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Nati per leggere, nati per pensare

Pubblicato il: 05/03/2014 14:18:11 -


Insegnare a leggere e ad amare la lettura, attraverso un progetto comune tra bambini e studenti liceali, è un’esperienza che mette in moto sinergie affettive e mondi creativi per l’Education del terzo millennio. L’occasione data dall’iniziativa “Nati per leggere – Nati per pensare”.
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Ogni talento va esercitato e coltivato: da bambini, da adolescenti e da adulti.
L’esperienza del progetto comune “Nati per leggere – Nati per pensare” che ha coinvolto i bambini e gli studenti liceali continuerà anche quest’anno con altri colleghi del nostro Istituto del quarto e del quinto anno del liceo umanistico. Ma, si svilupperà in modo differente – e non solo perché cambia qualcosa nell’etichetta dell’indirizzo degli studi – soprattutto perché non è rimasto più nessuno del nostro team docente che, qualche anno fa, aveva iniziato quest’attività.
Spesso la dispersione dei suoi attori fa sì che alcune esperienze positive non trovino continuità scolastica; raccontarle, esaminarne i risultati, riprogettarle e poi trasferirle in altro contesto è comunque possibile e auspicabile.

Qualche anno fa, come istituto scolastico, avevamo aderito al progetto “Nati per leggere”, finalizzato a promuovere la pratica della lettura nella scuola dell’infanzia. Ne avevamo approfittato per legarlo ad attività di stage sociale e di tirocinio didattico per i nostri studenti del triennio del liceo delle scienze sociali e del liceo pedagogico, estendendolo poi anche ai bambini della scuola primaria, per incoraggiarne la familiarizzazione con le biblioteche e con i libri. Il nostro istituto è nella posizione logistica ideale: separato dalla vicina scuola primaria solo da un muretto di cinta e a soli 300 metri dalla biblioteca municipale.

Io, quell’anno, avevo una cattedra molto mista tra le varie tipologie degli indirizzi scolastici presenti nel mio istituto e insegnavo solamente alcune ore di filosofia nel triennio finale del liceo delle scienze sociali. Luisella invece occupava l’intera cattedra, dato il consistente pacchetto-orario delle scienze sociali. A noi si era aggiunta, per un contributo in ambito multidimensionale, la collega dei linguaggi non verbali e multimediali.
Gli allievi del liceo sociale svolgevano diverse attività di tirocinio leggendo per alcune ore storie e fiabe ai bambini e accompagnando la lettura con storyboard, tabelloni colorati, illustrazioni a fumetti e video.
Un’esperienza complessivamente molto costruttiva e fertile di risultati sia per i bambini sia per gli studenti liceali: hanno imparato tutti, piccoli e adolescenti, a leggere meglio e a farlo ad alta voce, con ricadute sulle capacità espressive e comunicative. In più gli studenti hanno appreso una cosa fondamentale: a godere della capacità d’insegnare imparando.

Sì, i percorsi didattici di lettura funzionano. Coinvolgono. Aiutano a vivere meglio l’esperienza scolastica e quella extrascolastica. Soprattutto fanno crescere.
E la risposta da parte degli studenti è sempre soddisfacente.
Perché? Perché leggere vuol dire sia aumentare la propria capacità di comprensione a vari livelli, sia ricreare in modo originale usando il proprio pensiero.
E questo meccanismo apre nuovi orizzonti di senso e aiuta la formazione delle capacità logiche.
Leggere in pubblico stabilisce e amplia le relazioni potenziali tra le persone, avvicina al sentire comune e alle emozioni vissute insieme e implica la possibilità di aprire dialoghi su esperienze collettive.

Il mio ruolo di docente di filosofia, in quel progetto come in altri, si basava sull’individuazione delle prime domande di senso sulle quali guidare i bambini a interrogarsi, tracce di problemi sottesi ai racconti selezionati per la lettura e da aprire durante il dialogo con gli studenti liceali e da lasciare, dopo le attività di tirocinio, al lavoro degli insegnanti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria, per assolvere la continuità del progetto.
La risposta didattica agli interrogativi sull’introduzione della filosofia ai bambini sembra complessa perché si sperimenta poco, ma in realtà è molto più semplice di quanto si ritenga comunemente.

Non è una leggenda metropolitana. Ogni talento va esercitato e coltivato: da bambini, da adolescenti e da adulti.
Se si vive la scuola nel modo giusto, gli allievi continuano a camminare da soli.
Ma tant’è, si fa quel che si può.
Non sempre chi va a scuola impara ad amare la lettura né impara ad amare la filosofia.
È possibile insegnare ad amarle entrambe. Quando si parla di passione, da più parti si levano voci critiche e a volte si può riscontrare addirittura un certo snobismo, da parte dei cosiddetti esperti e cultori della materia.

La motivazione emotiva è la molla della vita e la scuola è un mondo vitale. Imparare è passione.
Insegnare è passione. Purché non ci si fermi alla passione solitaria, alle mozioni autoreferenziali degli affetti e si vada oltre.
Va ricercata la comunicazione, il confronto, la sinergia e la collaborazione. Si devono mettere in relazione i punti di vista, ci si deve poter apprezzare reciprocamente, criticarsi e correggersi.
Chi pensa d’imparare o d’insegnare senza sforzo pecca di presunzione.
La scuola è impegno e costanza. Anche disciplina. Ma non solo. Chi pensa che s’impari solo divertendosi sbaglia. Come sbaglia chi ritiene che non ci si debba divertire mai.

Insegnare a leggere e ad amare la lettura, insegnare a raccontare e a far domande di senso vuol dire far partire i giovani verso il viaggio del pensiero, saper scoprire nuovi orizzonti, saper ricercare quanto di nuovo ci sia nelle tradizioni scolastiche, reinventando mondi creativi per l’Education del terzo millennio.

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Immagine in testata di fullcost / Flickr (licenza free to share)

Daniela Silvestri

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