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A scuola senza paura

Pubblicato il: 02/08/2012 16:21:03 - e


Linda Giannini e Carlo Nati intervistano Michele Capurso, ricercatore in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione Università di Perugia - Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione.
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D. Come nasce “A scuola senza paura” ?
R. A scuola senza paura (edizioni Magi, 2012) è una ricerca di tipo descrittivo. Con questo studio abbiamo voluto documentare quali fossero le paure principali dei bambini dei confronti dei vissuti scolastici. Andare a scuola rappresenta un vissuto quotidiano per milioni di alunni; provare paura è una esperienza comune, e in giusta misura anche sana. Per tali ragioni abbiamo voluto provare a documentare questo aspetto. In termini psicologici descrivere la paura da sola non ha molto significato; per questo abbiamo esteso il campo di indagine alla relazione di aiuto e alle strategie di coping (il fronteggiamento delle difficoltà), che consentono di avere un quadro più completo dei vissuti infantili. Uno degli aspetti più originali di questa ricerca è lo strumento di indagine che abbiamo usato. Molti studi infatti usano dei questionari a risposta chiusa, ma questi presentano 2 problemi: il primo è che il bambino, leggendo le risposte possibili su carta, può esserne influenzato, il secondo è che le risposte chiuse sono limitate, rispecchiano ciò che il ricercatore di aspetta di trovare, ma non lasciano spazio a risposte originali o semplicemente impreviste. Nel nostro caso abbiamo usato un test proiettivo-tematico costruito ad hoc. L’idea centrale di tale metodologia è quella di causare nel soggetto la proiezione, cioè l’attribuzione, per mezzo di un processo difensivo inconscio, di propri sentimenti e qualità ad altri personaggi esterni al Sé. Per il nostro lavoro abbiamo chiesto ai bambini di completare una storia di un bambino che, andando a scuola la mattina, aveva paura per qualcosa. Nel momento in cui il soggetto cerca di completare la narrazione, proietta inconsciamente su di essa delle parti di Sé, come ad esempio le proprie paure, bisogni o desideri. Tali aspetti sono quindi stati analizzati con un processo induttivo di analisi di contenuto del testo.

D. Ci presenteresti l’organizzazione del libro?
R. Il testo è diviso in 3 capitoli. Il primo di essi affronta, soprattutto dal punto di vista psicodinamico, l’eziologia della paura infantile e verso la scuola, collocandola nel più ampio sistema di vita e percettivo del bambino. Il secondo capitolo illustra la ricerca vera e propria. In esso si presenta una analisi descrittiva e inferenziale delle paure dei bambini, del loro sistema di aiuto e delle strategie di coping. Vengono anche mostrati numerosi esempi delle storie inventate dai bambini, la cui interpretazione ci ha consentito di costruire la base di dati della ricerca. Vengono quindi discussi anche i risultati principali. Ad esempio posso dire che quasi un bambino su 2 ha paura di qualcosa che accade a scuola, che tale dimensione tende a crescere con l’età, e che per i più grandi (1 media) il timore di prendere un brutto voto rappresenta la preoccupazione principale. Colpisce poi l’alta incidenza dell’indicazione dei coetanei quali elementi principali nella relazione di aiuto.

D. Significa che non si fidano degli adulti?
R. Più che una questione di fiducia direi che è un problema comunicativo e di atteggiamento. Leggendo le risposte dei bambini (ampliamente riportate nel testo) emerge la loro consapevolezza che un coetaneo sa starti vicino in modo diverso. Non ti giudica, non ti fa la predica, ma si mette accanto a te, diviene subito un tuo alleato e ti aiuta a risolvere un problema disinteressatamente, solo perché è tuo amico.

D. Il terzo capitolo presenta delle unità di apprendimento per affrontare il tema della paura a scuola. Che metodologia avete seguito?
R. L’idea centrale è che le paure possano diventare occasione di sviluppo e crescita nella misura in cui vengono condivise, raccontate ed elaborate assieme ad altri. È importante far capire al bambino che non è solo nella paura, ma che i suoi compagni vivono le stesse cose e possono aiutarlo anche a trovare delle soluzioni efficaci. Nel testo proponiamo un modello preciso, elaborato a partire dal lavoro di Robinson (2004) basato sulla teoria del counseling. Lo schema di lavoro prevede 4 fasi: ascolto e consapevolezza; classificazione e studio delle paure; elaborazione di strategie e proposte; valutazione ed integrazione emotivo-cognitiva. Sulla base di questo modello ho chiesto ad alcuni insegnanti di strutturare dei progetti e provare le attività a scuola. Questo ci ha consentito di arricchire il libro anche con esempi pratici di attività effettivamente svolte in classe, integrandovi anche le risposte dei bambini e le considerazioni degli insegnanti.

D. Quali istituzioni scolastiche sono state coinvolte nel lavoro?
R. In tutto sono stati coinvolti 1931 bambini di II e V primaria e I secondaria di primo grado, provenienti da 22 scuole ed istituti comprensivi italiani. La somministrazione del test è stata resa possibile dalla partecipazione di 27 collaboratori, in gran parte insegnanti delle stesse scuole che avevano aderito al lavoro. Per le unità di apprendimento del terzo capitolo, invece, mi sono avvalso soprattutto della collaborazione di cultori della materia dell’università di Perugia ed insegnanti che si erano laureati con me negli anni precedenti e che desideravano proseguire una qualche collaborazione con l’Università.

D. Perché ritieni sia utile coinvolgere i docenti in una ricerca sulla scuola?
R. Ci sono diverse ragioni. Non vi nascondo che la prima di esse è di carattere economico. I tagli alla ricerca in campo umanistico sono molto pesanti, e non avrei avuto la possibilità di pagare una assistente alla ricerca che avrebbe dovuto viaggiare in tutta Italia per ottenere le autorizzazioni necessarie dalle scuole e somministrare i questionari. Tuttavia credo che coinvolgere gli insegnanti abbia anche delle importanti ragioni pedagogiche. Anzitutto i docenti conoscono meglio di chiunque altro i bambini e sul piano didattico sanno comunicare con loro in modo efficace e diretto. Inoltre, chi ha partecipato a questo lavoro, è diventato più consapevole del problema ed ha sviluppato un atteggiamento più attento ed aperto verso le espressioni di paura dei bambini e verso le strategie di coping che si possono attivare in classe.

D. In conclusione, la paura potrebbe diventare una materia di insegnamento a scuola?
R. No, personalmente sono contrario a formalizzare certe cose come materia di insegnamento istituzionale. Più che altro sarebbe importante sviluppare negli insegnanti capacità di ascolto e contenimento mentale dei vissuti emotivi dei bambini. Non è tanto la paura a spaventare, ma il senso di solitudine ed abbandono che i bambini possono vivere difronte ai loro problemi. Se volgiamo connettere la scuola allo sviluppo umano in generale, la capacità di raccontare quello che si prova e di spostare la propria mente dal problema alle possibili soluzioni è fondamentale per lo sviluppo emotivo e sociale dei bambini.

Capurso, M., Di Renzo, M., & Bianchi di Castelbianco, F. (2012), “A scuola senza paura: comprendere i timori dei bambini e trasformarli in occasioni di crescita”, Roma: Magi. ISBN: 978-88-7487-094-3


Giannini Nati e Capurso

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