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Ragazzi, si copia

Pubblicato il: 23/04/2012 17:36:15 -


Maurizio Tiriticco ha letto “Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane”, di Marcello Dei. Edito da Il Mulino nel 2011. Ecco la recensione per Education 2.0.
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Sul fenomeno del copiare a scuola, da sempre diffuso e non solo nelle scuole del nostro Paese – anche se vi sono le dovute eccezioni – in effetti nessuno si è mai posto interrogativi seri: la tirata di orecchie è sufficiente a dissuadere il “colpevole”, fermo restando che la cosa si replicherà, come in ogni rappresentazione che si rispetti, e per tutta la durata della vita scolastica… se non oltre, purtroppo! Il rimprovero, lieve o pesante che sia, va dall’ammonimento in condotta, pardon… comportamento, all’annullamento del compito. A volte, però, tutto passa in cavalleria! E il copiare è diventato ed è inteso come una sorta di variabile dipendente del sistema, come quei raffreddori estivi di cui non si può fare a meno e che non danneggiano più di tanto. Ma non può essere qualcosa di più? Marcello Dei ha fatto suo questo interrogativo ed è voluto andare dentro al fenomeno. Si è chiesto se si tratta di un qualcosa che, tutto sommato, lascia il tempo che trova e non vale la pena prendersela più di tanto – come di fatto è da sempre – oppure se occorre andare più a fondo, smontare la macchinetta e vederci dentro, come fosse un segnale di indubbi comportamenti che occorre analizzare e contrastare. È l’occhio del sociologo che sa analizzare certi fenomeni collettivi, come quello dello psicologo, quando analizza disturbi della persona che, piccoli o grandi che siano, meritano pur sempre attenzioni che spesso disvelano stati e tensioni che è necessario rimuovere. Pertanto, una cosa che c’è e di cui nessuno parla è diventata oggetto di una indagine in profondità di tutto rispetto.

Da queste premesse è partita la ricerca di Marcello Dei, anche e soprattutto perché le occasioni offerte dal web – da Wikipedia ai sempre più diffusi social network – offrono ampi spazi per un copio copias sempre più generalizzato, raffinato e intelligente. Altro che furtivi passaggi di brutte copie od occhiate truffaldine sul compito del compagno di banco: l’occasione fa l’alunno più ladro del solito! E ci si mette anche questo difficile periodo in cui le “mani pulite” di alcuni anni fa diventano, giorno dopo giorno, sempre più sudice. Per cui i pericoli di una tolleranza colpevole, se non di vere e proprie giustificazioni o assoluzioni, rischiano di legittimare fenomeni che, invece, vanno decisamente contrastati. Non a caso Ilvo Diamanti nella sua prefazione richiama gli sferzanti giudizi di Beniamino Andreatta, citato da Edmondo Berselli nel suo “Post-italiani” (Mondadori, 2004): “Nessuno ha mai voluto aggredire la vera struttura corruttiva della società italiana, la classe scolastica. Questi ragazzini che vengono addestrati, nei comportamenti quotidiani, a sviluppare una mentalità mafiosa, fatta di complicità contro le istituzioni… una solidarietà omertosa, in cui l’obiettivo comune è dato dall’ingannare l’uomo o la donna che è in cattedra… e dove gli individui, anziché perseguire il loro scopo cioè primeggiare per merito, si coalizzano per lucrare il massimo risultato con il minimo sforzo”. Quindi, la scuola che prepara alla vita: ma a quale vita?

E i risultati a cui giunge Marcello Dei sono sorprendenti. La scuola dovrebbe preparare all’onestà, o per lo meno a comportamenti civili. Ci dovremmo aspettare che un bambino, crescendo e apprendendo in un ambiente scuola fatto su misura per lui, in cui si “istruisce”, ma anche si “educa” e si “forma” (è un impegno che abbiamo assunto con il varo dell’autonomia: si veda il comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/99), impari anche e soprattutto le prime regole della convivenza civile. Per cui, se nei primi anni di scuola è indotto a copiare per tutti i comprensibili motivi che lo possono giustificare (insicurezza, ricerca di aiuto, paura di commettere errori, di incorrere in sanzioni da parte dell’insegnante e dei genitori ecc…), in seguito dovrebbe apprendere e comprendere come e perché il copiare costituisca un fattore negativo sia ai fini di una sua crescita matura e responsabile che per una produttiva convivenza sociale. Ma così non è! Anzi è il contrario! È proprio crescendo in questa scuola, e in questa società, che il nostro studente impara a copiare! Giorno dopo giorno, anno dopo anno! E non se ne vergogna, se non entro certi strettissimi limiti!

