Home » Racconti ed esperienze » L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità (II Stagione). I bacilli dell’imperativo categorico

L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità (II Stagione). I bacilli dell’imperativo categorico

Pubblicato il: 18/12/2014 10:18:54 -


Una parete alta che interrompeva la strada senza uscita mi aveva fermata. Era tutto finito. Guardavo il muro scrostato con i mattoni rossi affioranti qua e là e cercavo di respirare calma, provavo a saggiare amichevolmente quel muro, e con criteri di analitica sperimentazione a registrare lo stato di quel muro, le sue qualità figurali.
Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Avevamo discusso sulla soggettività delle informazioni percepite, me lo ricordo bene, quel giorno. Avevo detto a Ramon: “Io voglio cercare la verità proprio nelle informazioni che registra il mio corpo”, e poi puntando franca i miei occhi nei suoi: “che male c’è?”. E mi ero allontanata di corsa da lui, dal suo pensiero dispotico.

Una parete alta che interrompeva la strada senza uscita mi aveva fermata. Era tutto finito. Guardavo il muro scrostato con i mattoni rossi affioranti qua e là e cercavo di respirare calma, provavo a saggiare amichevolmente quel muro, e con criteri di analitica sperimentazione a registrare lo stato di quel muro, le sue qualità figurali. È un esercizio, un espediente: concentrare il focus dell’attenzione su un oggetto distoglie da percorsi mentali distorti e negativi. Impedisce pensieri disfunzionali del tipo: ciò che deve essere cambiato, in che modo le cose dovrebbero essere diverse…

Ma a volte l’espediente non riesce, a volte ti deconcentri, poiché in mezzo alla ricchezza degli impasti, allo spessore, al colore, balzano fuori anche gli echi che quel muro aveva forse raccolto nel tempo, e che poteva ancora conservare. Come una palla lanciata da un bambino che gioca solitario, ti rimbalzano indietro suoni, stralci di sussurri di una famiglia che sottovoce parla di sentimenti stremati e malinconici. O grida, giù dabbasso di un venditore di frutta accanto al suo banco di legno. Melodie ormai arcaiche che forse una volta abitavano tra quelle pareti.

Vedi che ogni tanto inserisco anch’io nella mia scienza, dunque, emozioni visionarie, confuse. “Ma non si può sempre giocare così senza frontiere”, avevo detto poco prima a Ramon, “perdi lo stato vigile così, la dimensione pratica”. Ti abbandoni, avevo continuato tra me, e rischi di ritrovarti come in uno di quegli inferni di Bosch, di figurette malvagie, di dannati e di diavoli. In questi giorni poi, con tutti questi corrotti. E l’antipolitica autorevolmente bollata come “eversiva”. E tanti malaffari, trasversali e diretti…

E tutto questo lo vedo proprio io impastato in un muro? Come nell’animismo dei bambini, dei primitivi. O dei folli.

Certo anch’io sono libera e creativa nella mia ricerca, ma lui, Ramon, sembra sempre che, come Heidegger, non ragioni sulle cose, ma che le cose gli si rivelino.

Appoggiata a quel muro, mi sforzavo di guardare bene in faccia quei miei pensieri disfunzionali che poi cercavo di allontanare, lasciarli andare, prenderne le distanze. Diligente corsista della “Mindfulness Based Cognitive Therapy”, mi concentravo misurando la materia di quel muro, lo spessore, la resistenza. Ma mio malgrado mi affiorava anche alla mente che quel muro si potesse curvare, e che potesse crollarmi addosso insieme al mondo. In quella mia libera analisi delle qualità figurali di un muro, continuavo a saggiarlo, e quasi ne registravo anche, con una mia personalissima diagnosi, un sentimento: non potrà mai crollare addosso a me, questa parete, non può crollare il mondo. Anche se Ramon partirà senza nemmeno salutarmi, anche se adesso ci siamo lasciati e se lui è già sull’aereo e non so più nemmeno dove sia geolocalizzato. E certo non mi aiuta neanche la goccia rovesciata di Google Map.

Ma la mia scienza è un mondo dove la vitalità non si piega.

Ci aveva sempre uniti uno strano rapporto. “Lui e la sua filosofia…” tante volte avevo pensato: “con la testa formata in quegli studi, forse è innamorato più dell’idea di me, che di me veramente”.

Questo pensiero adesso mi ricorda un personaggio del romanzo di Singer “La famiglia Karnowski”, quando il dottor Landau mentre mostrava al microscopio alcuni microbi a Georg, il protagonista filosofo, gli dice: “Ecco, questi bastoncelli sono i bacilli della Tubercolosi”. E poi: “Ebbene, signor filosofo, questi almeno si vedono, mentre l’imperativo categorico no”.

Le puntate precedenti:
– L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità [I Stagione], di Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione, di Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione “Di nuovo a casa”, di Maurizio Matteuzzi
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione. Ma possibile? , di Maurizio Matteuzzi

Giulia Jaculli

18 recommended

Rispondi

0 notes
462 views
bookmark icon

Rispondi