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L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità (II Stagione) – Ma possibile?

Pubblicato il: 11/12/2014 22:01:06 -


Salì di nuovo in solaio. Lì erano state accatastate tante altre cianfrusaglie, era ancora più pieno che in passato. Vecchie valige, un paio di sci, pentole di ogni dimensione, una padella bucata per fare le caldarroste, una scatola di arnesi arrugginiti, un barattolo aperto pieno di chiodi e viti di ogni genere, una vecchia sedia.
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C’erano volute parecchie ore di lavoro, ma finalmente l’appartamento era di nuovo abitabile, pulito. Almeno la grande stanza soggiorno, e la cameretta da letto. Ramon si sentiva sollevato, e si prese una pausa. Era il momento di riesplorare un po’, di dare libero sfogo alla sua più tipica caratteristica, la curiosità.
Salì di nuovo in solaio. Lì erano state accatastate tante altre cianfrusaglie, era ancora più pieno che in passato. Vecchie valige, un paio di sci, pentole di ogni dimensione, una padella bucata per fare le caldarroste, una scatola di arnesi arrugginiti, un barattolo aperto pieno di chiodi e viti di ogni genere, una vecchia sedia. Correva lungo due pareti una mensola di legno, sulla quale si potevano scorgere, velati dalle ragnatele, gli oggetti più vari: qualche bottiglia vuota, barattoli di vernice sicuramente ormai secca, un vecchio lume a petrolio, e, insomma, un po’ di tutto di un mondo passato, di una vita già vissuta.

Le cianfrusaglie erano tante che si faceva fatica a muoversi. Con attenzione, scavalcando questo e quell’oggetto, Ramon raggiunse la mensola, e passò in rassegna quella specie di bazar del vecchiume. Notò un vecchio libro, soffiò via la polvere, e l’aprì: “De bello gallico”. Ramon se lo mise sotto il braccio, e proseguì la sua ispezione.
Ed ecco che, con un tuffo al cuore, riconobbe il barattolo vuoto, il barattolo della mitica arcivernice che tante oniriche esperienze gli aveva regalato. Lo prese, quasi con timore reverenziale. Che peccato che fosse vuoto, quanto avrebbe potuto essergli utile adesso. Perché l’aveva abbandonato lì? D’accordo, l’arcivernice era finita; ma non era forse quel barattolo un segno, un qualcosa che aveva caratterizzato un dolce e fervido periodo della sua vita?
Decise di recuperarlo, uscì dal solaio, affrontò l’incerta scala di legno con cui si ritornava da basso. E volle innanzitutto lavarlo. Lo pose sotto il rubinetto, e aprì l’acqua. Ma qui avvenne una cosa strana: l’acqua dentro a quel magico contenitore diveniva scura, più di quanto la polvere potesse giustificare. Ramon lo notò subito, e chiuse il rubinetto. Quel liquido era denso, non era più acqua. Ed emanava un odore forte, acre, potente, un odore che Ramon ben conosceva: l’odore dell’arcivernice.

L’olfatto, quello tra i sensi abbandonato per primo dall’evoluzione, depauperatosi ben presto: non serviva più, all’uomo, fiutare di lontano la preda, c’erano mezzi più efficienti, c’era il linguaggio, e c’era l’agire sociale, organizzato.
L’olfatto serviva solo a breve raggio, esercitato lì, proprio sopra alla bocca, a evitare di ingoiare cibo avariato o veleni. Ben altra enfasi aveva posto, l’evoluzione, sulla vista. Dal sanscrito “vid” deriva il “videre” latino, ma anche, in greco, caduta la “wau”, la radice “id’”, da cui idea. Non tanto il senso viene potenziato, quindi, ma la sua reinterpretazione come strumento del conoscere. Questo pensiero gli attraversò per un attimo la mente, ma poi Ramon tornò con i piedi per terra.

Vuoi vedere che… Ma come è possibile? D’altra parte, quel sottile strato residuo, ormai secco, di arcivernice, fluidificandosi, a cosa si applicava se non a se stesso? Ecco, in fondo aveva un senso: l’arcivernice che rigenera se stessa, perché no? L’ansia di provare. Avrebbe funzionato? Grande emozione, fretta quasi angosciante di trovare una qualsiasi figura, un’immagine, di chiunque pur di provare! Come fare, non aveva ancora portato i suoi libri.

Data l’emozione, gli ci volle un po’ per realizzare che un libro ce l’aveva sotto il braccio. Un attimo, sì, dopo due pagine trovò quel che cercava, e lo bagnò. Mentre una forma ancora indistinta prendeva corpo, Ramon udì indistintamente qualcosa come “ave juvenis, ego tibi salutem dico”. Ecco, ora ne era certo, era di nuovo padrone dell’arcivernice!

Per approfondire:
– L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità [I Stagione], di Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione, di Giulia Jaculli e Maurizio Matteuzzi
L’Arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità – II Stagione “Di nuovo a casa”, di Maurizio Matteuzzi

Maurizio Matteuzzi

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