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Istruzione, Educazione e Cittadinanza

Pubblicato il: 01/09/2014 12:09:01 -


Recensione del numero 1/2014 di Scuola Democratica.
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Gli argomenti di questo primo numero del 2014 di Scuola Democratica affrontano, secondo approcci diversi, il “fare scuola” e gli effetti dei processi d’istruzione.
La sezione ”Saggi “ presenta contributi che riflettono sul rapporto tra educazione e cittadinanza, ripropongono i temi della governance della scuola italiana in tempo di crisi e della innovazione didattica legata all’uso delle LIM.
La sezione “analisi e punti di vista”, partendo dai dati dell’indagine OCSE PIAAC, allarga il discorso al possesso e alla padronanza di competenze nelle società adulte (cittadini di 16-65 anni di età di 23 paesi) e alle opportunità di crescita che la formazione professionale (modello tedesco) offre, quando viene fruita entro il percorso scolastico. L’attenzione diretta alla situazione italiana è rivolta alla valutazione di sistema e al dibattito, suscitato e poi accantonato, sulla qualità e quantità (durata in anni) di studio nella secondaria superiore.

Esposto in questo modo il contenuto della rivista rischia di apparire una sorta di rassegna di “argomenti” giustapposti, ma non è così, la lettura dei vari contributi rivela una consistente unitarietà di prospettiva in relazione alla necessità di raccogliere elementi conoscitivi solidi e scientificamente fondati, anche sulla base di dati di indagini comparative, e, nello stesso tempo, suggerisce prospettive di possibili soluzioni su problemi aperti da troppi anni nel nostro paese.

Non sarebbe, infatti, possibile affrontare la lettura dei dati concernenti, l’indagine IEA-CIVIC se questi non fossero preceduti da una disamina delle interpretazioni, che la sociologia propone nello studio del rapporto tra istruzione acquisita e atteggiamenti di fronte alle “ differenze “ (Enzo Colombo) e la problematicità dei processi di standardizzazione che, nel corso degli anni, conducono ad assumere la questione della governance della scuola (Paolo Landri) come problema della risposta a bisogni formativi nuovi emergenti nei momenti di crisi. Su questo punto vengono analizzati gli effetti delle politiche di contenimento di spesa in Europa, in particolare in Italia, e la relazione tra istruzione e civicness nel nostro paese (Giulia Assirelli) sulla base dei dati dell’European Social Survey (2002 e 2004). Estrapolando le risposte raccolte nelle interviste, a partire dai diciottenni, età in cui in Italia i cittadini votano, vengono costruiti alcuni indicatori di atteggiamento, che li correlano alle caratteristiche socio culturali della popolazione. È interessante notare che, data la distinzione concettuale tra istruzione assoluta (anni d’istruzione) e istruzione relativa (collocazione dei soggetti intervistati entro la gerarchia sociale), la correlazione tra comportamenti e istruzione posseduta non è sempre giustificabile, anche se la partecipazione al voto, l’abitudine ad informarsi quotidianamente, la tolleranza e la fiducia crescono al crescere dell’istruzione (la forbice è tra laureati e persone con la licenza elementare). Poiché per il nostro paese si tratta della prima indagine svolta sul tema, l’ipotesi ottimistica di questa relazione positiva non è analizzabile secondo tutte le variabili, che la letteratura dedicata in genere utilizza, e l’indicatore tolleranza è per ora limitato al solo tema della immigrazione, tuttavia i risultati del lavoro supportano bene la tesi della validità dell’investimento in istruzione per garantire livelli accettabili di civile convivenza.

Se non si vuole limitare il concetto d’istruzione a quella formale, legata alle classificazioni burocraticamente definite dai diversi sistemi scolastici, appare necessario affrontare il nodo delle competenze “utili e/o necessarie” nel panorama globale di un mondo in continuo cambiamento per il quale i giovani devono essere formati; una prima risposta alla domanda è data alla riflessione sul nesso tra educazione alla cittadinanza, competenze di cittadinanza e possesso di competenze chiave, secondo la definizione prodotta dalla letteratura sul tema (Bruno Losito). Da questo punto di vista viene quindi offerto un breve excursus sugli studi sviluppati dal Consiglio d’Europa (2004) sull’insegnamento della educazione civica e soprattutto i risultati delle indagini IEA dal 1972 al 2009, cui l’Italia ha sempre partecipato.

Dal punto di vista teorico appare molto interessante la distinzione tra educazione “alla democrazia” ed educazione “alla partecipazione”, questa infatti consente di allargare la riflessione sulla cultura dei giovani al momento in cui concludono il percorso obbligatorio di scuola. La lettura dei dati di queste ultime indagini, relativa al caso italiano, proprio per quanto attiene agli aspetti non cognitivi che vengono esplorati, rimanda alle ultime indagini OCSE PISA e consente di correlarli ai temi della equità/in-iquità dei sistemi formativi, che dovrebbero essere capaci di attrezzare i giovani in vista dell’impatto con società socialmente sempre più complesse.

Il tema della capacità del sistema scolastico italiano di fornire strumenti di orientamento e di supporto all’inserimento professionale dei giovani, ma non solo, è richiamato sia nella lettura del match e mismatch tra competenze dei lavoratori e collocazione lavorativa (Gabriella Di Francesco, Fabio Roma), che emerge nell’indagine OCSE PIAAC, ma soprattutto nella complementarietà di tre contributi (Umberto Margiotta, Orazio Niceforo, W. Heinz intervistato da A. Cavalli), che illustrano aspetti positivi del sistema tedesco, ma sopratutto suggeriscono una strategia politica complessiva, che colleghi la discussione sulla riduzione del numero di anni della secondaria superiore a un incisivo intervento di ristrutturazione dei curricoli e delle metodologie di studio. In linea con la valorizzazione degli studi comparativi, relativi ad aspetti generali e specifici delle caratteristiche culturali delle popolazioni, di quella italiana in particolare, l’attenzione (Donatella Polomba) alla non perfetta coincidenza del significato di Education e di Educazione lancia un caveat di fronte a sbrigative traduzioni letterali di termini che, sia dal punto di vista metodologico, che dal punto di vista politico rimandano alla necessità di ricondurre le interpretazioni all’analisi dei contesti, evitando l’illusione di trovare ricette proponibili “erga omnes” a scapito di più serie riflessioni teoriche, che raccordino flussi culturali e concezioni dell‘educazione, visti come elementi fondativi delle identità dei diversi modelli cui si ispirano i sistemi di istruzione.

Una piccola osservazione conclusiva.
La positiva mole d’informazioni tratte da indagini condotte con varie metodologie, a livello nazionale e internazionale, permette di apprezzare, ma nello stesso tempo di criticare, sommessamente, l’uso, direi la civetteria, di eccessive notazioni di tipo statistico, che, seppure giustificate dalla necessità di garantire la scientificità degli assunti, non rendono sempre facilmente comprensibile il contenuto di quanto si vuole presentare. Una piccola nota iniziale o finale che garantisca la significatività statistica, i modelli di regressione standard ecc., renderebbe più agevole la lettura di testi che sono utili contributi interpretativi e non rapporti di ricerca.

Vittoria Gallina

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