Diritti umani e disabilità intellettiva: contenuti culturali che favoriscono lo sviluppo
Le prassi di promozione dello sviluppo delle persone con disabilità intellettiva richiedono una collaborazione tra professionisti di più discipline (di formazione medica, psichiatrica, psicologica, neuropsicologica, pedagogica). Ognuna di queste discipline è portatrice di costruzioni culturali complesse che si sono modificate oppure stratificate nel tempo.
In questa nota prendo in esame alcune delle concezioni che sottendono il quadro rubricato nei manuali di classificazione diagnostica DSM-5-TR e ICD – 11 come “Disabilità Intellettiva”/”Disturbo dello Sviluppo Intellettivo”. Per semplificare l’esposizione utilizzo domande-chiave la risposta alle quali si considera spesso – ma erroneamente – risaputa oppure ovvia. Risposte esaustive, supportate dai riferimenti bibliografici, si trovano nel testo “Comprendere la disabilità intellettiva” , a cura di Margherita Orsolini e Ciro Ruggerini (Edizione Carocci, 2024). L’assunto di questa nota è che la cultura psichiatrica può favorire un approccio alla disabilità basata sui diritti umani solo se adottata con consapevolezza critica dai professionisti di altra formazione come gli insegnanti e gli educatori professionali.
Prima domanda: quale è la natura dei quadri rubricati nei manuali diagnostici: si tratta di “fatti di natura” (cioè realtà oggettive) oppure di “costrutti” elaborati dalla cultura?.
Si tratta di “costrutti”, cioè di elaborati assemblati (“costruiti”) con l’obiettivo di facilitare azioni utili alla promozione dello sviluppo oppure alla terapia.
Il quadro della Disabilità Intellettiva non sfugge a questa logica: si tratta di un quadro utile a individuare le persone che necessitano, nel loro sviluppo, di una qualche forma di facilitazione.
Cosa distingue le classificazioni di “fatti di cultura” rappresentati dalle categorie psichiatriche (i sistemi DSM-5-TR e ICD-11) e le classificazioni dei “fatti di natura” (come la tavola di Mendeleev)?. Nel caso dei “fatti di natura” come egli elementi chimici della tavola, una sola caratteristica – come il numero atomico – permette di prevedere tutte le caratteristiche dell’elemento. Nel caso dei “fatti di cultura” come le categorie diagnostiche le caratteristiche che intercettano l’appartenenza alla categoria descrivono solo alcune delle numerose caratteristiche individuali.
La attribuzione a una persona della categoria Disabilità Intellettiva costituisce, dunque, solo un punto di partenza per la conoscenza della persona.
Il primo messaggio per insegnanti e educatori professionali è, in sintesi, questo: l’informazione che a un individuo -in qualunque età della vita – è stata attribuita la categoria diagnostica della Disabilità Intellettiva va accolta riconoscendone tutti i limiti. Questa informazione fornisce una caratterizzazione assai ristretta del funzionamento individuale!. Ha uno scopo principalmente amministrativo e di protezione sociale. E’, infatti, una classificazione diagnostica e non una diagnosi completa che conduce a individuare ciò di cui quel singolo individuo ha bisogno e/o diritto.
Seconda domanda: perché nel manuale DSM-5-TR compaiono, con riferimento a questa categoria, sia il termine “disabilità” che il termine “disturbo”?.
Si tratta di due modi di concettualizzare la categoria con obiettivi diversi.
Come ha insegnato la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006) ciò che definiamo disabilità non esiste in sé essendo l’effetto di una relazione sociale. Esiste la inefficienza nel funzionamento cognitivo e adattivo ma la disabilità si evidenzia solo se le facilitazioni a questi funzionamenti non ottimali non sono adeguati. Nelle società italiana della seconda metà dell’800, organizzata intorno alle attività agricole, la prevalenza, nella popolazione generale, delle persone con Disabilità Intellettiva era pari allo 0.08 per cento. Nelle società europee e nord americane che richiedono, oggi, abilità cognitive molto più complesse per una vita indipendente questa prevalenza è pari al 2-3% della popolazione.
La concettualizzazione come Disabilità sposta, dunque, l’attenzione sulla qualità del contesto di vita: in quali tipi di relazione viene coinvolto il soggetto?; di quale opportunità può godere nell’arco della vita?; di quali diritti gode realmente?; quali diritti gli sono, invece, negati?.
Ciò che chiamiamo Disabilità Intellettiva è, dunque, una condizione esistenziale “fragile” perché dipendente in varia misura dalla qualità del contesto.
La concettualizzazione come “disturbo” ha l’obiettivo di orientare lo sguardo medico alla ricerca della cause, alcune delle quali si possono rimuovere con terapie efficaci e, anche, delle malattie fisiche, neurologiche e psichiatriche che possono essere associate alla condizione.
Le due concettualizzazioni non sono dunque alternative: entrambe sollecitano, in aree diverse – sociale, personale e sanitaria -, la attuazione dei diritti umani – di inclusione, di sviluppo e di autodeterminazione, di adeguatezza delle cure – .
Terza domanda: come spiegare ciò che nei manuali diagnostici si indica come possibilità di evoluzione positiva della condizione nell’arco intero della vita?
