L’arcivernice: pensieri inattuali sulla modernità (prima puntata)

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Pier Cloruro de’ Lambicchi è il protagonista dell’omonimo fumetto di Giovanni Manca, apparso sulla rivista per ragazzi Il Corriere dei Piccoli tra glianni 1930 e quaranta, Scienziato eccentrico ed incompreso, Pier Cloruro de’ Lambicchi è l’inventore dell’Arcivernice. Bastano poche pennellate di quella magica sostanza per dare vita a disegni e ritratti, finendo per riportare in vita personaggi del passato.

§ 1 – Ramon trova casa

Ramom Vazques aveva raggiunto Bologna da Siviglia entro il programma Erasmus, ed era molto motivato a sfruttare il periodo previsto per due finalità che aveva ben chiare: conoscere l’Italia e imparare la filosofia. Il primo problema da risolvere era quello di trovare un alloggio sopportabile, un posto letto o magari perfino una stanza tutta per sé, togliendosi così il prima possibile dall’ostello della gioventù. Aveva già fatto incetta di linguette con numeri di telefono, strappate dagli innumerevoli fogli di proposta di posti letto che tappezzavano tutta la zona universitaria, e le stesse bacheche interne delle facoltà. Dopo sette o forse otto telefonate, ebbe una risposta che gli sembrò meritevole di esser approfondita. Fu così che, quello stesso pomeriggio, individuò quella strana casa, sicuramente molto antica, appena fuori porta, in fondo non così lontana. La struttura architettonica era veramente singolare. Molto ampia, irregolare, priva di una qualsiasi simmetria, comunque la si guardasse; non solo, ma risultava evidente, anche ad una prima occhiata, che gli stessi muri erano della fattura più diversa, i più esterni in mattoni, i più alti e meno visibili in pietra, fino ad alcune parti di sasso, senza intonaco, nella prossimità di un paio di abbaini. Come avrebbe avuto modo di capire meglio in seguito, esisteva una parte più moderna, abitata dalla proprietaria, e una parte molto antica, praticamente abbandonata, se pur completamente arredata con mobili molto vecchi. In conclusione, alla distanza dal centro faceva da contrappeso la grande quantità di spazio; e, in certa misura, anche la strana atmosfera del genere “castello avito con fantasma”.

Ramon la prese, la richiesta di un rapporto completamente “in nero” era ampiamente prevista, cioè esattamente quanto si aspettava. Si accedeva alla sua sistemazione da una porta separata, una piccola porticcina sulla strada, accanto a quella ufficiale, ben più ampia, della padrona. Uno dei patti era appunto di non travalicare la divisione tra le due zone. Una volta entrati, c’era un piccolo atrio di cotto bolognese, rossastro ed estremamente consunto, con avvallamenti e protuberanze. A destra una stanza da letto, a sinistra una cucina grande, rettangolare, longitudinale rispetto all’entrata. Nella stanza da letto campeggiava un letto di in legno, di una altezza incredibile, si faceva persin fatica a salirvici, con rete dura e materassi di lana ormai infeltrita e compattata che formava una base durissima e anelastica. Il legno era vecchio ma lucido, di un marrone scuro fino quasi a toccare il nero. I cigolii. Un vecchio armadio lungo una parete, di un legno completamente diverso, rovere probabilmente, più chiaro, due ante, qualche cassetto.

Lasciata la camera da letto, Ramon analizzò bene la cucina. Su una parete del lato corto, un’ampia finestra; la cosa singolare è che non ci si arrivava a vedere fuori, serviva a vedere il cielo, anche se per arrivare ad affacciarvisi c’erano due alzate che ti portavano a salire un po’. Una porta, in cucina, si apriva su un minuscolo giardinetto abbandonato, recintato da alte reti metalliche e pieno di erbacce. Sulla parete opposta al finestrone, una tavola di marmo incassata nella parete, con sopra un fornello e sotto una bombola di gas. In mezzo, per il lungo, una grande tavola di legno, e diverse sedie. Qui dunque Ramon avrebbe dovuto capire cos’è l’Italia, e cos’è la filosofia; e l’un problema non sembrava più banale dell’altro.

§ 2 – Ramon scopre l’arcivernice. La curiosità, come dice Vico, è figlia dell’ignoranza, ma è madre della scienza. Da cui si dovrebbe trarre la scienza discende direttamente dall’ignoranza, sacrosanta verità che molti dimenticano. Sta di fatto che il nostro Ramon era ragazzo curioso, con i suoi vent’anni pieni di brio. E così usci nel cortiletto incolto, e scoprì una piccola porticina, contro la parete di pietra, chiusa da un vecchio lucchetto. Il senso etico e la curiosità di cui si è detto si diedero ampia battaglia, ma alla fine il lucchetto fu rotto. Alcuni passi verso il basso, lungo gradini di pietra, senza corrimano, nell’odore di muffa e di pareti di terra, e Ramon giunge in una piccola stanza, dalle pareti incerte e irregolari. Con una candela ci si poteva vedere. Cianfrusaglie ovunque. Vecchi arnesi di lavoro agricolo, rugginosi. Ammassi di tessuti mangiati dai più vari roditori. Un baule. E, dentro al baule, un barattolo, piuttosto grande, ben visibile, e una scritta: “Arcivernice”


Considerazioni inattuali dei grandi sullo stato presente
Linda Giannini intervista Maurizio Matteuzzi
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Note bio:
Maurizio Matteuzzi, insegna Filosofia del linguaggio, Teoria e sistemi dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L’occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second’ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia.

Maurizio Matteuzzi