Requiem per la scuola?
La recensione di Vittoria Gallina del libro di Norberto Bottani: “Un testo che appare molto più un appello per la scuola che una sentenza di condanna: insomma la scuola è morta, ma viva la scuola, solo se tutti ce ne prendiamo cura, sapendo che i tempi sono durissimi e le questioni estremamente complesse.”
Quando nella Francia prerivoluzionaria il monarca entrava in agonia, una guardia veniva messa fuori della porta della stanza del moribondo, appena questi moriva, la guardia gridava “il re è morto, viva il re”. Lo stato, che si identificava col sovrano assoluto, non consentiva sedi vacanti, lo spazio in cui si esercita il potere non può restare vuoto; questo in soldoni il senso del grido.
Chiudo il libro di N. Bottani e mi sembra di sentire la seconda parte del grido, requiem sì, ma anche lunga vita a una nuova scuola. Bottani descrive macerie: il fallimento della scuola, in particolare della scuola pubblica che, a partire dall’Ottocento, si è data l’obiettivo di garantire diminuzione delle discriminazioni e quindi equità, entro margini accettabili di efficienza.
Questo fallimento viene certificato a partire dal 2000 dai risultati del Programme for International Student Assessment, che, a cadenza triennale, hanno permesso e permettono, utilizzando gli strumenti metodologici e le strategie interpretative degli studi comparativi in ambito educativo, di fornire informazioni attendibili sugli esiti prodotti dal gigantesco impegno culturale ed economico che un sistema di istruzione richiede ai vari paesi.
La crisi economica, tuttora in atto, ha fatto emergere il problema dell’uso delle risorse economiche e ha imposto un drastico arresto alle politiche di espansione della scolarità che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno caratterizzato impegni e risorse a livello mondiale.
Bottani onestamente dichiara che l’effetto di politiche di contenimento della spesa in questo settore dovranno essere oggetto, nel periodo medio/lungo, di analisi complicate che non intende nemmeno avviare, ma propone una riflessione su molte delle tesi che sostengono le scelte correnti di politica scolastica e solleva dubbi circa la capacità di questi sistemi di essere equi e giusti, almeno per quanto concerne la capacità di fornire quella istruzione obbligatoria che dovrebbe consentire a tutti pari opportunità di partenza.
Ridotti in termini molto schematici processi complessi e diversi nei vari paesi, il punto è questo: prolungare (quindi incremento quantitativo dei percorsi obbligatori) non risponde, forse non ha mai risposto, agli obiettivi che erano stati e continuano a essere posti.
Di qui viene tratta una conseguenza: i servizi scolastici pubblici statali o paritari avranno ragion d’essere in futuro solo e soltanto se riusciranno a eliminare le discriminazioni sociali, cosa che finora, al di là di tutte le possibili illusioni, e i dati che con grande perizia Bottani propone dimostrano, sembra non possa accadere.
L’analisi è molto drastica: sistemi scolastici franano, non riescono a essere stabili, la scuola si trova di fronte al compito impari di supplire a strutture familiari e sociali in crisi, somministrando terapie psicopedagogiche a una popolazione giovanile disorientata, priva di punti di riferimento.
Gli insegnanti hanno perso la funzione che avevano i loro predecessori di selezionare le élite intellettuali, e di meritarsi con ciò il riconoscimento sociale, e registrano sulla loro pelle il fallimento di fronte alla esigenza di sostenere la democratizzazione della società, favorendo, mediante l’istruzione, la mobilità sociale.
A questo si aggiunge il divario tra mondo della scuola e nuove tecnologie. I nativi digitali sperimentano ormai spazi aperti di apprendimento e modalità di accesso alla conoscenza molteplici, molto lontani dai riti scolastici.
Bottani ci leva anche l’illusione che, da qualche parte, le cose possano andare meglio; se è vero che le graduatorie Pisa sembrano premiare alcuni sistemi e punirne altri, il binario su cui va la scuola pubblica, nata dalla migliore tradizione ottocentesca, sembra essere comunque un binario morto.
