Nuovo Realismo e ricerca educativa
Nuovo Realismo e ricerca educativa – Giornata di studio – 17 dicembre 2014 – Dipartimento di Scienze della Formazione (Università Roma TRE).
La filosofia, secondo J. Piaget, è una “presa di posizione ragionata sulla totalità del reale” (1) , nasce quindi da tutte le questioni che creano un problema nella pratica sociale ed educativa, in relazione alla formazione dell’uomo nella concretezza di contesti e situazioni.
“Ciò che differenziava le varie scuole non era questo o quel difetto di metodo – tutte erano «scientifiche» – ma ciò che chiameremo le loro incommensurabili maniere di guardare al mondo e di praticare la scienza in esso”. (2)
Queste le due suggestioni, tra le molte altre, che hanno animato il terzo Seminario internazionale di studi sui problemi della metodologia della ricerca educativa (Roma, Giugno del 2013), da cui nasce il numero speciale del Journal of Educational Cultural and Psychological Studies (n.9, Giugno 2014), che ne pubblica i risultati, dando forma sistematica ai contributi offerti all’approfondimento di temi e di riflessioni, che sono stati oggetto di condivisione e discussione nella giornata di studi (Dicembre 2014), svolta presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Roma TRE.
L’introduzione di G. Domenici focalizza i temi centrali del dibattito metodologico sviluppatosi a partire dalle prospettive aperte dal Nuovo Realismo (3) , attraverso i contributi dei diversi autori che hanno colto la sfida di riflettere sulla difficoltà di affrontare in termini scientifici, oggi, la ricerca in ambito educativo. Un lavoro ricco di contributi interdisciplinari, poiché i problemi pedagogici difficilmente possono essere circoscritti in un ambito specificamente chiuso, ma richiamano la convivenza di più saperi (in questo senso è sempre valida la lezione di A. Visalberghi). Del resto l’esigenza di un nuovo paradigma pedagogico può essere letta anche come l’esito della frustrazione cui la ricerca educativa è stata condotta. La pervasività di atteggiamenti a-scientifici, derivanti da diffuse mode culturali, evidenzia gli effetti negativi che provengono da una cieca e acritica adesione a luoghi comuni dominanti, spesso anche a livello accademico. La critica è rivolta alle stesse Università, che talora propongono i progetti per i quali è più semplice ottenere finanziamenti, più che per la loro rilevanza scientifica. Questo provoca una miopia intellettuale, che rischia di alimentare una pericolosa confusione, quasi una denutrizione culturale. Le ragioni di comodità, che spingono nella direzione dei finanziamenti facili, sono uno dei motivi che rischiano di accompagnare la ricerca pedagogica alla deriva. L’approccio offerto dal Nuovo Realismo, soprattutto laddove sottolinea che gli oggetti sociali sono dipendenti dalla mente, ma indipendenti dalla conoscenza perché sono “documenti, atti registrati” (M.Ferraris), sollecita l’esplicitazione del ruolo che gioca l’impatto della realtà nell’azione educativa e nell’esigenza di dover tenere conto dell’altro, del suo volto e delle sue resistenze, che costringono l’educatore ad assumersi responsabilità in un agire che appartiene all’etica degli attori (M.Pellerey). Questi sono temi cruciali per le “scienze pedagogiche”, forse poco capaci di attirare finanziamenti, ma decisivi se non si vuole perdere il senso profondo della responsabilità intellettuale. Per questo la “svolta neorealista”, come l’ha definita M. Baldacci, deve essere portata anche nel campo delle scienze dell’educazione per evitare la deriva pedagogica nel mare del Fatalismo (la realtà è qualcosa di dato e quindi non modificabile, come le abilità o le doti dei bambini) o dell’Utopismo (ci si illude che la realtà sia plasmabile a proprio piacimento), e per consolidare una sorta di Realismo pedagogico, capace di comprendere la realtà educativa nella sua oggettività. Esistono infatti diversi, seppur limitati, modelli interpretativi della realtà (R. Trinchero), che devono/possono contribuire a superare la falsa contrapposizione tra approccio qualitativo e quantitativo. Trinchero mette in guardia da alcune trappole, sempre presenti. Chi usa la statistica quando fa ricerca deve tenere a mente che l’analisi del dato non produce automaticamente degli asserti veri e che solo la conoscenza “qualitativa” dei nessi tra i diversi elementi consente di assegnare il giusto significato ai fenomeni analizzati. I metodi quantitativi possono dire se un fattore varia in relazione ad un altro, a quali condizioni e in quale misura (what works), ma non ci spiegano perché (why works) questo accada. L’obiettivo rimane quello di costruire una teoria del why works, nella misura in cui ogni metodo, se ovviamente non segue le mode del momento, può spiegare una parte della realtà e conseguentemente migliorare la teoria che si sta costruendo.
Nella ricerca di nuovi paradigmi scientifici per i saperi pedagogici la contrapposizione qualitativo/quantitativo non è l’unica irrisolta dicotomia: manca infatti ancora una comunicazione vera tra i luoghi in cui si fa ricerca e i luoghi in cui si educa (T. Grange). Ci si deve spostare allora dal piano della polarizzazione Sapere-Azione verso livelli in cui sia possibile lavorare in un continuum tra momento della doxa e quello della praxis. La Grange rafforza il suo intervento con un monito: la ricerca deve essere considerata un processo e non un prodotto; questa affermazione, se non può essere considerata una conclusione dei tanti ragionamenti sviluppati, è sicuramente un’utile prospettiva di lavoro.
(1) Piaget, J. (1965), Sagesse et illusions de la philosophie, Paris, Presse Universitaires de France.
(2) Kuhn, T. (1962), The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, trad. It. La Struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1978, p. 22.
(3) Il Nuovo realismo nasce nel Giugno del 2011 come abbandono del postmodernismo e reazione all’egemonia dell’antirealismo (M. Ferraris). Il reale è l’estremo negativo del sapere, in quanto inspiegabile e incorreggibile, ma nello stesso tempo si propone come l’estremo positivo dell’essere, perché è ciò che si dà, che resiste all’interpretazione e che la rende perciò vera. De Caro sostiene che nessun filosofo però è integralmente un realista, per tale motivo la questione ruota intorno alla giusta dose di realismo da adottare e, richiamando il film The Truman Show, ci mette in guardia sull’oggettività del mondo, spesso frutto di un’illusione ingannevole. ECPS n. 9 June 2014.
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Immagine in testata di Flickr (free to share)
Morena Sabella