Il male che si deve raccontare
Un libro, quello scritto da Simonetta Agnello Hornby con Marina Calloni, che nasce come atto di denuncia su un argomento di grande attualità: la violenza domestica. Suggerendo anche come affrontare il tema, vicino a tutti noi più di quanto si pensi.
Subito dopo l’ultimo romanzo, “Il veleno dell’oleandro”, Feltrinelli ha pubblicato un altro libro di Simonetta Agnello Hornby: “Il male che si deve raccontare”. Non si tratta di un romanzo questa volta, ma di un lavoro basato sulla lunga esperienza della Hornby come avvocato per la famiglia, a Londra.
Scritto in collaborazione con Marina Calloni, Professoressa di Filosofia politica e sociale presso l’Università di Milano-Bicocca, “Il male che si deve raccontare” affronta il tema della violenza domestica, dei suoi diversi aspetti e dei diversi attori in essa coinvolti nel segreto delle mura domestiche.
La prima parte raccoglie storie di violenza ricavate dai ricordi, professionali e non dell’autrice. Dall’infanzia siciliana riaffiora la storia di Filomena, contadina di Siculiana, mentre Liza, ricca signora inglese, ci porta a Lusaka. Sia Filomena che Liza subiscono la violenza dei rispettivi mariti.
Mrs P. invece, come Fenella e Imogen, fa parte della clientela multietnica e multiculturale dello studio Hornby & Levy, fondato dalla scrittrice insieme a Marcia Levy a Londra, studio specialmente attento al diritto di famiglia e in particolare al diritto dei minori. In base all’esperienza acquisita nel settore, nello studio venne creata una divisione dedicata esclusivamente ai casi di violenza domestica per potere agire con prontezza e offrire una rete di supporto medico, sociale, psicologico e giuridico alla vittima e ai figli eventualmente coinvolti. Ci si rese conto infatti che la rapidità dell’intervento era cruciale e lo studio ottenne, per esempio, di poter fissare una udienza in tribunale per i provvedimenti del caso, lo stesso giorno della denuncia.
L’esperienza professionale e umana acquisita in anni di attività nel settore ci fa intravedere le diverse e numerose sfaccettature che la violenza può assumere.
E, prima di tutto, in un bel capitolo intitolato “Credevo” l’autrice demolisce gli stereotipi e i convincimenti erronei che in molti abbiamo sulla violenza domestica e ne dimostra il carattere globale e transculturale: essa oltrepassa i limiti di genere, età, livello di istruzione, cultura, classe, origine etnica, religione, condizione socio-economica e orientamento sessuale.
Questo tipo di violenza può inoltre assumere forme diverse: si esprime mediante abusi fisici, sessuali, psicologici, emotivi ed economici, oltre che attraverso minacce e atteggiamenti persecutori quali lo stalking, fino a giungere all’omicidio. La vittima viene isolata dalla propria famiglia, ed è leale con l’aggressore per paura: se osa ribellarsi la violenza aumenta.
Marina Calloni completa poi l’immagine fornendo un’ampia visione della violenza domestica attraverso statistiche e casi giudiziari. Fa anche il punto sulla crescente consapevolezza sociale in materia citando legislazioni nazionali, convenzioni internazionali, mobilitazioni pubbliche, indicando le lacune esistenti in termini di prevenzione, protezione, cura e reintegrazione delle vittime, ma anche di riabilitazione dei perpetratori.
La difficoltà della vittima di ammettere la violenza con se stessa e con gli altri e di tentare di liberarsene, e il conseguente bisogno di un sistema di sostegno efficace sono il punto cruciale del libro, che oltre a raccontare il male insito nella violenza domestica suggerisce anche un modo per affrontarla.
Si tratta del metodo ideato e realizzato con successo in Inghilterra da Patricia Scotland, un avvocato membro della Camera dei Lord, diventata guardasigilli nel governo di Gordon Brown, fondatrice della Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence (EDV).
“Il male che si deve raccontare” nasce dunque come atto di denuncia e con uno specifico obiettivo: creare una EDV italiana per divulgare e applicare il metodo Scotland anche nel nostro paese.
Questo sistema è articolato intorno a cinque punti fondamentali e per la prima volta chiama in causa – oltre al sistema giudiziario, ai servizi sociali e sanitari e alle scuole – i datori di lavoro. Da quando è stato introdotto, ha notevolmente ridotto il numero delle vittime di violenza domestica in Inghilterra e Galles.
Il punto di forza del sistema Scotland, illustrato nel libro, risiede nell’IDVA (Independent Domestic violence Advisor: consulenti specializzati in violenza domestica) e nella possibilità di disporre di servizi multidisciplinari a sostegno delle vittime in modo tempestivo e continuato.
La tempestività degli interventi sociali e giudiziari viene sottolineata nelle diverse parti del libro come condizione necessaria di successo.
EDV Italy (inaugurata il 31 maggio 2013 presso l’Università di Milano-Bicocca) è già una realtà.
I proventi derivanti dalla vendita de “Il male che si deve raccontare” contribuiranno alla creazione di EDV Italy, e serviranno a sostenere tutte quelle attività che, attraverso la EDV Global Foundation, avranno come obiettivo l’eliminazione della violenza domestica.
I lettori di Simonetta Agnello Hornby riconosceranno in questo libro temi che affiorano spesso nella sua narrativa, che qui vengono evocati con forza e sistematicità, per offrire uno strumento a chi contro questa violenza lotta. È un libro appassionato e appassionante, oltre che una miniera di informazioni su un argomento di grande attualità, da raccomandare a educatori e insegnanti come strumento di formazione e di discussione su temi che ci riguardano tutti più da vicino di quanto pensiamo.
Per aprrofondire:
– Il sito di Simonetta A. Hornby, in cui leggere una presentazione del libro.
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Angela Vegliante