Discorrendo di utopie e distopie
Nota redazionale
Un libro può essere presentato in tanti modi: si può costruire un testo molto denso in cui il recensore parla dell’autore dall’alto della sua sapienza, che benevolmente sparge sul lettore; si può assolvere, in modi più o meno espliciti, al compito di reclamizzare il libro per invogliarne l’acquisto, mettendone in luce gli aspetti essenziale ed evidenziando l’importanza di un lavoro che si ritiene importante divulgare ecc. I casi sono tanti e tante le variazioni sul tema del lavoro del recensore: qui però, come redazione , abbiamo affidato al dialogo tra recensore e autore il compito di far parlare il libro direttamente, per stimolare la curiosità di chi si accinge a leggerlo. Non si tratta di un dialogo neutrale, ma dello scambio tra due membri della nostra redazione che riescono a dare senso e originalità al confronto, in corpore vili , tra cultura e tecnica , facendosi guidare da un testo che in ogni sua pagina smonta le varie scemenze che costruiscono contrapposizioni e gerarchie tra sapere, saper fare, saper ragionare, saper produrre con molteplici strumenti e capacità creative. In qualche modo l’intelligente e ricchissimo gioco tra utopie e distopie, che Mario Fierli ha prodotto e che Claudio Salone mette in luce è un po’ la metafora dell’impegno collettivo che la nostra redazione cerca di sviluppare negli spazi virtuali di Education2.0, e che viene bene sintetizzata nella conclusione del dialogo:ma qui stiamo di fatto ragionando sulla riforma della scuola … cosa ci può essere di più utopisticamente distopico di questa prospettiva?
Salone Il tuo bel libro, Mario, si legge con grande leggerezza e divertimento. Tanto per essere chiari, sono lodi, non critiche. L’argomento potrebbe indurre a trattazioni seriose, accademiche, capaci di produrre più tomi, visto anche l’arco di tempo in cui si svolge. Qui invece siamo di fronte a ‘sciabolate’ (tre, per la precisione) che tagliano le epoche con lame ben affilate, e che tracciano itinerari insoliti, per me, anche inattesi. Uno su tutti quello che insegue Jules Verne nella sua dimensione distopica, da me mai neppure ipotizzata fin da quando, poco più che bambino, leggevo con grande passione e tranquillizzante ottimismo i suoi romanzi ‘positivi’, che mi parlavano di nuove scoperte scientifiche e di fede del progresso.
Fierli vero: su questo tema si potrebbe e, a mio avviso, si dovrebbe indagare con gli strumenti critici della filosofia e non solo. Questo mio lavoro, invece, è una storia di idee, ricercate in documenti di vario genere, dalle Transactions della Royal Society agli appunti progettuali di Babbage, ma prevalentemente in scritti narrativi, romanzi, poesie, sceneggiature di film. Anche i filosofi e gli scienziati, da Bacone a Skinner, parlano attraverso narrazioni. Tutto è partito per caso dalla scoperta (per me tale è stata) del libro di Verne Parigi nel XX secolo, un inatteso racconto di fantascienza distopica, in cui Verne tradisce Verne. Da qui l’adozione di uno schema, il parallelismo e la contrapposizione di utopie e distopie in tre periodi storici caratterizzati da un tema scientifico-tecnologico prevalente: la nascita della scienza sperimentale e del suo rapporto con la tecnica fra ’600 e ‘700, la rivoluzione industriale dell’800, l’informatica, la cibernetica e l’intelligenza artificiale nel ‘900.
Salone A dipanare uno dei fili rossi della narrazione è il ruolo della tecnica, definire la quale era già un’impresa non facile al tempo dei greci. Leggendo il testo mi è tornato alla mente il XVIII libro dell’Iliade, dove Efesto accoglie Teti, venuta nella sua officina per fargli fabbricare un nuovo scudo per il figlio Achille, con dei veri e propri automi: «venti tripodi in una sola volta faceva […] ruote d’oro collocava sotto ciascun sostegno, perché da soli entrassero nell’assemblea divina, poi tornassero a casa, miracolo a vedersi». E più avanti (v. 418 e ss.): «schiave d’oro simili in tutto a giovani in carne e ossa sorreggevano il loro signore; nel petto hanno senno e voce e forza e sanno lavorare per dono degli dei immortali». Techne significa arte, mestiere, che si differenza dalla poiesis, creazione assoluta, ex nihilo’” e ha in sé la necessità di disporre di materiale preesistente, che poi andrà intessuto (tek, radice indoeuropea di tessere a seconda delle necessità del momento. La traduzione latina di techne con ars – con i relativi equivoci interpretativi – ebbe la meglio per tutto il Medioevo. Di technical come aggettivo si parla per la prima volta in Inghilterra, nell’ambito del nascente empirismo del XVII secolo, ma ancora l’Encyclopédie di D’Alembert e Diderot (1764), parla di sciences, arts e métiers. In italiano, il sostantivo tecnica si fa risalire addirittura solo alla fine del XIX secolo.
Fierli Cercare l’origine dei termini, come tu fai in questo caso, è sempre il miglior strumento rivelatore del significato. Nel dibattito attuale, purtroppo, l’incrocio fa i termini tecnica, tecnologia, ingegneria e simili è sempre confuso. Quello che ha portato ad aumentare la confusione è la prevalenza dell’inglese Technology, usato come una scatola in cui entrano tutte le accezioni possibili. La tecnica, il ‘fare ragionato’, è il mio tema principale, ma c’entra molto anche la scienza intesa, per esempio, come ‘filosofia sperimentale’ nel ‘600 o come ‘scienza dell’artificiale’ nel ‘900.
