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L’Analogia: Cuore della cognizione – III parte

Pubblicato il: 25/07/2013 10:15:43 -


La scuola di Bologna conferisce la Laurea ad honorem a Douglas Hofstadter: questa la terza parte della laectio magistralis del professore.
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Vorrei ora salire a un altro livello di analogie. Si tratta pur sempre di analogie banali – “banalogie”, le potremmo chiamare – che sono il pane quotidiano della conversazione, ma in questo caso non si tratta della scelta di una parola, bensì di espressioni più lunghe.
Passiamo al concreto. Cosa voglio dire se dichiaro, “Con questo salto al supermercato prenderò due piccioni con una fava”? Posso voler dire, per esempio, che farò le mie spese e in più incontrerò mia figlia che mi aspetta lì. Si tratta di due “piccioni” (cioè, una commissione e un incontro) “presi” con una “fava” (cioè, un viaggio in automobile). Ma è raro che uno si immagini due piccioni veri e una fava vera quando si usa questa espressione idiomatica tanto familiare, perché ormai è una locuzione lessicale piuttosto indivisibile, proprio come parole composte come “sciovia” o “grattacielo” o “pomodoro” o “sorridere”.
Ma se è vero che non vediamo né i piccioni né la fava in situazioni che evocano l’espressione, allora in che senso facciamo un’analogia quando recuperiamo questa espressione dal nostro lessico mentale? Con che cosa facciamo un’analogia? Ebbene, abbiamo tutti imparato l’espressione passo passo, sentendola via via applicata da vari locutori a situazioni molto diverse, come, per esempio, “Leggendo questo libro prenderò due piccioni con una fava – farò un favore al mio amico, che l’ha scritto, e allo stesso tempo imparerò qualcosa sui colibrì!”, oppure “Andando a Ginevra in treno si possono prendere due piccioni con una fava – ci si gode il paesaggio e allo stesso tempo si risparmiano dei soldi”, oppure “Con questa bella cerimonia, l’Università di Bologna prende due piccioni con una fava, dato che nello stesso momento conferisce due lauree ad honorem, una a un padre e l’altra a suo figlio.” Sono io uno dei due piccioni e mio padre è l’altro! E questa cerimonia è una fava! E l’atto di prendere è invece un atto di offrire!

Ogni applicazione dell’espressione idiomatica arricchisce il nostro senso di quando è adatto emettere la formula prendere due piccioni con una fava. Se ora il senso astratto di queste parole ci sembra chiaro come il sole, non era così all’inizio, al tempo dei nostri primi contatti con la locuzione, quando avevamo forse 8 o 9 anni. A quell’età non è ovvio quale sia il cuore astratto condiviso da tutte queste situazioni così diverse, e ci vogliono molti esempi prima che il concetto si possa mettere a fuoco. Ma man mano che interiorizziamo questo nucleo astratto, formiamo una nuova struttura mentale con la quale si possono fare analogie.
Uno fra i molti esempi di questo concetto astratto – e questo non dovrebbe sorprendervi – è l’immagine di un cacciatore che uccide due uccelli con un solo sparo. Ma questa immagine interessante, anche se fa senz’altro parte del concetto, non è il concetto intero; ci manca molto! Con ogni probabilità c’è un vero evento che è stato primordiale nel fondare questo concetto, un primo uso dell’espressione che da bambini abbiamo capito, che ci ha colpiti per la sua chiarezza, e questo evento con due bersagli e una freccia è rimasto per noi centrale, anche se non ce ne ricordiamo più a livello conscio. E per finire la storia, questa categoria astratta, radicatasi nella nostra gioventù, basata su diversi eventi con diversi gradi di appartenenza, è la vecchia struttura mentale, la seconda struttura, con la quale facciamo un’analogia quando ci accorgiamo della doppia funzione del salto al supermercato e ci viene voglia di tradurla in parole. Non pensiamo veramente a piccioni o a una fava; pensiamo invece a un’idea astratta, a uno scheletro concettuale che collega tanti eventi dove due scopi diversi si compiono in un solo atto. L’evocazione di questo concetto astratto e la scelta della sua etichetta linguistica vengono effettuate, proprio come l’evocazione e la scelta di qualsiasi parola semplice, attraverso la percezione di un’analogia.