Di paragrafo in paragrafo il libro cancella tutte le possibili scorciatoie positive, arrivando a richiamare la descolarizzazione, Deschooling Society è il titolo di un saggio e di una raccolta di saggi pubblicata da Ivan Illich nel 1971 (Paul Goodman, aveva parlato di descolarizzazione già negli anni Cinquanta).
È meglio prendere i soldi che si spendono oggi per l’istruzione per offrire ai giovani un accesso diretto al mondo reale (apprendistato, viaggi, lavoro in comunità, opere di conservazione, assunzione temporanea in laboratori, in studi di progettazione, teatri e studi televisivi), riducendo l’istruzione medio-superiore (problema peraltro molto presente nel sistema italiano che offre il percorso secondario più lungo in Europa e non solo)?
Bottani è come al solito molto onesto, richiama Illich da un lato, ma pone un grosso caveat, dall’altro. E se poi, una volta chiuse le scuole, le cose vanno peggio di adesso? “Purtroppo – scrive Bottani – non ci sono indagini che permettano di verificare scientificamente la validità della teoria di Illich”, del resto è assolutamente evidente la situazione in cui giovani e meno giovani vivono laddove le scuole da chiudere non ci sono, perché non sono mai state aperte.
L’UNESCO documenta con costante impegno lo stato di salute del mondo senza scuola e costruisce indicatori che, alla assenza di scuola e di alfabeto, sono collegati. Si può sempre dire che il problema non è la scuola o l’assenza di questa, ma la distribuzione di risorse e di opportunità nel mondo globale; questo è vero, ma il dubbio che la scelta da fare non sia quella di tagliare il budget per l’istruzione di base rimane legittimo.
Il libro di Bottani è molto utile proprio perché si colloca tutto dentro questo dilemma. È vero, molti italiani, usciti dalla scuola dell’obbligo, e non solo, sanno a malapena leggere e faticano “a reperire in una pagina scritta un’informazione esplicita”.
Ciò non significa che la scuola non serva, ma serve soltanto a una parte della popolazione, mentre a pagarla sono tutti i contribuenti. E, sono parole di Bottani, “le disuguaglianze iniziali rispetto all’istruzione, invece di calare, con la scolarità prolungata si accentuano”.
Il libro di Bottani chiude la bocca alla tanta retorica che si fa sulla scuola e chiude la bocca ai tanti che hanno ricette mirabolanti, solo perché sono andati a scuola, soprattutto al liceo classico. Bottani non si lancia in ricette, approfondisce i punti di vista e butta là qualche osservazione p.e. meno centralismo: “si hanno prove documentate che se le scuole diventano autonome e responsabili i risultati scolastici degli studenti sono migliori”.
Ma Bottani non dà ricette, continua a moltiplicare i dubbi e implicitamente invita a guardare, senza pregiudizi, le esperienze diverse che sono disponibili, senza pensare a salvifiche e progressive sorti di crescite lineari, prive di contraddizioni.
Per questo alla fine il suo testo appare molto più un appello per la scuola che una sentenza di condanna: insomma la scuola è morta, ma viva la scuola, solo se tutti ce ne prendiamo cura, sapendo che i tempi sono durissimi e le questioni estremamente complesse.
N. Bottani, “Requiem per la scuola”, Ed. il Mulino, 2013.
Per approfondire si veda il sito dell’autore: http://www.oxydiane.net/
Correlazioni:
• Le politiche scolastiche secondo Norberto Bottani, Linda Giannini intervista Norberto Bottani, esperto specializzato nella politica di sviluppo della ricerca scientifica sulla scuola e nell’analisi comparata delle politiche scolastiche, con un interesse per l’articolazione tra ricerca scientifica da un lato e politica della scuola dall’altro.
• Norberto Bottani: a che servono i test sulla lettura? Video intervista a cura di Carlo Nati – prima parte
• Norberto Bottani: a che servono i test sulla lettura? Video intervista a cura di Carlo Nati – seconda parte
• Dal convegno Digital Learning, di Norberto Bottani
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Immagine in testata di pierpeter / Flickr (licenza free to share)
Vittoria Gallina