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ClanDESTINI (sessantunesima puntata)

Pubblicato il: 21/03/2014 13:27:29 - e


Il Generale era euforico “Sono ripartiti. I camion sono ripartiti e vanno verso Sud, quindi vogliono raggiungere il Ruanda dalla costa meridionale del lago Vittoria, un giro più lungo, ma più sicuro. La chiamano la via della droga per la scarsità di controlli e di ostacoli”.
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Dal loro primo incontro il Generale aveva visto la vedova del giudice Argentino altre due volte, fuori dall’ufficio di Piazza Zama, e ormai era evidente che l’uno gradiva la compagnia dell’altra. Ora erano di nuovo in quell’ufficio, con la grande scrivania che li separava.
“Ti ho pregato di venire qua, Ada, perché voglio dirti ufficialmente che la matassa si è sbrogliata… forse non come sarebbe piaciuto a tuo marito, ma finalmente, ieri mattina, il colpevole è stato arrestato ed è a disposizione della giustizia… somala!”
La signora Ada Argentino guardò il suo interlocutore con un’espressione di grande stupore “Non capisco”.
Il Generale indicò sul tavolo un fascicolo rosso, lo aprì e prese una fotografia “Questo è un ufficiale dei Servizi che ricopre una posizione elevata, sia in relazione ad affari interni, sia per l’estero, in particolare Africa e Medio Oriente. Il suo nome è Hansen”.
La vedova Argentino guardò la foto “Non l’ho mai visto, ma credo d’aver sentito il suo nome”. “Tuo marito lo conosceva bene e si fidava di lui… si fidava tanto da autorizzarlo a montare una trappola in cui poi è finito per cadere lui; parlo della messinscena dell’uccisione del pentito Calogero Valaci. Una finzione diventata realtà”.
“Quindi il tuo bravo ufficiale era in combutta con la mafia, visto che mio marito è stato ucciso da un loro killer”.
“Era in affari con la potente cosca di don Gerlando Cascio Ferro e che affari! Ma su questo debbo mantenere il più assoluto riserbo. Tuo marito attraverso il pentito Valaci avrebbe potuto scoperchiare il pentolone, così il pentito e il magistrato erano diventati due pericoli da eliminare”.
“A me interessa soltanto che venga assicurato alla giustizia il mandante dell’omicidio di mio marito”, la vedova Argentino si era alzata in piedi e lo guardava dritto negli occhi “, non mi frega dei vostri segreti, delle talpe che girano negli uffici e di sporchi affari all’ombra di posizioni elevate”.
“Siediti”, disse con fermezza il Generale “non essere ingiusta con me. Anzitutto il mandante dell’omicidio di tuo marito è morto nel rogo di una macchina sulla banchina di un porto somalo. Don Gerlando ha fatto una bruttissima fine. Bruciato vivo”.
La signora Ada si sedette e guardò l’uomo che riponeva la foto nel fascicolo.
“Una bomba incendiaria ha fatto esplodere l’auto, dove c’era il capo mafia e Hansen. Ma quest’ultimo evidentemente era sceso poco prima, così la pena capitale ha raggiunto solo il mandante. Hansen è colpevole quanto don Lando della morte di tuo marito!”
“Sì, certo, non è questa la pena che gli doveva essere inflitta… ma sono d’accordo con te: anche chi ha tradito la fiducia di mio marito e, di fatto, l’ha esposto alla morte, deve essere punito”. La signora Ada s’interruppe “Ma che c’entra la giustizia somala?”
