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La scrittura è una parte della vita, non una ricetta

Pubblicato il: 16/07/2014 09:55:15 -


Analisi e riflessioni sul valore della scrittura nell’insegnamento e su come influisce nella crescita dei ragazzi.
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Scrivere, dono della natura.
Tutti noi ricordiamo il tempo in cui l’insegnante ci metteva davanti ad un foglio vergine, ci assegnava un tema e ci invitava ad arrangiarci da soli. È stato questo il nostro apprendistato di scriventi. L’intervento del docente si limitava, a lavoro ultimato, a impugnare il fatidico lapis rosso e blu per sanzionare gli scarti più o meno gravi rispetto alla buona norma della lingua.
In molti abbiamo imparato a scrivere così, o almeno abbiamo creduto di imparare, perché forse l’avevamo fatto per altra via. Con questo “modus operandi”, i costi sociali erano alti e toccava pagarli a tutti quei ragazzi che venivano respinti dalla scuola perché non erano stati capaci di farcela da soli. Andava avanti soltanto chi la famosa “dote spontanea” (che era poi un’eredità di modelli educativi familiari o comunque ambientali) la possedeva. “Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta.” (Don Lorenzo Milani, “Lettera a una professoressa”, p. 19).
La crisi di coscienza per noi insegnanti è arrivata dal momento in cui abbiamo cominciato seriamente a renderci conto dei costi umani Nel giro di pochi anni ci siamo così lasciati alle spalle una tradizione pedagogica, prescrittiva e perciò rassicurante anche se inadeguata alle esigenze di una scuola di massa, per tuffarci negli sperimentalismi, alla ricerca generosa di strade nuove da percorrere senza punti fissi di riferimento.

Scrivere, azione complessa.
Con l’intento di mettere in atto la Costituzione, di realizzare una democrazia compiuta in cui il cittadino possieda la scrittura, abbiamo insegnato e insegniamo con modesti, se non sconfortanti, risultati confermati da ricerche di ogni tipo. Purtroppo le ragioni del nostro fallimento, del nostro sforzo inefficace, sono profonde.
Scrivere è un atto di conoscenza di sé e del mondo. C’è una posizione dell’essere, un profilo antropologico che supporta la scrittura, che non si riduce affatto a una tecnica. L’insegnante, se vuole insegnare a scrivere, deve curare che lo studente si serva di quello che studia per organizzare i suoi pensieri e riordinare il magma fluido della sua umanità. Scrivere significa saper cogliere nella realtà quello che colpisce l’occhio, o la mente, per trarne qualcosa di significativo per sé e per gli altri.
Nell’età del disordine mentale, quando si ha bisogno di chiarire a se stessi chi si è, scrivere è molto utile di per sé, anche se quello che si scrive non è immediatamente “utile” o “funzionale”. Ma non ci sono sconti per chi apprende: la scrittura è un’abilità risultante da fattori che si acquisiscono con l’azione convergente di uso del lessico, letture, quindi modelli, consapevolezze morfo-sintattiche, ma soprattutto da una maturità complessiva dell’individuo che domina e ordina la complessità della realtà in sé. Per di più, la scrittura richiede una particolare coscienza dei mezzi di cui si serve.
Scrivere non è un’azione naturale, diversamente dal parlare; imparare materialmente a scrivere è atto culturale, che modifica l’uomo anche a livello neurologico. Per questo la scrittura non è affatto la trasposizione grafica del parlato; passa necessariamente attraverso una forma. Esistono “oggetti formali” ben individuabili caratteristici della forma scritta, che devono essere nominati col loro nome per entrare nell’orizzonte conoscitivo degli studenti. Ora noi, sentendo questi termini, si ha l’impressione di qualcosa di conosciuto – l’ora di grammatica – ma farne oggetto di didattica finalizzata alla scrittura, richiede di uscire dall’ovvietà.
È necessaria l’arte della “tessitura” (questo significa testo).
È utile la conoscenza dei tipi di connessioni possibili fra i paragrafi e al loro interno, che sostengono, come un’impalcatura, la coerenza testuale: la causa e l’effetto, i particolari di cui si compone un tutto, la descrizione di un processo attraverso le sue fasi, l’esemplificazione rispetto a un concetto, ecc..

Molte parti della grammatica possono essere escluse, altre – segnatamente la sintassi del periodo – diventano fondamentali. Un alunno deve imparare a usare forme più complesse di quelle del parlato, come le reggenze sintattiche, i connettivi subordinanti, la sintassi del relativo e del verbo. È per questo che la riflessione sulla lingua non può occuparsi solo di “nominare e classificare”; anzi deve farlo brevemente, per orientarsi subito all’osservazione degli usi, alla spendibilità pratica nella scrittura, nel prodotto. Questi “oggetti” devono essere resi visibili, per farne immediatamente materia di scrittura, magari con un obiettivo parziale, intermedio, magari facendo scrivere poco (una paginetta). La vecchia scaletta del testo argomentativo “introduzione-tesi; argomentazioni; conclusione” è solo uno dei possibili schemi di sviluppo delle idee, ma altri se ne presentano nella varietà dei testi. La grafica, cioè l’impaginazione e la paragrafazione, sono al servizio di questa tessitura come aspetti non meno importanti dal punto di vista logico.

Piccole occasioni di scrittura collettiva.
Se è vero, com’è vero, che la scrittura è prima di ogni altra cosa un’esperienza, che non tutti riescono a fare in tutta la sua ricchezza, l’insegnante ha il dovere di farla compiere. Si scrive non solo per comunicare, ma per capire cosa si ha dentro di sé; la persona che scrive attraverso la pagina scritta chiarisce a se stessa il proprio pensiero attraverso l’atto dello scrivere, e solo secondariamente espone se stessa al potenziale lettore.
L’insegnante deve accompagnare gli studenti mostrando come si fa, come lui medesimo, adulto capace, fa. È l’esperienza, certamente non nuova, della scrittura collettiva, ogni volta difficile e delicata nella sua realizzazione. In un clima poco giudicante, in cui ciascuno sia sentito come una ricchezza per se stesso e per gli altri, all’interno di una relazione ben costruita fra studenti e fra studenti e docente, di fiducia, portata all’apprezzamento più che alla correzione, dobbiamo porre un obiettivo di scrittura.
Si può scrivere di qualsiasi cosa, ma l’adolescente necessita di un compito significativo su questioni vive, esperite e possibilmente foriere di dibattito fra diverse opinioni. Per questo dobbiamo scrivere sul teatro dopo uno spettacolo, sul cinema, sui luoghi visitati. Il caos che riportiamo da un’esperienza esterna alla scuola diventa qualcosa d’altro, possibilmente un sistema ordinato, ovvero un testo.
I nostri ragazzi hanno senza di noi e prima di incontrarci, esperienze anche troppo numerose, senza saperle raccontare, ordinandole, facendole diventare occasioni di crescita Così restano quantità senza la qualità dell’elaborazione. Se aggiungiamo esperienze – anche ben circoscritte come le “uscite” – non possiamo lasciarle a incrementare quel magma interiore che non diventa crescita della persona. L’importante è che, nella nostra scrittura collettiva, prevalga il sapore degli argomenti adulti, dell’agone delle opinioni presenti nella società, nonché delle forme esperte e belle della composizione; insomma bisogna evitare le angustie del compitino scolastico. La scrittura è un vissuto, non una ricetta.

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Immagine in testata di Cactusowa (licenza free to share)

Caterina Andreini

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