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La Memoria e la Pace

Pubblicato il: 05/02/2013 00:30:23 - e


“Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola” – così recita il Talmud babilonese (Shabbat 119b). Il lavoro sulla memoria che noi svolgiamo nella nostra scuola parte da qui, dalla consapevolezza che l’annientamento di milioni di bimbi innocenti ha portato l’umanità intera a sopportare il peso devastante di un evento così terrificante come è stato la Shoah.
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Il 27 gennaio 2013 è la giornata dedicata dall’ONU al ricordo della Shoah, che con gli art. 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000 è stata recepita dall’Italia come il Giorno della Memoria: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

Quest’anno ricorre anche il 50° anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII, avvenuta il 4 giugno 1963. L’11 aprile dello stesso anno Papa Giovanni pubblicò l’importante enciclica “Pacem in Terris” nella quale scrisse “Vero è che sul terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall’orrore che suscita nell’animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana…” e si augurava che, dopo tanto dolore, “…tra i rispettivi popoli regnasse non il timore (delle armi), ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni”. Così ricordava che “il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona” (Mater et Magistra), come recita anche la nostra meravigliosa Costituzione (art.3, co.2).

Ora, riteniamo che questa coincidenza sia a dir poco foriera di riflessioni tanto importanti quanto illuminanti: stabilisce una “correlazione essenziale”. La Memoria rappresenta una successione di eventi che mostrano l’aspetto più lugubre della natura umana e, siamo felici di ascoltare la Merkel quando afferma: “la Germania ha responsabilità perenne”. Sì, non si deve dimenticare! Non si deve dimenticare, per il dolore che ha rappresentato e che rappresenta. Eppure, la Memoria non è la cristallizzazione di un evento storico. La Memoria non è “fine a se stessa”, non si racconta per rinnovare le sofferenze: perché queste ultime non sono trasferibili a chi non le ha vissute. Esse, però, possono essere il motore dell’amore. Come? Attraverso il perdono. Il perdono azzera ogni cosa e consente di ricominciare a seminare. Il perdono, nel ricordo di quanto è accaduto, deve spingere ognuno di noi a costruire nell’antitesi della distruzione (della guerra, dello sterminio, del nulla), deve essere motore di rinnovamento, deve essere la forza che alimenta quel percorso di Pace nel quale esprimere la nostra ‘vision’. Papa Giovanni reagì alla distruzione, con il coraggio della sapienza (e il supporto illuminato di Paolo VI), avviando quella inaspettata e stravolgente impresa che fu il Concilio Vaticano II, il cui scopo fu quello di aprire la Chiesa a un ecumenismo fino ad allora mai vissuto. La “globalizzazione” della Chiesa apriva il dialogo alle “altre culture” e di quest’aspetto se ne fece portatore eccellente il grande Papa Giovanni Paolo II, che tutti abbiamo amato, credenti e non credenti. La Pace contro il Potere (delle armi o della politica). La Pace come deterrente di ogni processo distruttivo. Costruire la Pace per educare tutti a costruire l’amore e nell’amore.

Nel mondo della società civile, abbiamo assistito a un vorticoso crescere del benessere accompagnato da un continuo e spasmodico abuso della pace in virtù di un potere politico ed economico senza limiti. Perché quando si spinge alla povertà una parte cospicua della popolazione, quando si produce una disoccupazione giovanile oltre i livelli di guardia (sempre che ce ne siano), quando si chiudono aziende per “ragioni di lucro” lasciando cinquantenni senza lavoro, quando si ipoteca il lavoro giovanile per pagare le pensioni degli attuali lavoratori…, quando si arriva a tutto questo, beh… non si lavora e non si costruisce la Pace, ma solamente una condizione sociale travolta da conflitti, tensioni e “timore” (paura del presente e del futuro). Dove finiscono quelle condizioni per lo sviluppo della persona?

Ebbene, come non sentire vergogna nell’assistere a tanto scempio della pace, consapevoli del privilegio di vivere in quest’epoca senza “deportazione, prigionia e morte”?

Oggi più che mai è centrale il ricordo della Shoah, celebrare il Giorno della Memoria. La nostra scuola ha sempre ritenuto “educativo” avviare molte attività sulla Memoria creando sinergie con Enti locali, associazioni storico culturali del territorio, analisi critiche di eventi storici, viaggi nei luoghi del dolore e momenti di riflessione corale sul significato del dolore che ci ha travolto per l’importanza che la “storia del dolore” rappresenta nel costruire le “vie della Pace”.

“Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola” – così recita il Talmud babilonese (Shabbat 119b). Il lavoro sulla memoria che noi svolgiamo nella nostra scuola parte da qui, dalla consapevolezza che l’annientamento di milioni di bimbi innocenti ha portato l’umanità intera a sopportare il peso devastante di un evento così terrificante come è stato la Shoah. Avvertiamo la necessità di diffondere tra le nuove generazioni come la mancanza di conoscenza del passato possa portare a ripetere l’orrore (prova ne siano i genocidi che lo hanno seguito o preceduto) e quanto profonde e lontane nel tempo siano le radici del pregiudizio razziale che è stato la premessa della Shoah e il peggior nemico della Pace.