Salone L’altro filo è quello della utopia/distopia, ‘luogo inesistente o benigno’, a seconda delle interpretazioni che si danno della u- (ou, non o eu, buono) il primo, luogo cattivo, il secondo. Rintracciare nella storia dell’Occidente europeo questo duplice concetto si rivela quanto mai appassionante e tu ci guidi alla riscoperta di testi più o meno noti, illuminandoli da questa prospettiva insolita e molto feconda.
Fierli Utopie e distopie sono rivelatori forti degli atteggiamenti, filosofici, ideologici, istintivi nei confronti di un’idea e una pratica, in questo caso della tecnica. Perché hanno alla base pulsioni profonde, come il principio di speranza, e miti ancestrali, come la nostalgia delle origini, i paradisi terrestri. La forma canonica, la narrazione di un viaggio in un luogo o tempo lontano, non è l’unico contenitore di utopie/distopie. I libri e i film di fantascienza, per esempio, sono un serbatoio di varianti narrative. E, più in generale, il pensiero utopico/distopico si trova nelle più diverse forme dell’azione: un quadro di Goya, il progetto delle Nazioni Unite, la Macchina Analitica di Babbage, la struttura urbanistica di Brasilia. Una cosa che sorprende è che spesso la stessa espressione utopica diventa distopica a seconda del punto di vista e del tempo che passa. Faccio l’esempio di certe opere di architettura e di narrazioni come Walden Two di Skinner, che immagina una società basata sulla sua teoria del condizionamento operante, e che nonostante le intenzioni dell’autore si legge come una distopia.
Salone I due fili poi si intrecciano tra loro, in quanto la tecnica appare l’elemento generatore principale delle utopie e, più frequentemente, delle distopie. Su questo specchio tu fai riflettere il volto di tanti grandi pensatori, da Socrate a Virgilio, da Bacone a Galileo, fino alle filosofie otto-novecentesche. L’immagine che se ne ottiene è, e non poteva essere altrimenti, densa di contraddizioni, di avanzamenti e precipitose retromarce, talvolta vissute anche all’interno della medesima persona, che contribuiscono a rafforzare l’idea per cui è nella tensione tra poli opposti che vive il pensiero, non nell’asserito raggiungimento di certezze, utopiche o distopiche che siano.
Fierli Da sempre quella che chiamo la reputazione della tecnica è in discussione. Una delle formule è utile, ma non nobile, dalla versione di Socrate nel Crizia fino al recente non per profitto della Nussbaum. Al di sopra ci sono i trionfi del positivismo e, al di sotto, la forte critica delle filosofie romantiche, spiritualiste e sociologiche.
Salone Nell’ultima parte del libro (il terzo percorso), la più ardua per chi, come me, non è in possesso di adeguate competenze tecnico-scientifiche, è il pensiero contemporaneo che fa i conti con lo straordinario progresso tecnologico del ‘900. Un progresso che sicuramente atterrisce i più e genera distopie in misura maggiore che non utopie. Qui letteratura, scienza e fantascienza (nel senso di Asimov, un altro autore, a me ‘verniano utopista’, assai caro), cibernetica, informatica, IA, mescolano le loro storie per darci un quadro che, nel complesso, è più oscuro che luminoso, prevalendo, anche secondo te, la distopia sull’utopia, giudicata ‘più noiosa’ dal punto di vista letterario.Il ruolo satanico attribuito alle tecniche (opportuno l’inserimento nel testo dell’ Inno a Satana di Carducci) perdura ancora oggi e, a tratti, sembra decisamente prevalere, assieme a un senso di inquietudine per un futuro che – come peraltro è sempre stato – non si può prevedere e di fronte al quale gli strumenti della razionalità e della ‘curiosità’ paiono venir meno.
Fierli La tecnica, anche grazie al crescente intreccio con la scienza, non ha cessato di evolvere, anzi è ancora più forte, come vediamo tutti. Ma i disastri delle guerre novecentesche, e quelli dell’antropizzazione dell’ambiente, la nascita di poteri enormi, incontrollabili e persino difficili da comprendere, fa prevalere la preoccupazione. Certamente i progressi dell’Intelligenza Artificiale e i risultati delle biotecnologie (si pensi alla recente preparazione del vaccino anticovid) creano speranza e ammirazione. Ma in questo secolo le utopie vivono prevalentemente nei progetti di ricerca e non nelle narrazioni e nell’arte salvo forse che in qualche film: oggi nessuno avrebbe il coraggio di scrivere un’opera-balletto come il Ballo Excelsior. C’è poi il fatto, di cui mi sono convinto, che letterariamente le distopie sono spesso più attraenti, anche perché, mentre le utopie sono quasi condannate a un tono predicatorio, le distopie possono adottare più registri: per esempio il dramma e la satira. Il terzo viaggio di Gulliver nel paese degli scienziati pazzi è certo più divertente della visita alla Casa di Salomone di Bacone.
Salone Gli apocalittici stanno vincendo, il ripiegamento verso ideali (utopici? Distopici?) di una Natura ipostatizzata come buona, lontana da ogni artificio (come se la natura non fosse il più grande laboratorio fisico-chimico esistente!) hanno fatto breccia nelle scuole e nel mainstream. La lettura del libro potrebbe essere un ottimo antidoto per riattivare il pensiero critico, antidogmatico, in cui la tecnica riacquista, senza demonizzazioni, il ruolo che le compete nella formazione dell’uomo di domani.
Fierli Certo, e per esercitare il pensiero critico occorre almeno che tutti acquisiscano strumenti per comprendere come funziona il mondo fatto dall’uomo. E questo non si ottiene isolando la tecnica in angolini del curricolo, ma restituendo a tutti i saperi la consapevolezza della loro specifica e ineludibile dimensione materiale. Ma qui stiamo di fatto ragionando di riformare la scuola!
Mario Fierli e Claudio Salone