Apprendistato di alta formazione e ricerca: opportunità e competenze
Ampiamente ignorato dalla liturgia mediatica su giovani e lavoro, l’apprendistato di alta formazione e ricerca è uno strumento potenzialmente interessante per dare risposte all’“emergenza giovani” e alle imprese in cerca d’innovazione e di sviluppo. Best practices e profili di competenze.
Il recente “decreto istruzione” (decreto legge n. 104/2013, recante: «Misure urgenti in materia d’istruzione, università e ricerca») promuove, nel solco di un dibattito avviato ormai da qualche anno in Italia, la valorizzazione del lavoro come esperienza formativa, e la volontà di farlo entrare, in quanto tale, nei percorsi d’istruzione e di formazione dei giovani, a tutti i livelli, compresa l’università.
Uno degli strumenti che, da sempre, accorda virtuosamente lavoro e apprendimento è l’apprendistato. Presente nel nostro ordinamento da più di mezzo secolo, è stato oggetto di numerosi interventi di riforma. L’ultimo è il decreto legislativo n. 167/2011 – il Testo Unico dell’Apprendistato – che ha drasticamente semplificato il quadro di regole: in sette articoli detta la disciplina unitaria dell’istituto.
In ventiquattro mesi, il Testo Unico è stato già riformato due volte, dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012) e dal decreto legge n. 76/2013, recante il “pacchetto lavoro” promosso dal Ministro Giovannini durante il Governo Letta.
Il risultato di questi sforzi normativi, almeno quelli per i quali è apprezzabile l’impatto sul mercato del lavoro, non è tuttavia confortante.
Stando ai numeri dei rapporti di monitoraggio dell’Isfol, l’apprendistato è tendenzialmente calato negli ultimi anni, e dei tipi di apprendistato previsti da un decennio dal nostro ordinamento, quello professionalizzante è l’unico che funziona a regime.
Anche a causa degli effetti della crisi, inoltre, il tasso di disoccupazione giovanile non fa che aumentare; crescono la distanza e il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro; e i tempi della transizione dalla scuola, all’università, al lavoro si allungano.
Dietro i dati, si nascondono le vite di giovani che si perdono e, nel peggiore dei casi, si scoraggiano, preferendo l’inattività alla vita attiva.
Per non alimentare la litania su quella che viene ormai asetticamente denunciata come l’“emergenza giovani”, ci occupiamo di soluzioni concrete.
Nella rosa degli strumenti che le aziende hanno a disposizione per assumere giovani, l’apprendistato è una grande opportunità. Benché sia conosciuto soprattutto per la sua versione “di mestiere” (l’apprendistato professionalizzante), in Italia l’apprendistato si può realizzare anche a livello di alta formazione. Si tratta di un contratto di lavoro a tutti gli effetti, a tempo indeterminato, che consente di conseguire un titolo di studio di livello secondario superiore, post secondario e terziario, o di svolgere attività di ricerca.
Il contratto inizia con una prima fase, di natura formativa, caratterizzata dallo svolgimento del progetto dell’apprendista, durante la quale le parti non possono recedere, salvo giusta causa o giustificato motivo. Al termine di questa fase, il datore di lavoro è libero di sciogliere il contratto, dando congruo preavviso; in alternativa il rapporto prosegue come un regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato.
L’apprendistato di alta formazione e ricerca avvicina università e impresa, con l’obiettivo di condividere un progetto formativo in alternanza, che si svolge tanto nelle aule e nei laboratori universitari quanto sui luoghi di lavoro, con il supporto di professori e professionisti di azienda.
Un percorso duale di alto livello, che si articola su un doppio binario:
– il primo è quello dell’alta formazione, che si conclude con il conseguimento di una laurea, triennale o magistrale, di un master di primo o secondo livello e di un dottorato di ricerca;
– il secondo è l’apprendistato di ricerca, per imparare a fare ricerca in azienda; e conduce alla qualificazione contrattuale di “ricercatore”. Entrambi gli strumenti sono destinati a giovani tra i 18 e i 30 anni non compiuti, oppure a diciassettenni che hanno già una qualifica professionale. Lo possono utilizzare imprese private, di tutti settori del mercato del lavoro.
Gli aspetti formativi del contratto e la relativa durata sono dettati dalle Regioni, in accordo con le parti sociali e le istituzioni formative. In assenza dell’intervento regionale, è sufficiente una convenzione ad hoc tra singola impresa, o sua associazione di categoria, e l’istituzione formativa. Questa ultima può essere un’università, un istituto tecnico superiore, o altre istituzioni formative e di ricerca, comprese quelle in possesso di riconoscimento di livello regionale e nazionale, e che abbiano come oggetto la promozione del lavoro, della formazione e del trasferimento tecnologico.
Le imprese che vogliano utilizzarlo sono incentivate sotto più aspetti: la flessibilità di gestione del lavoratore, innanzitutto per quanto riguarda la retribuzione, che può essere stabilita sotto inquadrando il lavoratore fino a due livelli, o in misura percentuale rispetto alla retribuzione che spetterebbe ad apprendistato concluso.
La legge prevede altresì incentivi contributivi, fiscali e normativi, e il Ministero del lavoro promuove lo strumento finanziando bonus per assunzioni, concessi alle imprese che lo utilizzano.
L’apprendistato di alta formazione e ricerca non è certo lo strumento più snello, economico e immediato, in termini di attivazione, realizzazione e risultati, di cui oggi le imprese dispongono per assumere giovani. Ma le opportunità che potenzialmente offre – in termini di sviluppo umano, innovazione e crescita – sono ricche e di grande valore.
Introdurlo nel nostro Paese è stata una scommessa, finora persa, almeno in termini di sistema, ma che si è pure concretizzata in esperienze positive per alcuni giovani e aziende, che ora possono indicarci la strada per proseguire sul cammino faticosamente tracciato sin qui. Su questo tema si sono confrontati università, imprese, parti sociali e apprendisti durante il Seminario di Studi “Apprendistato e alta formazione: best practices e profili di competenze”, organizzato dal Centro di Ricerca CEFORC “Formazione continua & Comunicazione” del Dipartimento di Studi di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, in collaborazione con il Centro Studi AIDP e Adapt, e con il patrocinio della Regione Lazio.
La locandina del Seminario di Studi
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Giuditta Alessandrini e Lisa Rustico