Come la storia della crescita del concetto prendere due piccioni con una fava ha appena dimostrato, l’analogia è il motore che guida l’accrescimento dei concetti nel corso delle nostre vite. I nostri concetti sono strutture mentali fluide che, attraverso molte analogie successive, evolvono per tutta la durata della nostra vita. Per esempio, la prima parola di Armando, che ha un anno, non è stata “ma”, ma “Mamma”, e lui la usa per nominare la propria madre. Tuttavia, sua madre non è una cosa statica, ma uno schema di cose che varia costantemente, al cui centro Armando ha identificato qualcosa di stabile e invariante. Se stiamo già avendo a che fare con l’astrazione e con il fare analogie, il concetto iniziale Mamma di Armando costituisce solamente le fondamenta di un futuro imponente grattacielo. Presto lui realizzerà che anche altri bambini hanno mamme.

Si potrebbe dire che proprio in quel momento la parola “Mamma” perde la sua “M” maiuscola, anche se il piccolo Armando di maiuscole e minuscole non ne sa un tubo. Per Armando, la parola “mamma” ormai sta per diverse persone, non solo per una.
Per inciso, facciamo un salto indietro nel tempo e un po’ verso nord est, per spiare Galileo Galilei a Padova, con il suo nuovo telescopio. (Se siete confusi, vi assicuro che questo salto spaziotemporale lo facciamo per fare una bella piccola analogia con Armando.) Vediamo Galileo che punta il suo strumento ottico verso il cielo e in particolare verso il pianeta Giove, il quale si rivela essere non un punto senza dimensione, ma un piccolo cerchio bianco bianco contro uno sfondo nero nero, e, mirabile dictu, contro questo piccolo sfondo bianco si possono vedere quattro punti neri, ancora più piccoli, e con il passare di qualche giorno, questi puntini si spostano contro il loro sfondo bianco. Cosa vede Galileo? Potremmo dire che, in quell’istante magico, vede cadere la “L” maiuscola all’inizio della parola “Luna”. Essa viene rimpiazzata da una “l” minuscola, come nell’espressione “le lune di Giove”. Una categoria che prima godeva di un solo membro ne ha adesso cinque (cioè, uno più quattro)! La capacità del grande Galileo di fare analogie ha arricchito, e di molto, il suo concetto di “luna”, proprio come la capacità del piccolo Armando di fare analogie ha arricchito, e di molto, il suo concetto di “mamma”.

Poco dopo che la categoria “mamma” di Armando perde la sua “M” maiuscola, va arricchendosi in nuovi modi inaspettati, come per esempio tramite l’aggiunta della mamma del gattino dei vicini, dopodiché arrivano le mamme dei coniglietti e delle scimmie. A questo punto Armando sta volando, volando in una stratosfera di astrazione mai sognata. Eppure, malgrado tutte queste belle estensioni per analogia del concetto di “mamma”, Armando non ha ancora realizzato che anche i suoi stessi genitori hanno mamme! Un anno dopo, riderà da matto quando sua nonna gli dirà che una volta era restio ad accettare l’idea che la mamma di Armando avesse anche lei una mamma. Più o meno a questo stadio, la struttura mentale chiamata “mamma” nella testa di Armando diventerà anch’essa mamma, nel senso che partorirà un’altra categoria, quella ancora più astratta chiamata “madre”, e questa categoria estenderà a poco a poco i suoi tentacoli di astrazione fino ad abbracciare le madri mitologiche, Madre Natura, le terre madri, le schede madri, la maternità celebrata in “L’ozio è la madre della filosofia” (ovviamente non ne sarebbe lo zio!), e persino la Alma Mater Studiorum. Mamma mia, che livelli di astrazione!

Come altro esempio di estensione categoriale dovuta a una lunga cascata di analogie prendete i computer, spesso considerati come lo sviluppo più rivoluzionario degli ultimi secoli. Ironicamente, però, abbiamo a che fare con loro attraverso analogie che utilizzano nozioni prevalentemente pre-informatiche:

Potresti per favore vedere se riesci a trovare la cartella dei “Conti” sulla mia scrivania? Dentro ci dovrebbe essere un documento che porta la data di ieri. Per favore copialo e metti la copia nella mia cartella delle cose urgenti da sbrigare, e per piacere mandamene anche una copia. Per finire, potresti riordinare la mia cartella piena di documenti da catalogare? Dovresti solo buttare via quello che non mi serve, e, quando hai fatto, svuotare il cestino. Una volta finito, non dimenticare di chiudere tutte le finestre aperte. Grazie mille!

Trent’anni fa, tutto questo non sarebbe stato ambiguo, ma oggi ci si può chiedere se si sta parlando di oggetti su una scrivania fisica o di icone su uno schermo. Proprio come il concetto di “mamma” di Armando ha ceduto alle incessanti pressioni analogiche ed è cresciuto enormemente, così anche “scrivania” è stato testimone negli ultimi decenni di una estensione senza precedenti. Le scrivanie virtuali di oggi sono collegate con altre scrivanie attraverso il fatto astratto dell’essere spazi di lavoro.

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