Ma andiamo con ordine. L’indagine ha coinvolto oltre 12.000 studenti, 5600 dalla classe quinta primaria alla terza media, 6800 dell’ultimo triennio della scuola secondaria di secondo grado. Ed ecco alcuni dati di estremo interesse. Mentre il 26% dei primi, i più piccoli, afferma di non copiare mai, dei secondi, i più grandi, solo il 9% dichiara di non copiare mai. Copia spesso il 5% dei primi, ma copia spesso ben il 24% dei secondi. Quindi, è crescendo che si impara a copiare: copiatori si diventa! E nella scuola purtroppo! Ma un dato importante è il giudizio morale e civile che viene espresso a proposito del copiare. I più piccoli se ne vergognano un po’. Ma con il crescere la vergogna viene sempre meno. I più piccoli sono i migliori, hanno un maggior senso di colpa, sono meno indifferenti al copiare e, grosso modo, più attenti alle regole del comportamento sociale; potremmo anche dire che sono meno furbi. Ma con il crescere il senso di colpa si allenta, aumenta invece la furbizia; anzi, c’è anche il compiacimento e la gioia del copiare e di farla franca: il 48% degli studenti del triennio non condanna affatto il copio copias, mentre i più piccoli si attestano sul 14%.

È anche interessante registrare che, nella misura in cui aumenta la copiatura, diminuisce il senso di colpa e per certi versi aumenta anche la furbizia per il farla franca con gli insegnanti. Un altro dato è di grande interesse: in genere si è concordi nel considerare, nel mondo adulto di insegnanti e genitori, e a volte negli stessi studenti, che l’abitudine al copiare con il tempo può danneggiare proprio il copiatore, perché presto o tardi dovrà pagare in qualche modo per il non avere appreso, una volta che sia forzatamente solo con se stesso e a fronte di un’attività lavorativa. Ebbene, sono proprio i più piccoli che condividono questa saggia considerazione (ben il 60%), non i più grandi (solo il 27%).

Se con il crescere il senso di colpa tende a diminuire, ovviamente tende ad aumentare anche una sorta di autoassoluzione e non solo, anche di autogratificazione, di compiacimento: che, purtroppo, è anche del mondo adulto. Marcello Dei riporta un’affermazione di Luca Cordero di Montezemolo, quando un giorno davanti agli studenti della Luiss ebbe a dire: ”A scuola ero campione mondiale di copiatura: credo di non avere rivali per tecniche e sofisticatezza… Ciò dimostra che anche chi copia ha speranza, perché anche così qualcosa si impara” (p. 173). Non da meno è Claudio Magris che tesse un vero elogio del copiare: “Copiare (in primo luogo far copiare) è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino… che costituiscono il fondamento dell’etica… Passare il bigliettino al compagno in difficoltà insegna ad essere amici di chi ci sta a fianco e aiutarlo pure al costo di rischi” (p. 174). Ma all’elogio del copiare di Magris risponde puntualmente il filosofo Marco Santambrogio che dopo una circostanziata disamina, così conclude: “Pensare che la solidarietà consista nel lasciar copiare i compagni agli esami è un po’ come confondere lo stato sociale con la difesa dei medici che rubano. Comunque sia, né oggi né mai la menzogna e il furto hanno costituito il fondamento dell’etica” (p. 184).

Gli esiti della ricerca condotta da Dei pubblicati nel libro sono accompagnati e sostenuti da una serie di considerazioni, lettere e inserti vari che rendono il volume di fatto molto vario, avvincente e stimolante. E che tendono a circostanziare e rafforzare il giudizio negativo che l’autore esprime sul copiare in classe. In effetti, occorre anche pensare che a volte è l’occasione che fa l’uomo ladro. E Dei si chiede se non sia forse la stessa organizzazione scolastica che induce al copio copias. Comunque Dei ricorda anche che esiste sempre uno spirito collaborativo – se lo si può chiamare così – sempre molto forte, che non riguarda solo gli studenti, ma che a volte investe e coinvolge i soggetti di tutte le comunità, anche quelle adulte (ci si aiuta e si copia a volte anche negli uffici, o in fabbrica o nelle caserme). Ovviamente esistono anche invidia, mobbing e stalking, che fanno anche parte dell’umano sentire. Da attento sociologo non può non tener conto di altre dinamiche interpersonali che riguardano anche un positivo spirito di gruppo. Esistono, infatti, forme collaborative “oneste” di insegnare e apprendere (Dei ricorda, per esempio, il cooperative learning) che forse non sono e non sono mai state adeguatamente sollecitate, almeno in questi nostri contesti educativi.

