150 anni: italiani grazie alla scuola
Il lirismo toccante, durante il festival di Sanremo, con cui Roberto Benigni ha cantato Fratelli d’Italia è stato per milioni di telespettatori un momento alto di idealità su un tema come quello del Risorgimento che purtroppo spesso ha ceduto alla retorica patriottarda. In fondo non si discosta dalla passione e dall’alta capacità comunicativa dello stesso Benigni nella sua campagna pro-Dante e Divina Commedia.
Siamo sotto schiaffo continuamente fra gli slogan di “Roma ladrona” e varie minacce di secessione. Non da ultima la resistenza a celebrare nelle scuole la festa dell’Italia il 17 marzo, altro pericoloso indice di cedimento leghistico e di insensibilità rispetto all’altissimo ruolo dell’istruzione “nell’unificazione degli Italiani”, insensibilità rispetto all’idea stessa di sistema nazionale educativo iniziato dal Risorgimento, suggellato dalla Resistenza e dalla Costituzione e compiuto dal nostro lavoro in tutti questi anni.
Certamente ci sono anche ragioni strutturali che evidenziano le rughe dell’unità nazionale, le insofferenze e i malumori di una zona d’Italia rispetto all’altra. Sarebbe sciocco sottovalutarle. Ma chi potrebbe oggi negare che Dante o Leopardi, che Leonardo o Michelangelo, che Rossini o Verdi siano italiani? Chi nel nord o nel sud del paese può pensare di sottrarsi a questo “marchio” ormai profondamente introitato dentro di noi?
Allora diciamolo con molta forza: 150 anni di scuola nazionale sono stati una causa determinante dell’italianità di ciascuno di noi. Così è per la lingua che parliamo. Altro miracolo che ci ha regalato la scuola. Tanti fra di noi conosciamo e parliamo i nostri dialetti o idiomi di origine regionale, ma non ci passa mai per la mente di considerarli sostitutivi dell’italiano. Chi opera in Europa e ha a che fare ogni giorno con 22 lingue diverse e spesso lontanissime fra loro tocca con mano l’ostacolo macroscopico che questa eterogeneità linguistica rappresenta per il presente e il futuro dell’Europa.
Forse noi non ci rendiamo conto di che cosa ha significato e significhi il fatto che la diversità profonda fra un napoletano e un milanese sia stata positivamente ridotta dal fatto che parlino la stessa lingua. E questo grazie alla scuola.
Il 17 marzo 2011, 150 anni dopo, si permetta a me, ottuagenario, quasi secolare, di salutare con emozione il contributo eccezionale che la scuola ha dato al paese, e con essa chi ha sempre insegnato e tutti coloro che vi hanno imparato. I lettori sanno quanto radicale sia la mia e la nostra critica all’attuale modello educativo e quanto crediamo nella necessità di cambiarlo profondamente dal basso. Ma questo non toglie niente al valore storico che la scuola di ogni giorno ha rappresentato per l’Italia.
Vogliamo noi limitarci alla celebrazione, sempre a rischio di retorica? No. Basti pensare al fatto che ormai il confine nazionale ci sta stretto. Oggi viviamo nella società della conoscenza. Lingua e sapere nazionali si cimentano con le lingue e i saperi del mondo. Oggi abbiamo due patrie: l’Italia e l’Europa. Se 150 anni fa era la costruzione dell’Italia, ora è la costruzione dell’Europa il nostro cimento, come scuola, come attività educativa, a cominciare dalla preparazione e dalla pratica linguistica. L’italiano non basta più, né bastano più gli stessi curricoli solo nazionali. Il modo più opportuno e profondo di vivere il 17 di marzo è quello di contribuire a creare in ogni scuola esperienze di innovazione didattica e di cultura europea.
Per approfondire:
• La Relazione Matteucci, documento del 1865 sullo stato della scuola e dell’alfabetizzazione in Italia
Luigi Berlinguer