Sviluppare e articolare la professionalità degli insegnanti
Un docente professionista deve guadagnare molto di più, quanto i colleghi europei, ma deve anche essere occupato nella scuola a tempo pieno, e tutto l’anno. Deve finire quell’implicito patto perverso che ha finora dato vita a una professione a mezzo servizio e con mezzo stipendio.
Le questioni poste da Walter Moro (“Gli insegnanti di nuovo al centro”) sono cruciali: vorrei provare a discuterle una alla volta, con i rischi di schematismo che derivano dall’isolare problemi connessi, ma con il vantaggio di approfondire le questioni senza mescolare tutto nel calderone. Comincio dal tema della ridefinizione della professione degli insegnanti. Sostengo da tempo l’idea di un’articolazione della professione docente su tre livelli, comunque li vogliamo chiamare (docente “iniziale”, “ordinario” ed “esperto”), e ho articolato la proposta nel mio recente saggio (Malascuola, ed. Piemme) al quale rimando. Non si deve però pensare solo a tre “gradini” retributivi diversi, cui si accede per una valutazione di merito anziché per anzianità; ma a ruoli funzionali ancorati alle necessità dell’unità scolastica, in particolare per il terzo livello.
Penso che per il docente “ordinario” debbano presentarsi due diverse prospettive di carriera, tra loro non incompatibili.
1. Il docente esperto: un profilo tutto interno alla funzione docente – cui si accede per concorso esterno alla singola scuola – che individua i docenti qualificati, con compiti solo parzialmente coincidenti con l’insegnamento. A loro sono affidate funzioni didattiche specializzate: il comitato di valutazione dell’istituto cui appartengono, il coordinamento disciplinare, il coordinamento del lavoro nelle classi, l’assistenza ai nuovi docenti, il coordinamento dell’attività di ricerca e di documentazione didattica, la partecipazione a commissioni per la formazione e la selezione dei nuovi docenti, la presidenza delle commissioni d’esame etc. Per diventare esperti si dovrebbe superare un esame che includa anche la discussione di un portfolio di esperienze documentate, di titoli professionali e culturali.
2. Le figure di sistema: un percorso di carriera sul versante organizzativo-funzionale con assunzione di compiti, sempre più necessari, di organizzazione, gestione, progetto. Questi docenti costituiscono lo staff del dirigente scolastico. In ogni scuola, sulla base delle sue dimensioni, è stabilito il numero massimo di docenti che entrano nello staff del dirigente. I docenti esperti che abbiano maturato esperienze gestionali per cinque anni nello staff del dirigente scolastico possono poi accedere al concorso per diventare essi stessi dirigenti scolastici.
Sono anche convinto che nella scuola servano oggi competenze anche molto diverse da quelle del docente, e che sia senza senso pretendere che tutti si improvvisino orientatori, psicologi, animatori, assistenti sociali, infermieri, facendo tutti un po’ di tutto. Non so se l’unico esempio – o il migliore – sia quello citato da Moro dell’orientatore, alla francese. Proviamo ad allargare l’orizzonte: una comunità scolastica frequentata da un migliaio di bambini o di adolescenti non dovrebbe avere stabilmente un operatore sanitario (o meglio, un medico) che faccia anche educazione sanitaria e prevenzione? E, in molte situazioni, non sarebbe indispensabile una figura a metà tra l’assistente sociale e il mediatore culturale, per intervenire con competenza e strumenti nei rapporti tra scuola famiglia, bisogni e servizi territoriali? Intendo dire che oltre a discutere della professionalità docente, occorrerebbe ragionare anche sul superamento degli attuali profili del personale “non docente”, oggi persino esuberante nella quantità, ma relegato a funzioni di supporto tecnico e amministrativo, con profili professionali di basso livello.
Ma perché la ridefinizione della professionalità docente non si riduca a propaganda retorica, occorrono adeguate risorse finanziarie. Che non ci sono. L’unica risposta possibile sta nell’invertire la deriva che per decenni ha portato a sostenere criteri di mera quantità: tante classi, tante ore, tanti docenti. Con tanti risultati deludenti. Bisogna affermare con nettezza che non servono “tanti” docenti, non ne servono più che negli altri paesi europei: servono invece buoni, anzi ottimi insegnanti. Motivati, preparati, selezionati, valutati, gratificati. Dobbiamo disegnare una professione che non si offra come un ripiego per casalinghe part-time, per professionisti che vogliono garantirsi la pensione, per laureati che finiscono nella scuola come ripiego perché non hanno trovato altri sbocchi. Ma per far questo occorre che la “professione docente” sia un mestiere in grado di attirare le energie migliori, giovani motivati che scelgono di insegnare perché è un mestiere gratificante, con adeguate prospettive di riconoscimento economico, sociale e professionale.
E allora occorre una premessa, forse antipatica. Un docente professionista deve guadagnare molto di più, quanto i colleghi europei, ma deve anche essere occupato nella scuola a tempo pieno, e tutto l’anno. Deve finire quell’implicito patto perverso che ha finora dato vita a una professione a mezzo servizio e con mezzo stipendio.
Claudio Cremaschi