Home » Racconti ed esperienze » Disarmare il linguaggio. Buone pratiche di comunicazione non ostile

Disarmare il linguaggio. Buone pratiche di comunicazione non ostile

Pubblicato il: 11/03/2020 07:30:42 -


Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Da più parti si avverte l’esigenza di arginare il fenomeno dell’ostilità della rete e di provare attivamente a contrastare l’uso di qualsiasi linguaggio ostile. Gli insulti non sono argomenti, ma cazzotti nello stomaco e la battaglia per un uso rispettoso del linguaggio merita di essere combattuta da tutti i cittadini di buona volontà.

Il “popolo della rete”, il più largo spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, disteso sull’intero pianeta, diffuso al di là di ogni confine, organizzato in nuove “nazioni” – oggi la comunità di Facebook è la terza al mondo come popolazione, dopo la Cina e l’India – ha bisogno di condividere diritti e doveri, come ci ha insegnato un tenace combattente contro la caduta dell’etica pubblica, un moralista attivo come Stefano Rodotà[1]. E in primo luogo nella rete è necessario prevenire le comunicazioni ostili.

Sulla scorta di queste premesse è nato nel 2017 il progetto sociale di comunicazione Parole Ostili, che ha visto riuniti in un’associazione di scopo docenti, influencer, blogger, manager della comunicazione, coordinati da Rosy Russo, creativa di Trieste, che di fronte al crescente disagio dello stare in rete ha intrapreso un’iniziativa per trovare uno stile diverso, principi semplici e chiari, punti saldi e positivi per vivere meglio la rete. Da questo esercizio di responsabilità è nato il Manifesto della comunicazione non ostile[2], accompagnato da un passaparola positivo e divulgato a macchia d’olio. Il Manifesto, nato in rete per la rete, è diventato subito virale e l’hastag paroleostili ha raggiunto circa 25 milioni di persone. E’ una carta che elenca dieci princìpi di stile utili a migliorare il comportamento di chi sta in Rete:

  1.  Virtuale è reale. Dico e scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.
  2. Si è ciò che si comunica. Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano.
  3. Le parole danno forma al pensiero. Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.
  4. Prima di parlare bisogna ascoltare. Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
  5. Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
  6. Le parole hanno conseguenze. So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
  7. Condividere è una responsabilità. Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
  8. Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare. Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare.
  9. Gli insulti non sono argomenti. Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
  10. Anche il silenzio comunica. Quando la scelta migliore è tacere, taccio.

Grazie al contributo di volontari il Manifesto è stato tradotto in quindici lingue e è stato condiviso da Comuni (hashtag #stilecomune), Università, Associazioni e personalità autorevoli, una fra tutte la senatrice Liliana Segre, che nel suo messaggio sottolinea che  il linguaggio del futuro non dev’essere dettato dagli algoritmi, bensì dalla lingua salvata. Se le parole sono pietre si deve scegliere tra il costruire muri o ponti. Le parole di pace sono compensazione e denuncia del limite della rete stessa.

Attraverso la partecipazione collettiva di esperti e organizzazioni della società civile il cammino del Manifesto si arricchisce delle declinazioni specifiche per ambiti diversi, dalla politica (toni e stile da adottare durante i confronti e i dibattiti con gli avversari, online oppure offine) alla pubblica amministrazione (no al burocratese vessatorio), dalle aziende (dialogo trasparente e sincero fra aziende, clienti e stakeholder) alla scienza (evitare sia banalizzazioni che tecnicismi, con la consapevolezza dell’influenza su chi ascolta).

Tra gli ambiti non potevano mancare, naturalmente, quello dell’infanzia, per orientare i piccolissimi dai 3 ai 6 anni che iniziano i primi approcci ai dispositivi mobili, e dello sport per una condanna del tifo cieco e ostile e il rispetto di avversari, regole e giudici.

Per diffondere il virus positivo di scegliere le parole con cura è nato, grazie alla collaborazione con Osservatorio Giovani dell’Università Cattolica e con la partnership del MIUR, “Condivido – Il Manifesto della comunicazione ostile nelle scuole”, progetto educativo rivolto a genitori, docenti e giovani studenti della scuola secondaria per promuovere l’utilizzo di linguaggi non ostili in Rete e concorrere alla costruzione del diritto alla cittadinanza digitale. L’urgenza di un percorso di educazione in questo ambito emerge chiaramente dai dati del Focus “Generazione Z”, promosso dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo su un campione di seimila giovani[3] e è quotidianamente sperimentata da tutti noi operatori della scuola.

__________________________________

[1] S. RODOTA’, Elogio del moralismo, Laterza, 2011; S. RODOTA’, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012.

[2] https://paroleostili.it/manifesto/

[3] https://www.vitaepensiero.it/scheda-libro/autori-vari/generazione-z-9788834334171-345829.html

Rita Bramante

157 recommended

Rispondi

0 notes
3583 views
bookmark icon

Rispondi