“Hansen ha tradito anche me e il suo paese! Mi ha fatto credere che montava finti traffici d’armi per scoprire i punti nevralgici del crimine organizzato. Approfittando della sua copertura istituzionale portava avanti il gioco pulito delle investigazioni pilotate e il gioco sporco degli affari lucrosi. Ora basta, non posso dirti di più. Ci sono di mezzo i Servizi di altri paesi. Alleati”.
“Sì, ma che c’entra la giustizia somala?”
In quel momento entrò nella stanza l’attendente del Generale con il volto tirato “Nella piccola sala ovale sta per iniziare la videoconferenza con l’Ambasciatore italiano in Somalia”.
Il Generale si alzò “Vengo subito,
porto con me la signora, si chiama Ada Argentino, avvisa i presenti”. Ai lati del tavolo rettangolare, con al centro i microfoni, c’erano altri tre uomini, oltre il Generale, la vedova e l’attendente.
Sull’ultimo lato, in fondo, il grande schermo di un pc.
L’ambasciatore iniziò una lunga informativa, in parte già anticipata attraverso gli abituali canali, con la storia dell’ufficiale dei servizi segreti italiani che era stato visto allontanarsi da una nave ormeggiata sul molo di Chisimaio, all’interno della quale giaceva un marinaio congolese crivellato di colpi.
Fermato dalla polizia portuale somala, l’ufficiale era stato trovato in possesso di un’ingente quantità di diamanti grezzi.
“Era anche in possesso di un’arma?” chiese il Generale.
“Negativo” rispose l’Ambasciatore “la polizia portuale suppone che se ne sia disfatto, quando si è reso conto che lo avrebbero fermato. Le ricerche sono in atto nella zona. Per le pratiche di estradizione, Generale, ci saranno alcune difficoltà…”.
Il Generale scosse la testa”. Ne parleremo a tempo debito, anzitutto bisogna far luce sull’accaduto, è una questione più grave di quello che lei immagina”. Il Generale indicò uno dei tre uomini intorno al tavolo “il colonnello Calfiri partirà domani per Mogadiscio e le offrirà la nostra collaborazione. Prego colonnello”.
“Nel caso in cui la presunta arma dell’omicidio non venga ritrovata” iniziò Calfiri “forniremo tutti i dettagli tecnici della pistola e del silenziatore in dotazione ufficialmente al maggiore Hansen. E se è vero che le autorità somale attraverso tali caratteristiche non saranno certo in grado di stabilire la relazione tra i proiettili estratti dal cadavere del marinaio e la nostra arma, potranno comunque, e potremo anche noi, stabilirne la compatibilità. O escluderla”.
La vedova Argentino ascoltava e guardava la scena col massimo interesse, avvicinò le labbra all’orecchio del Generale e sussurrò “Comincio a capire”.
“C’è poi la faccenda dei diamanti grezzi”, riprese la parola l’Ambasciatore “che mette in grave imbarazzo l’Ambasciata e quindi il nostro Paese, data la loro provenienza certamente illecita e il loro ingente valore”.
