Infanzia e tempo schermo
La caraffa di Maria Montessori meglio dello smartphone
Ricordate la leggenda tedesca del pifferaio magico che, su richiesta del borgomastro, allontana da Hamelin i ratti al suono del suo strumento e a fronte del mancato pagamento si vendica irretendo i bambini del borgo al suono del piffero e portandoli via con sé per sempre? Ora il quesito che ci dobbiamo porre è: c’è qualcuno che non con la musica, ma con gli schermi ci sta portando via l’infanzia?
Proprio al rapporto infanzia e dispositivi tecnologici è stato dedicato l’interessante semimario “L’attenzione contesa. Il tempo schermo e le conseguenze sullo sviluppo infantile”, promosso dall’associazione di Promozione Sociale MEC – Media Educazione Comunità, che opera a supporto delle competenze genitoriali e educative in favore della consapevolezza critica sui media. La sensibilità e l’interesse verso il tema si registra dal dato dei partecipanti: oltre cinquecento.
Sono sempre di più pediatri che danno informazioni precise nei bilanci di salute sui rischi connessi al contatto precoce e prolungato con gli schermi nell’età cruciale dei primi dieci anni di vita. Abbiamo a disposizione anche numerosi studi scientifici che analizzano le problematiche infantili connesse all’attenzione frammentata, discontinua e interrotta, nonché le nuove forme di iperattenzione generate dalla esposizione per molte ore al giorno a un device.
Della continua intensificazione del tempo schermo in età infantile e dei rischi di pregiudicare lo sviluppo delle piene potenzialità di apprendimento di bambine e bambini si è a lungo occupato Simone Lanza, maestro elementare e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, che ne ha fatto sintesi in un prezioso saggio [1].
L’esposizione allo schermo (visione di filmati, video e corti e gioco con videogiochi) è un prolungato tempo quotidiano di sedentarietà, che immobilizza e va a discapito del tempo di gioco all’aria aperta, della lettura, della relazione con i coetanei e anche del ritmo sonno/veglia. L’isolamento che caratterizza per lo più l’uso dello schermo, a scapito del gruppo spontaneo dei piccoli, genera un grave danno psicoevolutivo, perché la crescita avviene nell’interazione di gruppo; ulteriore conseguenza da non sottovalutare è anche la perdita di spontaneità e pensiero magico.
Ne consegue altresì una deprivazione sensoriale in età infantile, in quanto si sviluppa prevalentemente uno dei cinque sensi, la vista, e anche male. Videogiochi sempre più veloci impediscono inoltre al bambino di cogliere un filo logico conversazionale, così che non sa rispondere a domande semplici, come chi è il protagonista o l’aiutante.
La rapidità a digitare sulle tastiere comporta anche la perdita di manualità fine nella scrittura, a danno soprattutto del corsivo, come è stato già osservato in molti Stati, che stanno facendo retromarcia e tornano a insegnare il corsivo. In occasione della Giornata Nazionale della scrittura a mano. Simona Gavinelli, docente di Paleografia latina presso l’Università Cattolica, ha analizzato le conseguenze della delega della scrittura alla tecnologia: “La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato che utilizzando matita o penna si attivano zone cerebrali che restano spente quando digitiamo; con la scrittura a mano, inoltre, le informazioni che arrivano al cervello sono organizzate in modo da potenziare la capacità di ricordare e stimolare il pensiero astratto e creativo, generando nuovi collegamenti di senso”. Gavinelli lancia un appello contro l’abuso dei dispositivi digitali e invita a saperne prendere la giusta distanza e a ritornare alla fluidità della scrittura corsiva, restituendo la tradizionale gerarchia tra maiuscolo e minuscolo[2].
Brunella Fiore, sociologa dei processi culturali e comunicativi presso l’università Bicocca, invita a prestare attenzione anche ai nostri comportamenti di adulti, all’uso che facciamo dello smartphone, mentre nostro figlio ci parla, mentre siamo a tavola o mentre giochiamo: siamo capaci di metterlo da parte e di non curarcene, centrando invece l’attenzione sul qui e ora in presenza?
Una ricerca condotta da esperti dell’Università Bicocca rivela che i genitori oggi a Milano sono preoccupati dalla dipendenza da web e smartphone e ritengono che l’età giusta per dare un cellulare al proprio figlio sia 14 anni o più. Non nascondono,però’ di averlo già dato a 11 anni, vittime della pressione sociale che impone in qualche misura l’omologazione dei comportamenti dominanti. Non va trascurato, inoltre, un digital devide diverso da un po’ di anni orsono, in termini di capacità delle famiglie di proteggere i minori, in quanto una parte neppure intuisce che possano esserci pericoli nell’esposizione agli schermi. Le famiglie a alto reddito e scolarizzazione lasciano i bambini di fronte a uno schermo al massimo 1 ora e 52 minuti al giorno, quelle a basso reddito quasi 4 ore.
Secondo un’indagine Demopolis 3 adolescenti su 10 trascorrono online più di 10 ore al giorno; quasi il 40% fra 5 e 10 ore.
