Home » Racconti ed esperienze » “Cose che gli insegnanti non dicono”

“Cose che gli insegnanti non dicono”

Pubblicato il: 22/10/2009 17:24:36 -


Graziella Falconi ha letto “Cose che gli insegnanti non dicono. Come i bambini imparano e si costruiscono la propria storia”, di Andrea Muni. Ecco la recensione per Education 2.0.
Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Pedagogia è scienza determinante nella costruzione di una identità. “Ciò che ognuno di noi è diventato o non è diventato da adulto è passato attraverso un’infinità di istanti in cui è stato soggetto di insegnamento e di apprendimento, attraverso di essi siamo diventati o non siamo diventati quel che siamo”. Valgono in pieno, dunque, le fulminanti lezioni del filosofo Emmanuele Severino sul nucleo dell’identità, di ‘tautotes’, ‘tauto’, lo stesso, nel senso che le cose diventano il loro opposto e il loro opposto ridiventa ciò da cui è provenuto. In questo libro Andrea Muni mette al centro della propria indagine cosa accade tra un soggetto che insegna, un soggetto che impara e un oggetto di insegnamento-apprendimento. Tutto scorre e si trasforma, come avrebbe chiosato Eraclito. Questo richiamare i filosofi non è peregrino, poiché Muni vuole affrontare e vivere il problema della didattica con modalità filosofica. Cioè come modo di interpretare la realtà e di viverla, modo di approcciarsi alla vita e al mondo. Se la pedagogia e la didattica hanno la funzione non tanto di divulgare, ma di aiutare chi impara a costruirsi da sé competenze critiche e conoscenze significative, ecco che le azioni didattiche sono azioni di pensiero e di linguaggio, “libere e liberanti”.

Anche per lui, come per Severino, conoscere è l’apparire di tutte le cose, sono le determinazioni che appaiono nell’anima e l’intelletto è il luogo dell’intus leggere, del leggere dentro, del vedere, quindi è per eccellenza il luogo dell’apparire. “Non interessa – scrive Muni – tanto la cosa mediata da altro o da altri, quanto piuttosto la cosa stessa nel suo mostrarsi e dirsi a noi, qui ed ora momento per momento”. La ricerca è sempre quella di capire come nascono, si sviluppano e muoiono i pensieri nei contesti di apprendimento, “che tipo di pensieri è possibile osservare, quali è possibile solo pensare e quali, invece, vanno oltre la capacità del nostro stesso linguaggio”. L’Autore cerca di superare due modalità di fare scuola, in quanto a suo giudizio entrambe insufficienti. Una è di tipo tradizionale, trasmissivo, fondata sulla memorizzazione e sulla ripetizione, l’altra è una modalità di dialogo che sconfina nella bella chiacchierata. Entrambe rimangono alla superficie, non superano lo steccato di un bambino maschera, ombra, specchio, imitazione o copia dell’insegnante, e di un insegnante omologato da un’unica forma calata dall’alto e che fa dell’uno un obbediente maestro di obbedienza e dell’altro un obbediente allievo di obbedienza. Quando invece l’insegnante non tenti di sostituirsi a Dio, scrive Muni, di non ammettere nelle situazioni didattiche altro dal visibile dal controllabile, dal misurabile. Da dove partire allora? Dai problemi dei ragazzi? “E se pigramente i ragazzi non vedessero alcun problema e non volessero vederne?” (questo appare un nodo reale della modernità). Da dove partire allora?

“Ho la consapevolezza – confessa Muni – di andare controcorrente quando indico nella storiografia di guerra, cioè in una delle modalità di storiografia più antiche e oggi sempre più considerate superate, uno dei luoghi più adatti da cui partire”. Un grande gioco, un gioco che immette nella storia, una storia di violenza, quindi in sé elementare come è la violenza, una storia di guerra che offre la possibilità di entrare nel conflitto e creare il bisogno cognitivo di cercare le spiegazioni e le interpretazioni. A dispetto di Piaget che non credeva che i bambini amassero imparare la storia, Muni costruisce un dialogo di conoscenza che non cerca di cancellare i testi, ma di far giocare insieme insegnanti e bambini “senza togliere a nessuno le stesse possibilità di azione, cosa che ha a che fare con una certa idea di libertà”. Nel volume sono riportati a confronto i testi della sperimentazione dialogica, che possiamo leggere come traccia di altri possibili dialoghi, di quelli che rendano vive le aule scolastiche e aiutino a costruire l’identità ‘tautotes’. Non diversamente da come Severino descrive la nascita e la crescita dell’Occidente attraverso le increspature millenarie del mito che ha costituito un Occidente all’interno di due tratti essenziali: la volontà di identità e il divenir altro.

Il libro:
• Andrea Muni “Cose che gli insegnanti non dicono. Come i bambini imparano e si costruiscono la propria storia”, Armando editore, 2009, pp.160, euro 13.

Graziella Falconi

15 recommended

Rispondi

0 notes
326 views
bookmark icon

Rispondi