“Anche per questa parte” intervenne il Generale “il colonnello Calfiri, che è a capo delle investigazioni interne del Servizio, ha avuto precise istruzioni. Le basti sapere da me, signor Ambasciatore, che quei diamanti sono collegati a un traffico d’armi che ha avuto come base di partenza le coste italiane e avrà come punto d’arrivo il Ruanda. In Somalia le armi sono soltanto sbarcate. Noi faremo in modo che tale traffico non arrivi a destinazione e saremo in grado di stabilire gli elementi di colpevolezza di questa come di altre vicende”.
L’uomo guardò la signora Ada seduta accanto a lui, con evidente soddisfazione nel tono della voce. Calfiri si agitò sulla sedia, la presenza di quell’estranea era fonte di disagio notevole, dato i temi della videoconferenza di servizio. L’Ipad dell’attendente si illuminò e comparve un’e-mail con una foto. L’uomo allargò la foto e rimase pensieroso.
“Bene” disse in tono conclusivo l’Ambasciatore “attendo nel mio ufficio la visita del colonnello e, da quanto capisco, la questione dell’estradizione non è una priorità”.
“Non lo è, forse questo vi aiuterà, dobbiamo prima svolgere tutti gli accertamenti in loco, coadiuvando con le autorità locali”, precisò il Generale “accertare in via definitiva tutti i fatti di casa nostra, facendo uscire il nostro Paese dall’imbarazzo che questa storia potrebbe arrecarci nei confronti dell’intero continente africano. Un’interpretazione malevola di tutta la faccenda potrebbe avvalorare l’ipotesi che abbiamo ufficialmente venduto armi da guerra, di fabbricazione italiana, a uno dei generali di quell’area a capo di un esercito di bambini-soldato”.
“Sono dei pazzi sanguinari” intervenne l’Ambasciatore “su youtube tutti possono vedere di che cosa è stato capace Joseph Kony, il mostro ugandese, come lo chiama la stampa…”.
Il Generale scandì le parole “L’uomo al quale Hansen ha venduto le armi, Buruli, che chiamano il Fratello maggiore della morte, è della stessa pasta e non è l’ultimo in circolazione purtroppo. Anche gli Usa vogliono fare qualcosa contro di lui, a costo di scatenare una guerra!”
Ci fu una lunga pausa in cui sembrò che il silenzio riempisse la stanza, poi il Generale strinse fuggevolmente la mano della signora Ada prima di guardare l’Ambasciatore sullo schermo “Prevedo, in conclusione, che il maggiore Hansen potrebbe rimanere a lungo, molto a lungo nelle prigioni somale”.
“Certo. Se la sua colpevolezza sarà provata”. Aggiunse la voce dallo schermo.
Uno sguardo eloquente del Generale concluse la videoconferenza.
Mentre gli altri si alzavano per uscire dalla piccola sala ovale, l’attendente si avvicinò al Generale indicando l’immagine sull’Ipad “Dalla sala operativa ci comunicano che il convoglio di camion di Buruli è arrivato sulla costa Kenyota del lago Vittoria, precisamente all’altezza di Musoma, proprio in questo punto”.
“Sono fermi o sono in movimento?”
“Si sono fermati, evidentemente stanno facendo una tappa dopo aver attraversato tutto il Kenya da Est a Ovest”.
“Avvisa la sala operativa che voglio essere allertato, appena il convoglio riprende il viaggio. A quel punto capiremo se sono diretti verso Sud, lungo le sponde della Tanzania oppure a Nord, in Uganda. Per portare le armi in Ruanda possono costeggiare il lago Vittoria in entrambe le direzioni”.
“Il satellite ci indicherà quella prescelta”.
Il Generale fece un cenno del capo e raggiunse la signora Ada che era arrivata già vicino alla porta.

