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Nel cuore di chi resta

Pubblicato il: 07/04/2015 21:25:31 -


Recensione al libro "Nel cuore di chi resta" di Anna Maria De Luca, che narra della perdita durante gli anni di scuola.
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Un libro destinato ai ragazzi, costruito sul valore dell’esempio di vita, perché come scrive Luigi Berlinguer, nell’introduzione: “il termine ‘educazione’ comprende anche, in una accezione più larga, l’idea che formare una persona significa anche fornirle regole di comportamento, cioè del modo in cui ci si comporta verso gli altri e del modo in cui ci si comporta davanti alla vita”. In apertura, la vicenda di Vito Scafidi, ucciso dal crollo del controsoffitto nella scuola Darwin di Rivoli. Un episodio emblematico del malaffare e della corruzione che infangano la realtà italiana. Emblematica anche la forza della mamma, Cinzia Caggiano, impegnata da anni in una lotta ostinata contro le carenze della nostra scuola.

Ventisei storie raccolte da Anna Maria De Luca, dirigente scolastico e giornalista, che da anni collabora come volontaria con Libera e con altre associazioni che si occupano di diritti umani. L’anima giornalistica del libro è invece sintetizzata nella seconda introduzione, a firma di un grande giornalista di fatti di mafia, Nino Amadore del Sole 24 ore di Palermo, che è stato già più volte sotto scorta per il coraggio con il quale porta avanti il proprio lavoro. Non è semplice raccontare cosa resta nel cuore di chi si trova all’improvviso addosso una tale violenza. Come si reagisce a tutto questo? Come si reagisce di fronte ad un figlio minorenne che non torna più a casa perché colpito per sbaglio in una sparatoria davanti ad una pizzeria? O di fronte ad un padre che muore, come nel caso di Ruffo, per aiutare una tabaccaia che stanno rapinando?

Scrive Berlinguer nell’introduzione: “Il libro dimostra come ci siano anche altre strade per educare e una fra queste, tra le più efficaci e nobili, è l’esempio. E’il modo in cui un cittadino in genere, ed in particolare un giovane, guarda al comportamento altrui. È come dire educare i sentimenti e, attraverso di questi, i comportamenti. Formare una persona è contribuire al modo in cui quella stessa persona si apre, ascolta e osserva e trasferisce il tutto in una linea di coerenza, di comportamento, di vita”.
De Luca ha raccontato le storie meno note, per strapparle all’oblio e restituirle alla memoria. “Il libro – spiega a Educationduepuntozero – è nato durante il 21 marzo di Libera a Genova: nella cattedrale, mentre leggevano i nomi delle oltre 900 vittime innocenti di mafia, la gente rispondeva con applausi per le più note, mentre tutte le altre restavano solo nel cuore dei loro parenti. In quel momento ho sentito forte in me il dovere di scoprirle e di raccontarle, per aiutare i parenti a realizzare quel che è ormai rimasto il loro unico sogno: che la gente sappia, che la gente ricordi. Cosi per un anno, ho girato l’Italia, nei weekend, per andare a capire cosa è successo in quelle case dopo che si sono spenti i riflettori sulla tragedia”. Il filo conduttore delle ventisei storie di vittime innocenti raccontate da Anna Maria De Luca è il passaggio dalla disperazione alla testimonianza, attraverso un cammino che lo Stato, dimenticando i suoi figli e i suoi servitori, rende ancora più difficile.

La maggior parte delle storie toccano la realtà delle guerre di mafia, del racket che avvelena la vita di famiglie innocenti, della guerra eroica che singoli esponenti delle forze dell’ordine ingaggiano contro i clan. E dopo, cosa resta? Non di rado, i familiari si trovano alle prese con il disinteresse delle istituzioni, con l’indifferenza dell’opinione pubblica, con i nodi inestricabili della burocrazia. Come ha scritto Nino Amadore, “… mentre il dolore cresce nel cuore di chi resta, l’oblio dello Stato, delle istituzioni si fa sempre più caparbio, più forte. Una società che rinuncia alla memoria perché ricordare significa anche scavare nelle propria cattiva coscienza, nei comportamenti distratti, nell’assenza di attenzioni per piccole cose che avrebbero potuto salvare vite umane. Si fa finta di non vedere una scuola pericolosa, un edificio costruito male o abusivo, si fa finta di non accorgersi delle piccole e grandi mafie che hanno spremuto e spremono le nostre meravigliose città. E così via. Fino al giorno della tragedia, della disgrazia che arriva ma tutti se l’aspettavano come in quel film in cui a un certo punto si sente nell’aria l’arrivo della tragedia che poi puntualmente c’è. Sentiamo ogni giorno che la tragedia sta per arrivare ma continuiamo a far finta di nulla”.

“La scelta dei personaggi di questo libro – scrive Berlinguer – il voler trarre un insegnamento di bene da ciò che è stato un male orribile è una scelta di altissimo valore educativo. Una maestra che non arretra né inorridisce di fronte al fatto di trovare tra i suoi alunni il figlio dell’assassino di suo marito dimostra di comprendere fino in fondo la superiore professione sua che è quella di educare e di istruire. É il senso straordinario di svolgere una funzione tipicamente di salute pubblica, come è l’istruzione. La forza di questi esempi non è dovuta a rassegnazione, al chiudersi entro il proprio dolore e tacere. É al contrario, quella di agire, quindi attiva, nel voler testimoniare un esempio e utilizzarne forse la stessa drammaticità e quindi la forza per contribuire all’educazione altrui.
Tutto ciò ci dice con grande energia che dobbiamo rivedere profondamente il modo di essere della nostra scuola e valorizzare al massimo il significato dell’esempio o della nobiltà d’animo come permanente stimolo alla crescita della persona umana”.

Nel cuore di chi resta, 2015, Ediz. Eraclea, pagine 256.

Linda Giannini

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