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TALIS 2013: il cambiamento non si può rinviare. L’Italia valorizzi gli insegnanti

Pubblicato il: 25/06/2014 11:56:18 -


L’indagine TALIS 2013 (OCSE) sui docenti conferma la necessità di un profondo cambiamento dell’impianto educativo italiano che deve passare attraverso il sostegno alla professionalità degli insegnanti. La lettura dei dati fatta da Luigi Berlinguer.
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L’OCSE ci consegna oggi l’indagine TALIS 2013 (The OECD Teaching and Learning International Survey), che descrive il profilo del docente medio in un elevato numero di Paesi. Ci soffermiamo qui sulla situazione italiana, Education 2.0 ritornerà sui dati complessivi.

Il risultato dell’indagine, che si fonda sulle risposte degli stessi docenti a un questionario, conferma la percezione già evidenziata nel passato, proprio nel nostro Paese, di una scuola che non affronta con la necessaria determinazione l’acuto bisogno di cambiamento dell’intero sistema educativo. Questo è, a mio avviso, il messaggio che ci viene consegnato: lo dimostrerò esaminando vari profili e confrontando il dato italiano con la media TALIS. Va qui precisato che la composizione TALIS non è omogenea; e quindi la media che se ne ricava è spesso inferiore a quella, ad esempio, dei Paesi dell’Unione Europea. Ciò nonostante, l’Italia esprime valori inferiori.
In Italia il 78,5 % degli insegnanti è donna (TALIS 68%); l’età media è di circa 49 anni (6 anni in più della media TALIS). Il 79% è in possesso di formazione specifica per l’insegnamento (TALIS 90%). La carenza di formazione iniziale è aggravata, poi, dall’inadeguatezza dell’offerta di formazione in servizio (lo dichiara il 66,6% degli insegnanti italiani, contro il 39% media TALIS).

L’insieme di questi fenomeni non può non pesare sulla funzionalità complessiva del corpo insegnante: dobbiamo questa grave carenza al sostanziale blocco dei nuovi ingressi, a una professione docente congelata, con poco ricambio, senza un’articolata crescita professionale.
Le classi dirigenti italiane con i tagli, le retribuzioni insufficienti e l’insensibilità verso la credibilità sociale della professione docente, portano intera la responsabilità della scarsa attrattività di questa stessa professione. Si noti bene, i continui tagli dei finanziamenti alle scuole per lo sviluppo professionale dei docenti e la diminuzione delle ore di compresenza hanno influito negativamente sulla partecipazione alle attività di formazione: nel 2013 ridotta di 10 punti percentuali rispetto al 2008.
I docenti italiani, che pur esprimono in assoluto (non solo fra i Paesi TALIS, ma anche rispetto alla media europea) il bisogno e la consapevolezza della necessità di una formazione continua, sono penalizzati dagli elevati costi individuali della propria formazione (53% contro media TALIS 43%) e dal fatto che le attività confliggono con l’orario di servizio (59,6% contro il 50,6% della media TALIS).

L’indagine, inoltre, mette a nudo una preoccupante scarsità di innovazione didattica – anche se le nostre esperienze ci dicono di eccellenti esempi, in questo senso, presenti nelle scuole – dovuta alla scarsa familiarità con le pratiche attive d’insegnamento: solo il 32% degli intervistati dichiara di far lavorare gli studenti in piccoli gruppi per concentrarsi su soluzioni comuni dei problemi e dei compiti assegnati (47% media TALIS); solo il 31% utilizza le nuove tecnologie (38% media TALIS). Ma la circostanza più indicativa riguarda l’uso dell’interrogazione: l’80% dei docenti italiani contro il 49% della media TALIS.

Siamo una scuola povera di risorse, che destina pochissimo allo sviluppo professionale docente e alle condizioni strutturali di sostegno all’apprendimento: si prendano, ad esempio:
– la carenza o l’assenza di biblioteche scolastiche (lamentata dal 44% degli insegnanti italiani contro il 29% TALIS);
– la scarsità di materiali didattici e di supporti tecnologici (56% contro 26% media TALIS);
– l’assenza di personale di supporto alla didattica (78% a fronte del 47% della media TALIS).
Continua la rassegna dell’arretratezza italiana: oltre alla rigidità della natura trasmissiva dell’insegnamento, emerge l’eccesso di disciplinarismo: la comunità educante è frammentata a causa del rigido rapporto fra il docente e la propria materia, della mancata flessibilità del curricolo, dall’impero dei libri di testo, mentre ancora risulta scarso l’utilizzo a fini didattici delle nuove tecnologie.
Niente di più scoraggiante di un tale sistema ormai invecchiato.
E tuttavia – difficile a credersi – gli insegnanti tornerebbero a fare questo stesso lavoro: l’86% degli italiani contro il 78% della media TALIS. Anche se, a stragrande maggioranza (88%), i nostri insegnanti si dicono consapevoli che nel nostro paese l’insegnamento non è apprezzato.

La verità è che gli insegnanti amano il proprio mestiere nonostante le condizioni impervie in cui esso viene esercitato.
L’opinione pubblica e la politica prendano atto dell’esistenza di una motivazione così forte, che va sostenuta e sospinta verso il cambiamento.
Come si vede, i diversi dati, se letti in una possibile ottica di sistema, rilevano vari aspetti di un fenomeno comune: l’establishment si ostina a non incoraggiare le potenzialità e le esperienze di innovazione, a non venire incontro ai bisogni culturali giovanili, a consolidare istituti e prassi pedagogiche che appartengono ad un’altra epoca, perseverando nella rassegnazione per questo grande Paese a collocarsi in coda nella comunità internazionale.

Il cambiamento non si può rinviare. Sarà molto utile che sulle colonne di Education 2.0 si sviluppi una discussione, tra studiosi e operatori, su una tematica così rilevante.

Luigi Berlinguer

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