* * *

“Ecco il nostro mare nel cuore dell’Africa”, esclamò Buruli guardando l’immenso specchio d’acqua” è il lago tropicale più grande del mondo, lo sapevi?”
L’interprete afrikaner assentì, aveva il volto tirato, guardava perplesso le tre gigantesche chiatte ormeggiate davanti a loro. Poi distrasse lo sguardo, quella parte della Rift Valley era uno dei posti più suggestivi dell’Africa, e lui ne aveva subito il fascino fin da bambino.
Da quando il nonno gli aveva raccontato la storia di Speke, l’esploratore britannico che nel 1858 arrivò sulla costa meridionale del lago alla ricerca della sorgente del Nilo. E, poi, fu sempre un esploratore britannico, Stanley, che, circumnavigando l’immenso lago, trovò la conferma della scoperta di Speke: sulla costa settentrionale scoprì le cascate Rippon, che formano il Nilo bianco. Dai camion erano state scaricate tutte le casse con le armi e, ora, gli uomini di Buruli si apprestavano a caricarle sulle tre chiatte ormeggiate sulla sponda del lago.
Il Fratello maggiore della morte si rivolse al suo luogotenente, un colosso nero dalle spalle larghe e le braccia muscolose, “Appena terminate le operazioni di carico, fai risalire sui camion i soli autisti, gli altri uomini rimangono tutti con me. Gli autisti dovranno portare il convoglio a Sud, in Tanzania, lungo le coste meridionali, come avevamo stabilito”.
“Sulla pista della droga”.
“Esatto, e il tuo uomo di fiducia sarà sul primo camion”.
“Dove ci ricongiungeremo con loro?” chiese l’uomo.
“In Ruanda, ma ci vorrà tempo per arrivarci, sia loro per costeggiare il Vittoria, sia noi per attraversarlo”.
Da un isolotto poco distante sul lago erano partiti tre potenti rimorchiatori che stavano dirigendo verso le chiatte.
“Sulla prima chiatta” continuò Buruli “quella dove sarò io, dovrai far salire la monaca, il ragazzino e la maggior parte degli uomini. Adesso va e falli sbrigare”.
L’uomo si allontanò, dopo poco si sentirono i suoi ordini urlati.
“Alla guida dei rimorchiatori ci sono marinai di tua fiducia?” chiese l’Afrikaner.
“Ho avuto poco tempo per organizzare tutto, ma è stato sufficiente, mi sono anche assicurato i mezzi più potenti in circolazione sul lago”.
“Così il satellite segnalerà il convoglio, mentre noi con le armi traverseremo il lago”.
La cicatrice sul viso di Buruli si mosse disegnando una linea contorta simile a un ghigno. “È la via più diretta, una rotta che corre lungo il confine con l’Uganda, taglia il grande lago da Est a Ovest. Sbarcheremo a pochi chilometri dal Ruanda. E poi comincerà la festa! Hai ricavato niente dalla monaca o devo pensarci io?”
“Non è necessario, è bastato farla cadere in contraddizione sulle cose che diceva, suor Annunciazione è una pessima bugiarda, il ragazzo, Kamal, invece è più tosto… non sanno dove sia Didier, ma lo cercano disperatamente”.
“Lo troveremo, questo è certo!”