Nel corso degli anni abbiamo avuto l’onore di ospitare nella nostra scuola alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio, che hanno raccontato ai ragazzi la loro dolorosa testimonianza di una memoria che li ha visti protagonisti giovanissimi di una pagina di storia tra le più atroci e drammatiche: Shlomo Venezia, che ci ha lasciato alcuni mesi fa, con i suoi racconti scarni e all’apparenza distaccati, ma che nascondevano la profonda disperazione di esserne uscito vivo; Alberto Sed, che è scampato alle Fosse Ardeatine per poi finire ad Auschwitz insieme alla mamma e alle sorelline e che racconta con grande difficoltà che lui ad Auschwitz non c’è mai voluto tornare, perché lì sono rimaste la mamma e una sorella e, infine, Sami Modiano. Sami non è l’unico testimone che visita le scuole, ma sicuramente è l’unico che sente la necessità di sentirsi vicino ai ragazzi, anche fisicamente. Forse, perché lui è uno dei pochissimi sopravvissuti che non ha avuto figli e che quindi non ha potuto riversare su di loro tutto l’amore e tutto il bisogno d’amore di ognuno di noi, sarà che i suoi occhi parlano più di quanto possa parlare lui stesso, sarà che il suo racconto tocca vertici di drammaticità notevoli, fatto sta che la commozione lo travolge e travolge tutti. Circa un centinaio di ragazzi assiepati nell’aula magna in religioso silenzio per due ore, docenti con il viso gonfio di emozione, al termine del suo intervento, ricevendo ringraziamenti, Sami ha risposto: “grazie a voi, che dedicate ogni giorno della vostra vita alla crescita di questi straordinari ragazzi, grazie a voi, grazie a voi…!”. Ebreo italiano residente a Rodi, nella follia omicida della Shoah ha perso non solo la famiglia d’origine, ma anche tutti i parenti, tutti gli amici e, a liberazione avvenuta, si è ritrovato a 15 anni completamente solo. La vita è stata dura con lui, durante e dopo la guerra, sì anche dopo, perché dopo l’esperienza sconvolgente di Birkenau ha dovuto confrontarsi con un mondo che non sapeva, o fingeva di non sapere quello che aveva passato, e che a lui, invece, come ad altri, non ha fatto sconti. La vita gli ha regalato una compagna buona, dolce, un aiuto convenevole che, giovanissima, ha deciso di condividere con quest’uomo dal passato difficile un tratto consistente della sua vita. Selma è sempre accanto a lui, quando lo accompagna nelle scuole e quando teneramente gli stringe il braccio mentre piange, quando racconta del suo arrivo a Birkenau, davanti al vagone simbolo situato sulla Judenrampe o quando si preoccupa che lui sia ben coperto dal freddo o abbia mangiato a sufficienza. L’estate la trascorrono a Rodi, dove Sami ha fortemente voluto riaprire la sinagoga, ormai in disuso visto che non c’erano più ebrei, soprattutto per dare voce a un intera comunità scomparsa, ben 2500 persone, spazzate via quasi tutte dalla Shoah. Il resto dell’anno lo troviamo ad Ostia (Roma). Per tutta la vita, Sami si è chiesto il senso della vita, che lo ha risparmiato condannandolo a una continua domanda fino a poco tempo fa senza risposta: perché io e non altri? La risposta l’ha trovata negli occhi di quei ragazzi che, ascoltandolo, hanno provato il suo stesso dolore e ha capito che poteva trasmettere loro una parte di storia che mai avrebbero dimenticato e che a loro volta avrebbero trasmesso ad altri come un benefico batterio, affinché quegli orrori provati attraverso la voce spezzata di Sami non si debbano più ripetere su nessun essere umano, in nessuna parte del mondo.

Quest’anno abbiamo celebrato il Giorno della Memoria con il programma allegato, organizzeremo per l’11 aprile 2013 un grande Convegno su Papa Giovanni XXIII, sulla Sua ultima Enciclica “Pacem in Terris” e sul Valore della Pace, come quel bene di tutti e per tutti gli uomini, capace di prevenire ogni mostruosa conseguenza delle loro paure, dei loro timori, delle loro infinite debolezze. E, per questo, ci si dovrebbe continuamente chiedere quale sia il mezzo più appropriato per “costruire la pace”, costruirla quotidianamente, affinché attraverso la prassi divenga un valore acquisito. Ebbene, non c’è scampo! L’unico mezzo in grado di costruire questo valore è l’Educazione, cioè quel sistema di azioni che la scuola “operativa” sa mettere in piedi, con tutte le sue sinergie, per mostrare che nell’atto del costruire non c’è ingiustizia, violenza, discriminazione, ma la possibilità inesauribile di condivisione, comprensione, risultato. Non c’è tempo per il disaccordo del conflitto, non c’è spazio per la lotta dell’ambizione, per il potere, quando si è impegnati a costruire, se costruire significa elaborare dialetticamente un percorso di pace.

***

Immagine in testata, la parete del museo dello Yad Vashem a Gerusalemme dedicata alle vittime della Shoah.

Claudia Condemi e Arturo Marcello Allega

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