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Per proseguire il lavoro di una rivista per la scuola

Pubblicato il: 28/02/2024 04:13:22 -


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In passato la scuola era sostenuta da tre lati: la ricerca, la didattica e la politica. C’era alla base un patrimonio di elaborazione culturale, accompagnato da esperienze significative; un processo che sfociava nelle aule parlamentari o nelle stanze del governo. Si ricorderanno le più importanti riforme del dopoguerra: la scuola media unica, che vide la collaborazione delle diverse ideologie nel comune intendimento di elevare il livello culturale degli italiani superando la diatriba classista della divisione tra ginnasio e avviamento professionale. Il panorama internazionale all’epoca era animato dall’attivismo pedagogico, che contribuì a trasferire nel nostro insegnamento pratiche didattiche innovative utili a rafforzare anche il costume democratico del nostro paese.

L’integrazione dei soggetti disabili, superando la ghettizzazione delle classi differenziali, alla quale guardano ancora diversi paesi stranieri, è la punta massima dell’attenzione alla persona e della inclusività; oggi una tale sensibilità deve affrontare anche situazioni di particolare disagio, acuite dall’ultima ed unica per ora esperienza di isolamento dovuta al Covid, che ha messo in crisi la funzione educativa dei docenti soprattutto nelle componenti emotivo-relazionali, richiedendo un supporto psicologico stabile nella scuola. 

La riforma delle così dette scuole di base, dall’infanzia, che poi ha portato con sè l’allargamento ai bambini da 0 a 3 anni, alla primaria, non più elementare, che ha cercato di assecondare la richiesta di maggiore conoscenza, arrivando a superare l’insegnante unico.

Tutto questo si è potuto ottenere per l’intervento della ricerca, in campo psico-pedagogico e didattico-disciplinare, che mediando con quella internazionale, è uscita dall’accademia per accompagnare la diffusione dell’innovazione nella scuola e sostenere la formazione dei docenti. Sul campo le associazioni professionali, anch’esse molto attive sul piano della formazione, hanno svolto la funzione di “mediatori” culturali tra la ricerca a la scuola, fino a bussare alla politica per presentare quelle istanze di cambiamento che provenivano dalle professioni scolastiche. Una tale impostazione ha ispirato la partecipazione sociale fino ad arrivare all’autonomia.

Per la secondaria superiore l’economia ha cercato di influenzare le scelte di politica scolastica nella direzione di rispondere alle esigenze del mondo del lavoro e della trasformazione soprattutto tecnologica. Questa dinamica è giunta fino a noi imponendo frequenti cambiamenti di tipo formale, che in sostanza hanno mantenuto il divario tra i licei e gli istituti tecnico-professionali.

Nell’ultimo quarto del secolo scorso i fili che tenevano legati i tre pilastri di cui si è detto, hanno iniziato a rompersi: la ricerca ha tirato i remi in barca ed i ricercatori con i loro studi e i loro scritti hanno pensato alle  carriere accademiche, la politica si è rivelata totalmente autoreferenziale, più proiettata verso la comunicazione che l’approfondimento e tende ad occuparsi di scuola in modo del tutto estemporaneo sulla spinta delle emergenze, che in mancanza di proposte risolutive pensate e studiate, tendono ad aumentare e rischiano di travolgere dirigenti e docenti, ai quali vengono sempre più a mancare aiuti, ma soprattutto luoghi di confronto e di elaborazione comune, in quanto le associazioni sono invecchiate e si sono indebolite, per carenza di ricambi culturali e generazionali.

La formazione in servizio che era parte integrante di una deontologia professionale vissuta nell’ambiente di lavoro e sostenuta dalle predette associazioni assume anch’essa un valore economico; la possibilità di avere incentivi non sta tanto nell’innovazione procurata, quanto nella valutazione individuale, a fronte di piani formativi dettati dall’alto, ultima nata una scuola di alta formazione. Questo crea diffidenza in un personale che resta di alta qualificazione, ma se non scuote certe persone che continuano a preferire la vecchia routine, di cui nessuno si preoccupa, rischia di far affondare altri che spesso in modo volontario cercano di farsi carico del cambiamento, nonché del disagio di cui i nostri giovani sono vittime.

Insomma la ricerca si è di nuovo rinchiusa nell’accademia, la politica inventa pannicelli caldi per tappare le più vistose falle o soddisfare richieste esterne del momento, in compenso dalle colonne di importanti quotidiani i maitre a penser lanciano le loro accuse sul fallimento della scuola, proiettando su di essa stereotipi pescati da un vecchio armamentario che da tempo li accompagna.

Education 2.0 ha incarnato la relazione stretta tra ricerca, didattica e politica, sia sul piano dell’approfondimento culturale, sia su quello dell’aggiornamento professionale, che si concludevano nella testimonianza per una scuola democratica e di qualità, di cui oggi c’è ancora bisogno pur nell’ottica del cambiamento continuo.

Occorre ricucire quei fili ed è possibile farlo non solo attraverso aridi strumenti tecnologici, ma ripristinando quei processi di cooperative learning che rafforzino la comunità professionale e la rendano protagonista non solo nel perseguimento delle sue finalità istituzionali e le facciano riacquistare quel prestigio sociale che sembra aver perso. In più l’autonomia scolastica è la condizione che le offre la possibilità di dialogare direttamente con le diverse agenzie formative e governative del territorio.

Ricostruire una rete, con associazioni vecchie e nuove, che insieme alle riviste che si occupano di didattica e di politica scolastica, possano intervenire sul piano della “mediazione culturale”, per riallacciare la ricerca, a partire da quelle università che preparano alla professione docente e che di recente si sono candidate per i corsi di abilitazione, con la didattica, facendo leva su quelle scuole che realizzano esperienze innovative. Questo patrimonio deve tornare a fare politica, dal basso, a farsi ascoltare dai parlamentari e dagli esponenti dei governi, nazionale e locali, coinvolgendoli in processi decisionali che sappiano offrire i prodotti di una maturazione culturale per il miglioramento del sistema.

Gian Carlo Sacchi  Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.

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