* * *

L’Uomo mascherato guardava perplesso il suo cellulare dopo aver parlato a lungo con il capo dei pigmei Bandar.
“Cosa ti ha detto?” gli chiese Didier.
“Che sulle sponde meridionali del lago Vittoria non c’è ancora traccia di un convoglio di camion… comunque sono in grado di intercettarli in qualsiasi momento e dare battaglia”.
“Allora significa che il convoglio passerà da qui, dall’Uganda?”
“Comunque ora è meglio smontare il nostro accampamento e abbandonare questa specie di avamposto. È troppo presto per capire quale direzione ha preso Buruli, dobbiamo avere pazienza, ma nel frattempo dobbiamo essere mobili. È più prudente”.
L’uomo fissò ancora l’immensa distesa d’acqua e sulla sua superficie lo spesso strato del giacinto d’acqua che era resistito nel tempo sulle coste ugandesi nonostante gli erbicidi usati per sconfiggerlo; il giacinto creava, infatti, numerosi problemi alla pesca, alla fornitura d’acqua potabile e perfino ai trasporti.
Non si sarebbe spinto più a Nord, troppo distante dal grosso della tribù dei Bandar e troppo distante dai confini del Ruanda. Aveva sperato d’intercettare in Uganda il Fratello maggiore della morte, ma fino a quel momento l’unico risultato positivo era stato quello dell’incontro con Didier. “Smontiamo le tende e troviamo una postazione più nascosta” disse a un pigmeo che gli si era avvicinato”.
“Hai un presentimento, Ombra che cammina?”
“No, ma Buruli potrebbe avere spie anche qui”.
In quel momento il cellulare dell’uomo mascherato squillò.
Il Generale era euforico “Sono ripartiti. I camion sono ripartiti e vanno verso Sud, quindi vogliono raggiungere il Ruanda dalla costa meridionale del lago Vittoria, un giro più lungo, ma più sicuro. La chiamano la via della droga per la scarsità di controlli e di ostacoli”.
“Troveranno ad aspettarli i miei Bandar, una tribù di guerrieri…”.
“Mister Clumper” lo interruppe sprezzante il Generale “lei ha già fatto molto per noi italiani, adesso mi lasci dirigere le operazioni manu militari. Non possiamo affidare una partita così importante a pigmei mezzi nudi con archi e cerbottane”.
“Sono dotati anche di armi automatiche… e le loro frecce e i loro dardi avvelenati sono più silenziosi e micidiali di quanto lei possa immaginare”.
Dopo una pausa si sentì una risatina. “Allora è il caso, mister Clumper, che io le comunichi come intendo risolvere questo problema spinoso per il mio paese”.
Didier stava fissando Phantom attaccato a quel cellulare, la sua espressione prima fu di meraviglia poi si fece cupa.
“Vi siete preoccupati di evitare danni collaterali… sono zone molto popolate, tra le più popolate dell’Africa”.
“Certamente” lo rassicurò il Generale “, sono bombe molto sofisticate e colpiscono esclusivamente i bersagli prescelti. Sono intelligenti”.
“Un’assicurazione che ho sentito molte volte. Dopo l’attacco vorrei esser informato sui suoi esiti”. Aggiunse l’uomo mascherato.
“Può star tranquillo, sarà il primo a saperlo, anche perché dovrà subito dopo tornare in Ruanda e annunciarlo ufficialmente… sarà lei l’uomo che ha sconfitto Buruli e annientato il traffico d’armi”.
Phantom scosse la testa “E perché dovrei prendermi questo merito?”
“Perché noi non siamo intervenuti!” il Generale sottolineò la frase “Non ci sono militari italiani nell’area, le armi distrutte non avranno provenienza sicura, non abbiamo interessi da proteggere… non siamo stati messi a parte del piano americano, ne siamo fuori, semplicemente non esistiamo intorno a quel lago. Lei invece è una leggenda e si merita questa vittoria, alla quale ha comunque contribuito. Le leggende vincono sempre!”
“Non sempre e, soprattutto, non così”.
Ma il Generale aveva già chiuso la comunicazione.
Didier lo stava guardando con aria interrogativa. “Allora?”
“Bombardano i camion diretti verso Sud, ma ora devo richiamare i Bandar, devono ricongiungersi con noi in Ruanda”. Poi esitò guardando Didier “sembra proprio che tutti noi dobbiamo lasciare la guerra ai militari di carriera!”

* * *

Dalla portaerei Cavour, al termine delle acque territoriali del sud della Somalia, l’Harrier II stava per decollare, dopo che era stato completato il suo armamento e il rifornimento di carburante. Gli ordini per il pilota erano precisi, doveva seguire i segnali del satellite militare dedicato all’operazione, individuare il bersaglio, costituito da una lunga fila di camion, e bombardarli nella parte del tragitto con minor rischio possibile di effetti collaterali.
Mentre accendeva i motori sulla pista di lancio il pilota si era chiesto se quell’operazione, che portava la massima classificazione di segretezza militare, non fosse la conclusione dell’altra iniziata con il salvataggio dell’uomo misterioso nel Mediterraneo e del suo trasporto fino all’aeroporto di Kigali. Era certamente così, dato che anche stavolta doveva mantenersi in contatto, durante tutta l’operazione, con la sala operativa dei servizi segreti italiani a Roma.
Gli sarebbe piaciuto incontrare di nuovo Mister Clumper, sembrava uno di quegli uomini che era un privilegio poter conoscere, “è così raro” pensò “che si riconoscano subito gli uomini giusti”.

