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La passione d’apprendere e insegnare secondo Hillman

Pubblicato il: 14/11/2011 16:26:00 -


Apprendere e insegnare sono due impulsi naturali in relazione fra loro; una diade inscindibile che avviene a prescindere dai tempi, dai luoghi, dalle forme. L’eredità di Hillman a poche settimane dalla sua scomparsa.
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“Socrate, sei come una torpedine marina. Quando parli dai la scossa”. Così, citando il Menone di Platone, Silvia Ronchey inizia il suo articolo di commiato a James Hillman, il noto psicologo e filosofo americano, il giorno della sua morte, il 28 ottobre scorso.

E davvero, non solo per quanti lo hanno conosciuto, ma anche per quanti lo leggono, Hillman è stato un grande maestro, un nuovo Socrate, maestro e fautore del dialogo, non solo intrapsichico, ma anche fra essere umani, e fra uomini e il mondo circostante. “Si metteva sempre in contrasto con l’opinione corrente. Quando parlava o scriveva, rovesciando luoghi comuni e abitudini mentali, ci istigava a praticare una conoscenza che andasse anche al di là e al di qua del pensiero razionale” – ricorda la Ronchey.

Sì. Hillman non sarà ricordato solo per essere stato un terapeuta, e il fondatore della psicologia archetipica. Dai più sarà forse ricordato come filosofo, infaticabile oratore e scrittore, che ha speso la sua vita per curare la psiche collettiva. “La mia pratica mi dice che non possiamo più distinguere fra nevrosi personale e nevrosi del mondo, fra psicopatologia della persona e psicopatologia del mondo. Non solo. Mi dice che collocare la nevrosi e la psicopatologia solamente nella sfera personale è una deludente repressione di ciò che, nella realtà, viene sperimentato”. E ancora “la psicanalisi deve uscire fuori dalla stanza del terapeuta e analizzare tutte le cose, dovete vedere che gli edifici sono anoressici, che il linguaggio è schizogenico, che la “normalità” è maniacale e che la medicina e il business sono paranoidi”.

La sua convinzione era che la sofferenza individuale e quella del mondo derivassero dalla perdita di Anima. Il culto estremizzato della ragione, dell’Io e della performance, la letteralizzazione a scapito dell’immaginazione, hanno sottoposto l’intera civiltà occidentale a una “normalizzazione” con effetti devastanti non solo sui singoli, ma anche sulle architetture e sulle istituzioni. È come se vivessimo in un “monoteismo”, non solo religioso, ma anche etico, che – quando non porta al rifiuto – ci impedisce quantomeno di guardare all’altro, al diverso, all’inconsueto, a ciò che, appunto, è fuori dalla “norma”. Ma la parola “normale” – ammoniva – deriva dal greco norma, cioè la squadra utilizzata dai muratori e dai carpentieri per stabilire linee dritte. Ma cosa c’è nella vita di un uomo e del mondo di “dritto”, di lineare?

Per questo invitava tutti gli educatori (e sottolineo tutti, non solo i genitori e i docenti) a percepire, accogliere e valorizzare la straordinaria unicità insita in ciascun essere umano.

Non solo. Era particolarmente allarmato dalla “normalizzazione” dell’educazione. In una celebre lettera agli insegnanti italiani preparatoria al convegno del 2003 della Fondazione Liberal, volle distinguere nettamente fra insegnamento/apprendimento ed educazione.

Per Hillman apprendere e insegnare sono due impulsi naturali in relazione fra loro; una diade inscindibile che avviene a prescindere dai tempi, dai luoghi, dalle forme. “Comunque diamo forma a questa relazione, l’insegnante e l’allievo, la guida e l’apprendista, l’esperienza e l’innocenza, il sapere e l’ignoranza, il pieno e il vuoto sono costituenti costanti della vita interiore dell’anima”. Invece l’educazione, con le sue forme (luoghi e tempi prestabiliti, suddivisione disciplinare, programmi, classi, obiettivi, prove, valutazioni, adempimenti amministrativi…), si frappone a questa relazione naturale.

Per esempio, sappiamo ormai – e gli organismi internazionali ce lo ripetono – che, per sostenere l’innovazione, bisogna incentivare la creatività. E cos’è mai la creatività se non dar forma a quelle intuizioni improvvise, anche intellettuali, venute chissà da dove (dall’inconscio?). Eppure nel dibattito scientifico si cercano modi standard per incentivare la creatività, interrogandosi addirittura su come poterla misurare statisticamente. Non ci troviamo forse di fronte a un ennesimo tentativo di “normalizzazione”?

Ed ecco che il misterioso lavoro emotivo di insegnare e imparare viene cooptato nelle sue forme esteriori; la diade diventa sovversiva, diventa “contro-educazione” – come la chiamava Marsilio Ficino – in quanto capace di interiorizzare e individualizzare le uniformità dell’educazione. Ma – rifletteva Hillman – “individualizzare l’educazione, cioè collocare l’imparare all’interno dell’anima di qualcuno, esige l’eros, non perché l’individualizzare favorisce uno studente a scapito di un altro, il cosiddetto ‘prediletto dell’insegnante’, ma perché l’eros incendia il particolare stile di desiderio di ogni persona”.

Non saremo certamente come gli insegnanti americani la cui pruderie li faceva sobbalzare davanti alla parola “eros”. Qui si parla dell’occhio particolare dell’insegnante capace di vedere i doni nascosti dei propri allievi. Ne “Il codice dell’Anima”, Hillman ne fornisce vari esempi, ma tutti i docenti, con la loro esperienza, possono confermarlo; gli stessi docenti che vedono i loro allievi annoiati, che sono costretti a inventare continuamente strategie motivazionali, vedendoli sprofondare nell’apatia e nel cinismo intellettuale. Apatia e cinismo intellettuale: sonno del desiderio (eros) di apprendere.

Eros – dice Socrate nel Simposio – è figlio di Poros e Penia, è figlio dell’espediente intellettuale e della povertà. Per questo è a metà tra sapienza e ignoranza. Spinto dal senso di mancanza, Eros desidera ciò che è bello e la sapienza è tra le cose più belle.

Forse – si domanda Kathleen Hull – l’apatia degli studenti dipende da una specie di “perdita di speranza”, mancando loro la tensione verso un bene comune; e dunque il vero problema non è tanto come potenziare gli strumenti intellettivi, quanto piuttosto come risvegliare le loro passioni più profonde.

E, tornando a Hillman, questo può solo avvenire insegnando l’apertura e la ricettività verso le idee e le passioni proprie e degli altri. E questo vale non solo per gli insegnanti e gli studenti, ma anche per tutti gli esseri umani.

Rosaria Petrella

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