quanto avvenne nel 1931 con  le violenze contro gli  iscritti all’Azione Cattolica (che rappresentava per il fascismo un pericoloso concorrente nel campo dell’educazione) e con lo scioglimento dei suoi circoli.

[9] Riguardano concorsi, gare, selezioni di quasi tutte le province italiane.

[10]Iossa-Gianfrancesco, Vietato studiare, vietato insegnare, cit., p. 29.

[11] Ibid., «Decreto Ministeriale 14 marzo 1939»,p. 97.

[12] Ibid., p. 46, «Circolare n.33 Divieto di adozione di libri di testo di autori di razza ebraica», 30 settembre 1938.

[13] Ibid., p. 30.

[14] G. Pierro, Premessa, cit., p. 10.

[15]Ibid.., p. 15.

Angela Scozzafava Docente al Liceo Giulio Cesare di Roma

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