L’aereo si alzò in volo, l’alluminio della fusoliera rifletteva i raggi del sole.
Impostò la rotta: doveva traversare con la massima velocità di crociera da Est a Ovest un breve tratto della Somalia, il Kenia e la Tanzania fino ad arrivare sulle coste meridionali del lago Vittoria. La velocità e la bassa quota dovevano, almeno in parte, consentirgli d’ingannare i rilevamenti radar su quei territori.
Insomma poteva contare solo sulla vetustà delle apparecchiature e sullo stupore degli addetti e la conseguente lentezza delle loro capacità reattive. Insomma c’era la possibilità che tecnologia non avanzata e fattore umano fossero dalla sua parte. Il cielo sopra l’Africa era di un intenso turchese, ma lo avrebbe apprezzato meglio al ritorno.
Dalle cuffie gli arrivò la voce del Generale “Conto che l’operazione, comandante, sia rapida, completa e indolore. Il nuovo governo ci ha autorizzato ma non vuole guai. Noi ci stiamo dando da fare per creare problemi ai radar che incontrerà sulla rotta”.
“Sono fiducioso… vi contatterò appena avvistato il convoglio”.

Il volo fu senza incidenti e quando il comandante scorse le acque del lago Vittoria sulla linea dell’orizzonte, virò il timone di direzione e puntò verso le coste della Tanzania.
Il satellite gli segnalò che a circa 200 km avrebbe avvistato il convoglio, così iniziò le procedure di armamento. Stavolta non era un’esercitazione!
Per parecchi minuti la sua radio fu disturbata sentiva gracchiare nelle orecchie spezzoni di parole… evidentemente erano le comunicazioni concitate di una torre di controllo in Tanzania che cercava inutilmente di mettersi in contatto con lui.
Poi all’improvviso avvistò la fila dei camion su una larga strada sterrata, abbassò ancora la quota e vide che il convoglio procedeva a un’andatura sostenuta sollevando un notevole polverone. Il pilota centrò la coda del convoglio con un colpo esploso da un cannone Aden da 30 mm, poi nel passaggio sopra la lunga fila dei mezzi lanciò una bomba a caduta libera.
Si allontanò ed effettuò un’ampia virata.
Tornando indietro puntò sulla testa del convoglio, arrivato sulla linea di tiro esplose una rapida successione di colpi dai due cannoni Aden.
L’aereo riprese quota mentre dai camion si levavano alte le fiamme. Sotto di lui la scena era quella di una zona di guerra: tutti i camion erano stati incendiati e i serbatoi cominciavano a esplodere. Decise di effettuare ancora un passaggio, ma ormai poteva considerare l’operazione conclusa.
Qualcosa peraltro nella scena sottostante non lo convinceva del tutto.

Si mise subito in contatto con la sua portaerei per comunicare il messaggio “Missione compiuta”, ma sapeva bene di dover riferire alla sala operativa dei Servizi.
Infatti, la voce del Generale non tardò a farsi sentire “Complimenti comandante, lei oggi ha annientato un traffico d’armi di notevolissima entità che avrebbe distrutto la vita di migliaia d’innocenti. E forse ha evitato una lunga guerra!”
“Grazie Generale, ma non posso fare a meno di esternarle un dubbio”.
“Di che si tratta?”
“Insieme alle casse di armi sui camion c’erano presumibilmente, anche casse di munizioni?”
“È praticamente sicuro”. rispose con voce incrinata il Generale.
“E allora qualche conto non torna, perché le casse di munizioni avrebbero dovuto esplodere amplificando enormemente l’effetto del bombardamento”.
“E ciò non è avvenuto?”
“No, sono esplosi semplicemente i serbatoi dopo che i camion erano stati colpiti e incendiati dalle mie bombe”.
Ci fu un lungo silenzio nelle comunicazioni via radio.
“Insomma la sua conclusione qual è?”
“Che o sui camion c’erano solo armi da guerra senza le relative munizioni, oppure che ho investito con una tempesta di fuoco dei camion vuoti”.
La risposta non fu immediata.
“Vuol dire vuotati!… Sento la necessità” si riprese il Generale “di condividere con Mister Clumper questa sua osservazione… faccio subito stabilire un contatto. Qual è la situazione carburante dell’Harrier II?”
“Autonomia sufficiente per il rientro sulla portaerei al largo delle acque internazionali”.
“Mi metto subito in contatto con l’ammiraglio della Cavour perché predisponga un rifornimento in volo del suo velivolo”.
Il comandante fece una smorfia “Pensa che sia necessario?”
“Non lo so ancora, sto facendo analizzare i dati, appena in contatto con Clumper la richiamo”.

