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Education at a Glance 2015: investire su istruzione di qualità e ad alto livello

Pubblicato il: 24/11/2015 12:20:37 -


I dati Ocse dimostrano come l’Italia abbia fatto grandi passi avanti per estendere l’istruzione secondaria al maggior numero di ragazzi. Ora bisogna investire su un’istruzione post-secondaria di qualità.
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Education at a Glance 2015 ci dà una rappresentazione dell’istruzione in Italia sicuramente di un certo interesse, che spesso contraddice il costante lamento degli organi di stampa e di una parte della cultura, per la quale l’espansione scolastica è rappresentata come un inquinamento culturale del paese.

Ma i numeri parlano chiaro: se trent’anni fa la percentuale di coloro che riuscivano ad accedere a un diploma non superava il 22%, oggi i ragazzi diplomati sono il triplo. Stessa cosa per quanto riguarda i laureati: se consideriamo la fascia d’età fra i 55 e i 64 anni, essi non superano il 12%, a fronte del 24% dei giovani fra i 25 e i 34 anni. Molto è stato fatto. Molto bisogna ancora fare, per quei ragazzi, più del 20%, che abbandonano prematuramente il percorso scolastico, e per i ragazzi che non riescono a completare gli studi universitari.

La crisi economica di questo decennio ha mostrato chiaramente come le uniche politiche efficaci, oltre a quelle rivolte a creare occupazione, siano quelle che incentivano un’istruzione di qualità e che consentano di completare percorsi di istruzione post-secondaria, i più utili per favorire l’accesso al mercato del lavoro.

Quali sono i numeri dell’istruzione terziaria in Italia? I dati ci dicono che i ragazzi italiani ambiscono alla laurea magistrale: la percentuale (20%), supera di tre punti quella di area Ocse. Di  fatto, le stesse analisi dell’Ocse confermano che i ragazzi con un titolo equivalente o superiore alla laurea magistrale (compreso il master o il dottorato di ricerca), trovano più facilmente lavoro e percepiscono stipendi più alti rispetto ai ragazzi con diploma.

Queste le luci. Le ombre risiedono nel fatto che i ragazzi italiani, più che scegliere sono, di fatto, tenuti a proseguire i loro studi fino alla laurea magistrale: in altri paesi (ad es. Austria, Spagna, Lettonia, UK e Lettonia, Federazione Russa, Danimarca) la scelta ricade preferibilmente sulle lauree a ciclo breve, con immediato accesso al mondo del lavoro.

Quali percorsi di laurea intraprendono i nostri giovani? Come nella maggior parte dei paesi europei, anche da noi la scelta ricade soprattutto su discipline “tradizionali”, quali ingegneria, medicina, giurisprudenza ed economia. Fanno eccezione le lauree brevi in materie scientifiche e in ingegneria, meglio valutati ed accolti dal mercato del lavoro.

Un altro dato rivela una pecca tipica di questo paese: la restrizione del dottorato di ricerca a fini quasi esclusivamente accademici. In altri paesi è l’intera società che ha bisogno di dottori di ricerca e il mercato del lavoro lo registra, occupandoli nelle più varie professioni. Nel nostro paese, ristretti quasi esclusivamente allo sbocco accademico – anche a causa della progressiva povertà numerica delle Università – i dottorati di ricerca sono meno ambiti.

Fra i dottori di ricerca, in Italia solo il 26% appartiene alle materie scientifiche, a fronte di percentuali che sfiorano il raddoppio in altri paesi: basti pensare alla Francia (48%), al Cile (40%), a Israele (43%), Lussemburgo (39%). Questi stessi paesi attraggono dottorandi stranieri: Cile (42%), Israele (41%), Lussemburgo (44%). Del resto i paesi che annoverano percentuali più alte di laureati e dottori di ricerca in aree scientifiche, sono quelli nei quali già da tempo sono state intraprese politiche a sostegno della ricerca scientifica e dello sviluppo. È stata recentemente perfezionata la norma relativa alle detrazioni fiscali per ricerca e sviluppo. Un primo passo. Bisogna continuare in questo senso, anche per arginare il fenomeno, più volte descritto, dei “cervelli in fuga”.

Ma bisogna anche puntare sulla qualità dell’istruzione terziaria italiana. Le cifre infatti mostrano che questa non attrae gli studenti stranieri. Nel 2013, circa 49.000 studenti italiani risultavano iscritti all’estero, a fronte di meno di 16.000 studenti stranieri iscritti in Italia (si badi, il dato comprende anche i ragazzi figli di famiglie straniere residenti). Veramente pochi, se si pensa ai circa 46.000 studenti stranieri iscritti in Francia e ai 68.000 in Germania. 

I dati qui riportati sono sicuramenti indicativi di problemi che il nostro sistema deve affrontare e risolvere. A questo si aggiunge la preoccupazione sui punti di approdo accademici di una popolazione studentesca che appartiene ad una stagione migliore di quella che abbiamo di recente attraversato e cioè della grave crisi economica e delle restrizioni finanziarie dei precedenti governi.  Infatti, in base ai dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti universitari, nell’ultimo anno si è registrato un calo degli iscritti pari al 4,23 % e dei laureati pari al 12,72%. Le stesse proiezioni di EAG mostrano che le iscrizioni all’istruzione terziaria, in Italia, non supereranno il 42% dei giovani, una delle più basse percentuali in area Ocse. 

C’è bisogno di politiche più coraggiose per incentivare l’educazione terziaria e l’Università. Finché l’Italia spenderà solo lo 0,8% del suo PIL, a fronte dell’ 1,5% degli Stati Uniti e del Canada, questo sarà molto difficile.

È vero. La crisi economica ha avuto un forte impatto sulla spesa pubblica nei settori educativi, soprattutto in area europea; e con effetti che si sono manifestati anche dopo l’inizio della “risalita” delle varie economie. I dati Ocse ce lo dicono. E su questo torneremo. Molti paesi, però, hanno saputo invertire la tendenza agendo in maniera efficace sul mix fra investimenti pubblici e privati (ad es. i Paesi Bassi, Svizzera e Canada). Sta a noi cercare, e tempestivamente, la formula giusta per il nostro Paese.

Luigi Berlinguer

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