Nei manuale diagnostici DSM-5-TR e ICD – 11 si indica che le capacità cognitive di adattamento delle persone con disabilità intellettiva possono migliorare la loro efficienza nell’arco della vita a condizione che non vi siano disturbi neurologici interferenti e che l’individuo possa partecipare a esperienze soddisfacenti. Si tratta di un dato certo (condiviso da tutta la comunità scientifica e per questo “ammesso” ai manuali diagnostici).
Da circa due decenni abbiamo una spiegazione di questo dato nella teoria del Connettoma. Il Connettoma è l’insieme delle connessioni tra le cellule del cervello (i neuroni). Le connessioni aumentano o diminuiscono di intensità (il corrispettivo biologico è l’aumento o la diminuzione delle sinapsi) sulla base degli stimoli del contesto (fisici come il tipo di alimentazione; emotivi come la partecipazione a relazioni più o meno soddisfacenti; esperienziali come il coinvolgimento in attività di apprendimento o di gioco o di lavoro). Il Connettoma si modifica in tutto l’arco della vita parallelamente al contesto di vita dell’individuo con l’obiettivo di potenziare le attività con cui l’individuo si deve confrontare.
La forte relazione tra contesto e qualità del Connettoma, insieme alle determinanti neurobiologiche individuali rappresentate dal genoma, rende ogni Connettoma unico, assimilabile, di fatto, alle impronte digitali.
Questa teoria è valida anche per le persone con disabilità intellettiva ed ha implicazioni di grande rilievo. Ogni attimo della esperienza è importante perché lascia le sue tracce in una modifica delle connessioni cerebrali.
La teoria del Connettoma richiama la responsabilità di ogni Comunità nella costruzione di contesti di vita adeguati!.
Quarta domanda: perché nella Convenzione ONU compare la dizione “persona con disabilità”?
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006) introduce, con il termine persona, un linguaggio nuovo nei documenti internazionali.
Secondo gli estensori della Convenzione questo termine è sotteso da un cambiamento concettuale rilevante: lo spostamento del focus dal funzionamento alla ontologia dell’essere. L’essere persona, questa è la novità concettuale, prescinde dalla efficienza di ogni tipo di funzionamento. Una persona è una persona senza preclusioni all’accesso alla definizione.
Ma quale è l’attributo essenziale dell’essere persona?. E’ quello di percepirsi come una entità stabile nel tempo. E’ percezione / consapevolezza che l’entità che si alza dal letto il mattino è la stessa che si è coricata la sera. Il correlato di questa percezione è la necessità di avere un progetto, coltivare una aspirazione proiettata nel futuro, ricercare un senso di sé e una ragione di vita.
L’espressione persona con disabilità intellettiva vuol dire riconoscere a queste persone questo insieme di qualità umane. Riconoscimento di ciò che è stato di fatto negato nel secolo scorso, che uno psichiatra ha definito “il tragico intermezzo del ventesimo secolo” per le persone con disabilità intellettiva!.
Dopo il rilascio della Convenzione ONU l’approccio alle persone con disabilità può essere definito solo come “Approccio basato sui diritti umani”.
Concludo cercando di evidenziare alcune possibili indicazioni operative dei concetti esposti (probabilmente) utili per insegnanti e educatori professionali. Scelgo le seguenti:
1.Insegnanti e educatori incontrano persone con disabilità intellettiva che sono necessariamente “presentate” da documenti clinici. Questi documenti a volte contengono solo Classificazioni diagnostiche. Una Classificazione diagnostica dovrebbe essere il punto di partenza per la conoscenza della persona. In ambito educativo la conoscenza dei dati medici correlati può essere importante ma non è in alcun modo decisiva. E’ molto più importante la storia della famiglia, delle opportunità avute, delle situazioni che per il soggetto sono essenziali per l’apprendimento e per una condizione di ben – essere. Una persona si conosce facendo insieme, partecipando con lei, costruendo una relazione dialogica.
Il ruolo e la funzione degli insegnanti e degli educatori professionali è, dunque, essenziale. La pre-condizione necessaria è accogliere le informazioni mediche e psichiatriche con consapevolezza.
2.La nozione di Connettoma orienta insegnanti e educatori professionali a un atteggiamento necessariamente curioso. Vista la assoluta individualità biologica e dei percorsi di vita sarebbe illusorio immaginare metodi standard di insegnamento o di relazione ma molto più realistico prevedere la necessità di lasciarsi cogliere dall’inaspettato e di progettare percorsi innovativi
3.La nozione di Connettoma orienta, inoltre, verso un atteggiamento di astensione da previsioni sugli adattamenti futuri. Il futuro si costruisce partendo dall’oggi ma, nel caso delle persone con disabilità, è particolarmente legato alle vicissitudini del contesto: quali opportunità potrebbero prospettarsi?; quali ruoli sociali?; quali reti di affetti e di relazioni si potranno attivare?.
4.La nozione di persona è, infine, la nozione chiave. Insegnanti e educatori professionali incontrano persone e non categorie diagnostiche!. L’essenza dell’essere persona è di essere una sorgente di desideri e di progetti. Ecco il ruolo di insegnanti e di educatori (così come di ogni altro operatore e di ogni concittadino): essere partner delle persone con disabilità intellettiva nella realizzazione del loro progetto. In questa partnership insegnanti e educatori non sono in secondo piano rispetto a nessun altro professionista.
Ciro Ruggerini. Specialista in Neuropsichiatra Infantile, Psichiatria e Psicoterapeuta; Direttore Sanitario della Cooperativa Sociale “Progetto Crescere” di Reggio Emilia.