Allora qualcosa era andato storto, forse le sue valutazioni erano sbagliate. Ma, lui aveva visto varie volte esplodere, sotto i bombardamenti, depositi di munizioni in Kossovo e l’effetto era totalmente diverso da quello di pochi minuti prima. Quando il Generale lo ricontattò fu particolarmente attento a descrivere all’uomo misterioso tutto ciò che aveva visto succedere su quella strada polverosa della Tanzania.
“Le esplosioni e gli incendi dei camion” gli chiese Mister Clumper “sono avvenute tutte nello stesso modo?”
“Direi di sì, non ho rilevato diversità tra un mezzo e l’altro”.
L’uomo, a quel punto, si rivolse all’altro interlocutore “Buruli si è accorto che lo controllavate via satellite e ha spostato le armi, questa è l’unica spiegazione”.
Il Generale non riusciva a nascondere il nervosismo “Come fa a essere così sicuro?”
“Dove troverebbe in Ruanda le munizioni per le armi che ha appena comprato? E se intende rivenderle, gli altri compratori dove potrebbero rifornirsi? Chi si munisce di un arco vuole avere nell’altra mano anche le frecce”.
Non valeva la pena di prendere in considerazione altre ipotesi, il Generale si rassegnò “E allora adesso cosa propone?”
“Ci sto pensando…” dopo qualche istante l’uomo riprese a parlare “le ipotesi possibili sono soltanto due: la prima è che Buruli, dopo aver mandato via i camion vuoti, abbia ripreso il viaggio verso il Ruanda sulla pista della costa settentrionale del lago Vittoria, e allora, prima o poi, dovrei trovarmelo di fronte”.
“E la seconda?” chiese incuriosito il comandante dell’Harrier II.
“È che le armi stiano traversando il lago lungo la linea di confine dell’Uganda”.
“Com’è in grado di indicare una rotta così precisa?”
“Lo deduco dal fatto che sappiamo per certo della loro lunga tappa a Musoma, in quel punto hanno effettuato il trasbordo del carico. E da quel punto o si sono tenuti lungo costa verso Nord o hanno iniziato la traversata del lago per approdare sulla costa più vicina ai confini del Ruanda. Ma in entrambi i casi non so immaginare con quali mezzi, con altri camion, battelli …”.
Il comandante visualizzò immediatamente la zona indicata da Clumper “La rotta di cui parla è dritta come il diametro sulla forma tondeggiante del Vittoria”.
“Esattamente, e per lei non sarà difficile seguirla. In conclusione” tirò le fila l’uomo mascherato “nella prima ipotesi io darò battaglia a Buruli, tra poco più di qualche ora, nella seconda lei, comandante, dovrà andare a controllare cosa galleggia lungo il diametro del lago. Dopotutto si tratta di tonnellate di casse, saranno certamente visibili. Ha carburante a sufficienza?”
“Stiamo provvedendo” intervenne irritato il Generale “quelle armi vanno distrutte, è un nostro interesse prioritario!”
“Bene” concluse l’uomo mascherato “sarà bene che ognuno faccia la sua parte… con le bombe o con le cerbottane”.

(continua)

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

TUTTE LE PUNTATE PRECEDENTI


L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

È in libreria “Teoria e pratica del giallo“, la nuova fatica di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori per le stampe di Edizioni Conoscenza.

Qui le modalità per l’acquisto del libro.

Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

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