In prima elementare quando nacque la costituzione (2 parte)
Racconto
L’ho detto: la scena era scarna, i materiali poveri, le posizioni scomode, l’atmosfera se era simile a quella di un ospedale, di un ufficio o di una caserma aveva, però, un pizzico di mistero in più, come se qualcosa dovesse accadere da un momento all’altro.
E forse proprio grazie a una scena così poco addobbata ci siamo sentiti immediatamente in grado di realizzare il nostro inserimento, quel grembiule con la manica sporca d’inchiostro era stato ideato da un costumista esperto e ci faceva sentire perfettamente a nostro agio dentro il banco di legno. La signora maestra era, nello stesso tempo, la protagonista e la regista della commedia “Prima Elementare nel Dopoguerra” e si arrabbiava moltissimo quando qualcuno non aveva imparato per bene la sua parte e quando si lasciava andare a qualche improvvisazione.
Ma sapeva che ogni tanto doveva essere tollerante – i tempi della fasulla inflessibilità erano finiti – e chiudere un occhio sulle nostre libertà di interpretazione. E la nostra immaginazione se non si po- teva muovere liberamente su quel palcoscenico, era però pronta a ricavarsi il suo spazio e le battute giuste. L’immaginazione diventava finalmente una curiosa presenza in quelle aule.
Appena ieri, insieme al fascismo, alla monarchia, al MINCULPOP e a tutto il resto, erano andati al macero i libri che avevano fascistizzato la scuola italiana. Perfino il nome del Ministero era cambiato: da quello di “Ministero dell’Educazione Nazionale” era stato corretto in “Ministero della Pubblica Istruzione”. E le maestre e i maestri ora si voltavano indietro a guardare, certo in maniera più consapevole, un recente passato in cui non avevano potuto far altro che obbedire, magari senza credere e men che meno combattere.
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Al termine di questa breve incursione nella memoria scolastica di una generazione (in via di estinzione) è del tutto evidente che non è sopravvissuto quasi nulla, se non le mura, di quell’impresa educativa nata dalle macerie di una dittatura e di una guerra. Nello stesso tempo però ho avuto la sensazione, scrivendo queste righe, che qualcosa di immutabile nella scuola sia pur dovuto rimanere (a parte le quattro operazioni) e che quel qualcosa siano, appunto, proprio i fondamentali della scuola.
Mentre in economia, i fondamentali sono sempre al centro del dibattito, le numerose riforme e controriforme che si sono succedute negli ultimi decenni in ambito scolastico sembra non abbiano contribuito a rinnovare le loro peculiarità nella scuola. Si è arrivati perfino ad esprimere posizioni negazioniste: perché la scuola che è un’entità mutante in tandem con la società deve essere ancorata a principi fondanti?
Come è possibile proporre a una generazione iperconnessa il bagaglio di valori presenti nella Costituzione nata nel dopoguerra?
È poi vero che nella nostra Costituzione è possibile enucleare i fondamentali della scuola, l’eredità degli insegnamenti da consegnare di generazione in generazione, tra i nativi di epoche così diverse? Risposte difficili da fornire a domande spesso mal poste ed eccessivamente orientate a un depistaggio.
Partiamo invece dall’elemento di “straordinarietà” della scuola: gli insegnamenti sono l’energia che trasformano la nostra massa cerebrale, che è considerata la struttura più complessa esistente tra tutti i sistemi viventi.
“Lo sviluppo del cervello” scrive Alberto Oliverio in Neuropedagogia, cervello, esperienza, apprendimento “è in gran parte un processo che dipende oltre che da un programma genetico, dall’esperienza, sia in termini positivi sia negativi. L’educazione ha quindi il compito di dare forma al cervello.”
E proprio l’incontro tra neuroscienze e insegnamento ha dato origine alla neuropedagogia perché le conoscenze della struttura della corteccia cerebrale – a cui si devono tutte le nostre capacità e funzioni – possono tradursi in un miglioramento del processo formativo. Questa nuova frontiera ci indicherà quali sono stati e saranno gli apporti fondamentali della scuola allo sviluppo, delle funzioni superiori del linguaggio, della coscienza, della capacità logica e della creatività.
Quella che chiamo l’elemento di “ordinarietà” della scuola è invece, ovviamente, il suo funzionamento, su cui c’è stato un accanimento riformatore di vario segno. Tutte le possibili positività e negatività in questo campo si sono alternate soprattutto in questi ultimi venti anni, e questo ci fa sperare bene per il futuro… Intendiamoci, si tratta di un funzionamento complesso che deve coniugare innovazione, investimenti e sostenibilità finanziaria, il tutto con un’esposizione politica al calor bianco. È un’ordinarietà stagionale, come i cicli in agricoltura, che non può procedere per salti e che regola tutti i rapporti che permettono lo svolgersi delle attività didattiche lungo tutto il corso dell’anno scolastico. Se la scuola è diventata il punto di riferimento per molte comunità si deve proprio al suo regolare funzionamento.
Ma gli aspetti relativi al funzionamento di un ente esprimono, per loro natura, tensioni che finiscono per essere di gran lunga prevalenti sugli altri fattori. È prevedibile, e puntualmente avviene, salvo rendersene conto e correggere la rotta.
Per fortuna alla scuola è naturalmente congeniale una narrazione dei suoi vari aspetti nei momenti più diversi. La scuola stessa, come luogo degli insegnamenti, è narrazione!
Essa, oltre a rappresentare un bene di grande valore per tutti i cittadini, è anche il grande libro delle Mille e una storia, e dalle esperienze vissute in quei luoghi si trae sempre nuova linfa per gli insegnamenti, che sono, appunto, i profili fondamentali di quel continente dai confini mutevoli che siamo chiamati ad esplorare fin dall’infanzia.
Per questo, dopo tanta dedizione al suo funzionamento, è arrivato ormai il momento di liberare nella scuola una maggiore energia innovativa, come è stato fatto in alcuni periodi della sua storia – da ultimo alla fine degli anni ’90- nella coscienza dell’importante considerazione di Montaigne che è preferibile “una testa ben fatta piuttosto che bella piena”! Come ogni insegnante sa.
Immagine in testata La Scuola Italiana. Dal libro Cuore alla lavagna digitale – Storia della scuola a 150 anni dall’Unità d’Italia
Giuseppe Fiori