Gli studenti della scuola più ambita della Silicon Valley non toccano un computer, un iPad o lo smartphone fino alla fine delle medie. La cosa da osservare è che questi ragazzi sono in gran parte figli di ingegneri o manager che hanno ruoli di spicco nelle più famose aziende tecnologiche del mondo, dalla Apple a Google, che sono determinati, però, a tenerli il più a lungo possibile fuori dall’esperienza educativa dei propri figli. L’Australia sarà il primo paese al mondo a introdurre un divieto per i minori di 16 anni di avere un account sui social media. La legge, che entrerà in vigore tra qualche mese, riflette le preoccupazioni del governo per gli effetti come disturbo d’ansia e depressione connessi all’utilizzo precoce dei social media. Anche se non ci sono al momento evidenze scientifiche su un nesso diretto di causalità, i problemi di bullismo e abusi online e i contenuti misogini e i messaggi dannosi hanno indotto a propendere per questo intervento legislativo. Non mancano, tuttavia, le voci di dissenso, per esempio da parte di Amnesty International e dell’Austalian Human Rights Commision, che criticano il divieto per le sue implicazioni sui diritti dei giovani e di Meta, che rivendica quanto già fatto dall’azienda per garantire esperienze appropriate all’età e alla sensibilità dei più giovani. In genere la via di affrontare problemi reali attraverso il divieto non porta ai risultati auspicati e si dovrebbe imboccare la via di un dialogo aperto tra giovani, famiglie, istituzioni e piattaforme digitale, facendo appello alla consapevolezza e all’educazione, come afferma la pedagogista Barbara Alaimo. Per cercare di dare una risposta alla solitudine delle famiglie e promuovere la nascita e lo sviluppo di Patti di comunità per un uso sano, responsabile e creativo dei media digitali su tutto il territorio nazionale, il Centro di Ricerca “Benessere Digitale” dell’Università di Milano-Bicocca e tre associazioni attive nel campo dell’educazione consapevole all’uso dei media (MEC, Aiart e Sloworking) si sono riuniti nell’associazione Patti digitali. Hanno ravvisato l’urgenza di favorire l’incontro tra genitori, insegnanti e le molte altre figure educative, in modo da individuare e condividere poche semplici regole, a partire dall’età giusta per cominciare a usare uno smartphone, dal divieto all’utilizzo autonomo di Social e Whatsapp prima dei 14 anni, in accordo con la legge, e dall’impegno degli adulti di riferimento alla verifica dei contenuti e dell’età adatta di App e giochi (ad esempio con la classificazione PEGI) e alla diminuzione del tempo schermo.
Essere trendy non è dare in mano al neonato il tablet, anzi sarebbe meglio non consentirglielo proprio nei primi anni di vita.
Pensiamo a un bambino o una bambina nel passeggino, o nel carrello di un supermercato, che guarda un episodio di un cartone animato sullo smartphone della mamma: chiuso/a nella sua bolla si perde l’osservazione dell’ambiente circostante e della vita che lo anima.
Ma pensiamo anche che sempre più puerpere come primo gesto prendono lo smartphone e si fanno un selfie da postare, oppure guardano il cellulare mentre allattano. Non ha dubbi Daniele Novara che La situazione è totalmente fuori controllo e non possiamo stare a guardare un’intera generazione annegare negli smartphone. Osserva una vera e propria «riconfigurazione» dell’infanzia che influenza lo sviluppo sociale e neurologico di bambini e adolescenti, come ha spiegato Jonathan Haidt nel bestseller“La generazione ansiosa”, che indaga gli effetti degli smartphone e dei social media sulla salute mentale dei più giovani[3].
Nessuno si sognerebbe di dare auto, moto alcol o tabacco a un bambino di 8 anni, mentre il marketing digitale ha preso di mira i bambini: basta pensare al numero di telefono personale a 8 anni, nessuna regolazione dell’uso degli smartphone, fino alla norma grottesca e agghiacciante dell’autocertificazione dell’età sui social.
Occorre intervenire con divieti specifici per età, spiega Daniele Novara, che insieme al pedagogista Alberto Pellai ha rilanciato l’appello dell’Unesco agli Stati, di arrivare ad avere obiettivi e principi chiari per garantire che la tecnologia digitale nell’istruzione sia benefica ed eviti danni sia alla salute dei singoli studenti, sia più in generale alla democrazia e ai diritti umani.
Meglio tornare a una sensorialità più attiva e arginare l’invasione degli strumenti digitali nella vita e nell’educazione di bambini; la caraffa del gioco del travaso di Maria Montessori è meglio dello schermo.
Non si tratta di proibizione, ma di regolazione come tutto ciò che riguarda i più piccoli. Non dare non significa privare di un’esperienza, ma piuttosto regalare tante altre esperienze e amplificare le capacità cognitive dei nostri bambini. Bisogna sapersi inventare occasioni in cui i bambini stanno insieme con altri, nella bellezza paesaggistica e artistica del nostro paese e riscoprire che il divertimento con i figli non passa necessariamente attraverso video e videogiochi.
“Basta libera volpe in libero pollaio” – incalza Novara –“è lo Stato che deve mettere regole, piuttosto che lasciare la patata bollente ai genitori”.
Le connessioni online non possono sostituire l’interazione umana e il fututr è quello di trovare le giuste misure educative per un uso consapevole, positivo , etico delle tecnologie.
A tutti tocca non solo la vigilanza, ma una riflessione attenta, seria e non più rimandabile. Daniele Novara invita i genitori a farsi promotori di un movimento di ribellione al marketing tecnologico e a darsi da fare in fretta, perché non c’è più tanto tempo.
[1] S. LANZA, L’attenzione contesa. Come il tempo schermo modifica l’infanzia, Armando Editore, 2025
[2] M. GHEZZI, Prendete carta e penna, in”Corriere della sera”, 23 gennaio 2025
[3] J. HAIDT, La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli, Rizzoli, 2024
Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l'apprendimento pratico della Musica