Per quanto riguarda il nostro Paese, occorre ricordare che veniamo da una scuola postunitaria fortemente autoritaria, in cui si dovevano insegnare i saperi minimi perché i nuovi “regnicoli” potessero accedere a una società che da contadina si apprestava a diventare industriale, che necessitava anche di nuovi “amanuensi” per un’amministrazione complessa qual è quella di uno Stato nazionale. E che poi siamo giunti a una società, quella odierna, che è tutta diversa, quella dei consumi di massa e della “cultura” della tv e dei cellulari. Dei è molto attento a questi fenomeni e ne conosce l’importanza ai fini delle ricadute che hanno sul singolo individuo. Sono certamente scuole diverse, quella di ieri e quella di oggi, ma in nessuna di queste si è mai data la dovuta attenzione a forme diverse e solidali di apprendimento, per esempio all’apprendimento cooperativo, al lavoro di gruppo. L’alunno, nonostante la ricerca pedagogica solleciti e indichi altre forme di scuola, vive e opera in un ambiente in cui è pur sempre una monade: l’interrogazione e il compito in classe riguardano lui soltanto: se in casa studia con un compagno sono fatti suoi! Se vuole fare un compito insieme a un compagno, non può! E sembra proprio che non gli resti che copiare! Sul registro è segnato lui, solo, e sempre in rigido ordine alfabetico. È pur sempre un numero (la solitudine dei numeri primi?) e, se ha bisogno di aiuto, questo non gli viene concesso se non per la via traversa del copio copias.

In effetti, non è forse il modello stesso di scuola che “sapientemente” abbiamo costruito nel corso dei nostri 150 anni di storia nazionale a creare le condizioni del copiare? Quali altre forme di aiuto, sostegno, cooperazione possono trovare i nostri alunni quando sono sempre chiamati a prestazioni rigidamente individuali? È “naturale” – con tutte le virgolette del caso – che tra pari ci si aiuti ed è anche “doveroso”, ma se le condizioni per un aiuto produttivo naturale, legittimo e produttivo sono negate a priori, cos’altro possono fare i nostri alunni? D’altra parte, non si copia anche da adulti e non solo ai concorsi, ma anche lungo il “progress” della professione? Il fenomeno quindi riguarda la scuola, ma non nasce a scuola: anzi, possiamo anche dire che è proprio nella scuola che si impara a copiare. E poi, quando gli stessi insegnanti – alcuni soltanto, penso – fingono di non vedere copiature in determinate situazioni di esame o di prove di verifica nazionale, o quando essi stessi contribuiscono a “taroccarle”, possiamo allora dire che il fenomeno va oltre la scuola degli alunni.

Comunque, conclude Marcello Dei, “non possiamo non educare, fin dalla scuola, a un’etica vissuta in modo intransigente prima di tutto verso se stessi, in relazione alla propria coscienza. Ripristinare nei fatti e non a parole il principio di lealtà e di responsabilità a partire dall’impegno (minimo ma essenziale) a non copiare può essere un passo apparentemente piccolo, ma di grande valore per ricostruire quel senso del dovere e della responsabilità personale su cui si cementa la solidarietà sociale” (p. 238-239). Comunque, se nelle prospettive di futuri riordini il legislatore ci aiutasse ad avviare una scuola più cooperativa, pur in una società sempre più competitiva, faremmo un passo avanti anche in tema di legalità: di cui abbiamo tutti un gran bisogno! E si imparerebbe a… non copiare! Sarebbe inutile e superfluo!

APPENDICE:

Mi piace ricordare che Marcello Dei ha presentato la sua ricerca al seminario dell’ADI (Associazione Docenti Italiani) che si è svolto a Bologna il 23 e 24 febbraio u. s. Poiché l’appetito vien mangiando e l’occasione fa l’uomo ladro, di fronte a una platea di centinaia d’insegnanti e dirigenti scolastici, il ricercatore non ha resistito alla tentazione. Ha somministrato un questionario di tre sole domande strutturate, a risposta immediata, da compilare prima dell’apertura dei lavori del seminario. Nello stesso pomeriggio, a conclusione della sua relazione, l’autore ha reso noti i risultati del blitz-sondaggio e li ha discussi con i presenti. E’ interessante e dunque inevitabile che qui si dia conto dei risultati, corredati da poche gocce di commento. Attenzione! Si tratta di un semplice sondaggio sui partecipanti al seminario ADI!

Appendice fuori programma (Ha collaborato al Blitz anticipandone lo scoccare la professoressa Rita Chiappini)

La somministrazione del questionario ha avuto successo. Non abbiamo in sostanza registrato casi di rifiuto, di resistenza, né di mancata compilazione. E di ciò ringraziamo sentitamente i partecipanti al seminario. I questionari validi sono 254 tra gli insegnanti e 59 tra i dirigenti scolatici.

Cominciamo l’analisi dei risultati dalla domanda sul giudizio morale sul copiare che, con qualche adattamento, riproduce quella posta agli studenti e agli alunni . La distribuzione delle frequenze rivela (Tab.A) che la condanna senza se e senza ma del copiare in classe è condivisa da meno della metà degli insegnanti (44%). Quattro insegnanti su dieci sono orientati a modulare caso per caso il giudizio sulle copiature. Una minoranza (15%) si spinge fino ad azzerare o a minimizzare il significato del fenomeno. In conclusione, per il 55% degli insegnanti copiare non è soggetto a un divieto assoluto. A volte l’imbroglio è “assolto”, più spesso è concettualizzato nell’ambito dell’accomodante categoria del “vietatino”.

GLI INSEGNANTI

Tab. A. Copiare in classe è moralmente condannabile?

Per il 43% degli insegnanti copiare nuoce all’apprendimento (Tab.B). È questo il problema. È chiara l’assonanza di questa risposta con quella autoreferenziale Copiare nuoce allo studente stesso che hanno dato due alunni su tre (65%). A dominare il campo è la dimensione funzionale, utilitaristica. Che copiare colpisca e leda il bene comune, l’onestà, preoccupa un insegnante su quattro (26%).

Tab.B. Quale delle seguenti affermazioni corrisponde di più al suo pensiero?



Una volta “scoperta” la copiatura (Tab.C), un insegnante su tre (32%) assegna un brutto voto e discute l’accaduto con la classe. Questo dato non trova assolutamente conferma nelle interviste agli insegnanti che quasi unanimemente tendono a considerare il fenomeno nella dimensione individuale e a risolverlo caso per caso, come del resto appare nelle risposte alla domanda A. Oltre che alla prassi, il dato appartiene alla sfera ideale della pedagogia condivisa e ufficiale centrata sul dialogo a tutto campo, ma che ha poco seguito nelle relazioni conflittuali di questo genere.

La tendenza a non scorgere la dimensione etica del copiare compare, in misura diversa, nelle risposte Rimprovero e considero chiuso l’episodio (16%), “faccio rifare la prova nessuna punizione” (31%), Fingo di non accorgermene (2%). In parallelo si profila la

Tab.C. Se scopre che un alunno ha copiato il compito in classe, che cosa fa?

I DIRIGENTI SCOLASTICI (I dirigenti (N=59) si ripartiscono così tra i gradi dell’istruzione: Primaria 5% Secondaria di I grado 15% Secondaria di II grado 46% Non accertato 34%)

I conflitti riguardanti episodi di copiatura giungono sul tavolo della maggior parte dei dirigenti scolastici, per lo più in sede di consiglio di classe (50%). Tuttavia non è infrequente che i dirigenti evitino di rispondere alla domanda per ragioni di cui non siamo in grado di dar conto (Tab.D). Un dirigente su tre non ha mai avuto a che fare con problemi di tal genere.

Tab.D In veste di dirigente, Le è capitato di trattare problemi di copiatura in classe?

Sul piano dei principi, due dirigenti su tre sono del parere che copiare in classe è un problema di portata generale e non dei singoli insegnanti (Tab.E).

Tab.E. Secondo Lei, copiare in classe è un problema che riguarda i singoli insegnanti oppure è una questione di portata generale?

Anche tra i dirigenti il cruccio maggiore delle copiature è che nuocciono all’apprendimento (40%). Per il 19% Copiare in fin dei conti, non danneggia nessuno, una percentuale doppia rispetto a quella degli insegnanti.

Tab.F. Quale delle seguenti affermazioni corrisponde più al suo pensiero?

L’assenso all’item centrato sulla violazione del bene comune è al 28%. La prova del fuoco per l’etica del divieto di imbrogliare a scuola è l’atteggiamento dei dirigenti verso l’inserimento del principio – nero su bianco – nel regolamento d’istituto (Tab.G).

Tab.G. Secondo Lei, il divieto di copiare a scuola dovrebbe essere inserito espressamente nel regolamento d’istituto?

Un dirigente su tre (34%) sostiene l’inclusione del divieto nel regolamento d’istituto. Una solida maggioranza è contraria. Nel corso del dibattito seguito alla presentazione dei risultati, un insegnante (o forse un dirigente) ha osservato che inserire nel regolamento d’istituto il divieto di copiare non avrebbe senso perché la regola è implicita, scontata, ovvia. “Sarebbe lo stesso che inserirvi il divieto di sputare per terra”. Dubitiamo che i due comportamenti abbiano luogo con la stessa frequenza statistica. Se così fosse, eviteremmo di calpestare quel pavimento.

Maurizio Tiriticco

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